Archivi categoria: fabio franzin

Fabio Franzin, Fabrica e altre poesie

Massimiliano Damaggio
Fabio Franzin

Massimiliano Damaggio
Su Fabrica e altre poesie di Fabio Franzin.

Posso, senza armi, rivoltarmi?”(1) Lo scrive Drummond de Andrade. Io credo nella parola, poetica oppure non, credo fortemente che abbia ragione Ferreira Gullar quando dice:

Ora, io so molto bene che la poesia
non cambia (subito) il mondo
(2)

Continua a leggere Fabio Franzin, Fabrica e altre poesie

Pubblicità

Background

Francesco Sassetto
Fabio Franzin

Sassetto, in questa sua esile ma densa raccolta, continua il discorso che ce lo ha fatto amare nelle precedenti, un discorso che è intimo e al tempo stesso universale; qui ritornano i tòpoi che gli sono cari: treni, binari, ritratti di persone prese nel conteggio delle proprie esistenze, sia per constatarne le sottrazioni, sia per immaginarsi scaltre addizioni, o portatori di perdite e sconfitte insanabili (molto efficace, in questo senso, e l’autoritratto crudele e disperato di uomo senza prole, condannato a crepare solo come un cane), periferie sempre più sterili di voci e calore, vagoni accalcati di un’umanità in cui si può leggere in filigrana il male di un paese, i luoghi del lavoro e della perdita dello stesso, le aule, le albe e le notti intrise di solitudine e amarezza, di quesiti irrisolti: cos’é / davvero questa sera / quest’ombra di silenzio e di spavento… figure che si impongono alla nostra attenzione, sia perché attori della nostra inquieta quotidianità, sia perché l’autore sa tratteggiarli con perizia, passione e con un amore innervato alla rabbia; mai portati sulla pagina tanto per colorarla, per far paesaggio. Continua a leggere Background

Canti dell’offesa

Fabio Franzin

Nel circuito ingessato e spesso autoreferenziale della poesia italiana capita a volte che i riconoscimenti vadano a chi davvero li merita: è il caso di Fabio Franzin, autore che negli ultimi anni ha saputo coniugare ad una produzione quantitativamente rilevante un livello qualitativo decisamente elevato. Al tempo stesso mi sembra di poter dire che il desiderio di schematizzazione (non per volere di Franzin stesso, sia ben chiaro) abbia a volte portato a classificare la sua opera in modo decisamente semplicistico: da “poeta del Nordest perduto” a “poeta della fabbrica”, fino a “poeta del precariato”. Trovo che, come spesso accade con le definizioni, anche queste siano riduttive, e non rendano giustizia allo spessore della poesia dell’autore mottense. Così in fondo mi viene da sorridere di fronte ai Canti dell’offesa, pubblicati da Il Vicolo di Cesena: si tratta di una manciata di testi in italiano – per numero più di una plaquette, meno di una raccolta vera e propria – in cui Franzin rivolge il proprio sguardo alla crisi, questa bestia che ci imprigiona tutti ma di cui non comprendiamo bene le ragioni. Continua a leggere Canti dell’offesa

Repertorio delle voci (XIII)

Manuel Cohen
Fabio Franzin

Chi legge per la prima volta questi versi è un lettore privilegiato. Si ritrova davanti, senza che nessuno gli abbia aperto o distorto lo sguardo, un’evidenza nuda, incontrovertibile, priva di argomenti. Come davanti al diario di Simone Weil sulla condizione operaia, ma alla rovescia, in una salda e coerente inquadratura soggettiva: lo stato di mobilità di ottanta e più lavoratori dell’industria del mobile, oggi, nel Nordest in crisi. Qui Franzin apre lo scenario, e racconta in sestine, in dialetto, con la stessa lingua, lo stesso passo del suo Fabrica, forse il miglior libro di poesia italiana dell’ultimo decennio. Lì si sentiva l’epica delle mani: l’elogio della loro arte di esistere e di mettere insieme i pezzi della lavorazione e il sostentamento delle vite, con l’affanno, il massacro delle tenerezze, delle aspirazioni, delle femminilità. Fabrica era il lungo canto ritmato, senza strepito, di quelle mani che ora sono state fermate, deprivate della loro capacità di afferrare il mondo e di capirlo. La realtà si è fatta obliqua, piena di salti e di curvature: l’ordine delle certezze è saltato, ed è cambiata la percezione del tempo, del paesaggio, dei rapporti familiari. Queste mani orfane dovranno imparare un modo nuovo di percepire, di accostarsi alle cose. (Stefano Colangelo)

Continua a leggere Repertorio delle voci (XIII)

In memoria di Carlo Nardese

E sarà domani che ci incontreremo sulle parole
Per Carlo Nardese, 1963-2010

Nel primo sabato di questo piovoso e cupo febbraio, davanti alla tomba del fratello Diego, il poeta Carlo Nardese ha deciso di raggiungerlo, di darla vinta alla belva della depressione con cui lottava, corpo a corpo, da circa trenta dei suoi quarantasei anni. Lascia una moglie e un figlio piccolo, Tommaso. Continua a leggere In memoria di Carlo Nardese

Mòbii/Mobilità

Fabio Franzin

“Abbandonati”, così scrive Fabio Franzin in questi testi in cui racconta in versi, in un linguaggio che sembra andare oltre lo sconforto, un evento tragico come la perdita del lavoro senza forse la possibilità di trovarne un altro. Tutto è cambiato e per chi viene espulso dalle fabbriche, per chi fa l’operaio, le possibilità di ricominciare sono ancora meno in questi anni di precarietà e flessibilità. L’isolamento sociale e la paura del futuro ammorbidiscono gli animi degli operai e sembrano fare sì che si accantonino i vecchi rancori in una parvenza di solidarietà, che non è più solidarietà, è aggrapparsi gli uni agli altri perché più nulla rimane da fare. Impietosa la voce di Franzin nella sua amarezza, nel suo chiedere: “guardateci”. Come se un tempo durissimo finisse, ma solo per scavare più profondamente le ferite: come se non ci fosse più redenzione. – (Nadia Agustoni)

Continua a leggere Mòbii/Mobilità

Vocài dal caìvo – di Fabio Franzin

vite senza casco, senza paracadute / intànt che se casca drento ‘sto burón / scuro, fra boéte che sóea come fòjie / de un ‘utùno da luto: ‘e man come / forche butàdhe de nòt drento ‘l pozh.
vite senza casco, senza paracadute / mentre precipitiamo in questo burrone / buio, fra bollette che svolazzano come foglie / di un autunno da lutto: le mani come / forche gettate di notte dentro il pozzo.

Continua a leggere Vocài dal caìvo – di Fabio Franzin

Non si può imporre una lingua – di Fabio Franzin

Mentre dalle mie parti (profondo Nord-Ovest) le edicole sono tutte un fiorire di locandine che annunciano l’imminente uscita (“in vista dell’adeguamento dei programmi scolastici“!) del primo vocabolario e della prima grammatica del dialetto di un paesone della zona, Fabio Franzin invia a un quotidiano delle sue parti (profondo Nord-Est) questa lettera che, com’era prevedibile, si sono guardati bene dal pubblicare. Perché? Suvvia, non malignate, non siate i soliti sovversivi, la ragione è molto semplice: mancanza di tempo. Infatti, sono tutti occupati a stampare le locandine che annunciano l’imminente uscita… etc. etc. etc… del primo vocabolario e della prima grammatica… etc. etc. etc. (fm)

Continua a leggere Non si può imporre una lingua – di Fabio Franzin

Erba e Aria – Testi inediti di Fabio Franzin

‘A ‘é stadha quea ‘a vera scuòea: / là, fra bròsa, fossi e zhièse; levàr / su al scurét de bonóra, prima che //
i ‘o fesse cheàltri, che i ne ciavésse / ‘e zhoche bone; svejiàr mé fradhèi / pì pìcoi, vistìrse al fredho, dabàss, //
dó spòrte de nàilo ingrumàdhe tel / scasseón del kapauèi, e via. Soratùt /capìr che ièra da sfurigàr tii posti //
pì sconti, pì scomodi, se sé voéa / catàr ‘a baràdha che fa deventàr / ‘na zornàdha storia, e memoria //

Continua a leggere Erba e Aria – Testi inediti di Fabio Franzin

Nel fulgore improvviso delle cose – Roberto Cogo

iocane[1]

non è dato sapere cosa in fondo resta / come procede di soppiatto lo sfarfallio o il barbaglio / se fuoriesce da una porta sempre semichiusa / nell’oscurità che tutto medita e raccoglie —

ma tu perdona ogni nostra stolta debolezza / e continua a distrarci da ogni spiraglio d’ombra / col tuo incanto e il tuo spavento così / senza trucco e senza meta — tu riflesso di vita

(Qui altri testi di Roberto Cogo)

Continua a leggere Nel fulgore improvviso delle cose – Roberto Cogo