Giuliano Mesa
I
tranne lì,
dove la mente si affatica a cercare silenzio,
e il corpo che ancora un passo,
ancora un sudore
*
Giuliano Mesa
I
tranne lì,
dove la mente si affatica a cercare silenzio,
e il corpo che ancora un passo,
ancora un sudore
*
Giuliano Mesa
(1957-2011)
cosa frammischia –
cenere (sempre cenere)
e vento (sempre, da sempre)
se non il vuoto, Lucrezio,
il vuoto –
lì possiamo costruire, c’è spazio,
per fare un’orma
e fare un segno di passaggio
(noi siamo, passeggeri,
come argini,
muschi sulla sponda del fossato,
chiocciole ciottoli lucertole
e questo è molto,
a farsene una ragione,
è molto tempo, e spazio,
molta necessità)
[Sempre nella memoria e nel cuore, come tutti i segni
di passaggio che sopravviveranno alla nostra polvere. (fm)]
“devi tenerti in vita, Tiresia,
è il tuo discàpito”
I. ornitomanzia. la discarica. Sitio Pangako
vedi. vento col volo, dentro, delle folaghe.
vedi che vengono dal mare e non vi tornano,
che fanno stormo con gli storni neri, lungo il fiume.
guarda come si avventano sul cibo,
come lo sbranano, sbranandosi,
piroettando in aria.
senti come gli stride il becco, gli speroni,
che gridano, artigliando, facendo scaravento, in muta,
ascoltane la lunga parata di conquista, il tanfo,
senti che vola su dalla discarica, l’alveo,
dove c’è il rigagnolo del fiume,
l’impasto di macerie,
dove c’è la casa dei dormienti.
che sognano di fare muta in ali
casa dei renitenti, repellenti,
ricovero al rigetto, e nutrimento, a loro,
scaraventati lì chissà da dove,
nel letame, nel loro lete, lenti,
a fare chicchi della terra nuova,
gomitoli di cenci, bipedi scarabei
che volano su in alto, a spicchi,
quando dall’alto arriva un’altra fame.
prova a guardare, prova a coprirti gli occhi.
Giuliano Mesa
Poesie 1973-2008
Roma, La camera verde, 2010
A Giuliano Mesa,
principe dei poeti
concittadino del popolo
principe dei poeti
o intoccabile in cima alle scale della fortuna
e tu achille dal calcagno d’oro
ora che anche i pesci azzurri del mare
allargano le branchie non per respirare
ma in segno di estremo saluto all’imperatore
prenditi gioco di qualcun altro
nell’età della pietra
dal grembo di una città assediata
Leopoli, Pristina, Berlino, Cracovia che importa?
in ogni caso ai corruttori di Roma in ogni caso in contumacia
Quaderni delle Officine
LXXVI. Maggio 2017
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L’enciclopedia greca del “Tiresia” di Giuliano Mesa (2016)
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Noi lo ricordiamo sempre. Lo leggiamo. Ritorniamo ai suoi versi ogni volta che desideriamo sentirci a casa. Stringiamo la carta del suo unico libro come fosse la sua persona, un talismano di parole per fermare negli occhi e nel cuore il suo passaggio. In un paese ormai sepolto sotto tonnellate di libri-di-poesia, ma quasi totalmente privo di poeti, la sua presenza ci rassicura, ci conforta. (fm)
(Da recitare nei giorni di festa)
Il sogno è quello del cerbiatto,
quello che bruca, gli occhi sorridenti.
Però ha il ventre troppo gonfio
e da uno zoccolo esce un liquido scuro,
a fiotti. Dietro di lui
un uomo grande, incappucciato,
e un altro, mingherlino,
che si gratta le ascelle.
Il sole, alto nel cielo –
il cielo è azzurro –
all’improvviso non c’è più.
Dai rami cadono fiocchi di neve,
dolci, zuccherati.
Il cerbiatto si sdraia su un fianco,
apre la bocca
e mangia la neve che cade.
I due uomini hanno scavato una tana.
Il mingherlino raccoglie rami
secchi.Quello grande rattoppa una camicia.
Poi è buio nero. Squittiscono dei
topi.
Tiempo Tiempo.
Mediodía estancado entre relentes.
Bomba aburrida del cuartel achica
tiempo tiempo tiempo tiempo.
Era Era.
σε αφήνω εδώ
με αυτά τα σύννεφα φορτωμένα βροχή
αυλακωμένα από μια αχτίδα
που θα σε ξυπνήσει, αύριο κιόλας,
όταν θα ’χεις πια αναμνήσεις
να σκεφτείς.
πηγαίνω
στην παρασκιά που απομένει,
εκεί που επιστρέφω, τώρα,
τώρα που μπορεί να ξαναρχίσω,
που θα μπορούσα,
τώρα υπάρχει μόνο μια αποθυμιά:
ν’ αφήσω, ν’ αφήσω ανέγγιχτη
αυτή τη στιγμή πριν απ’ τη θλίψη
όταν η θλίψη
έγινε μοιρολόι παρηγοριάς
και μετά σιωπή
αυτή η σιωπή που ακούμε μαζί,
τώρα – είναι τώρα που ξέρουμε,
σε αυτή τη στιγμή που διαιρεί
σε αφήνω εδώ
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Evanghelìa Polìmou traduce in greco alcuni testi di Giuliano Mesa per la rivista “Poiein“. Continua a leggere qui…
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ti lascio qui
con queste nubi cariche di pioggia
striate da un bagliore
che ti risveglierà, anche domani,
quando avrai più ricordi
da pensare.
vado
nella penombra che rimane,
dove ritorno, adesso,
adesso che potrà ricominciare,
che potrei,
adesso c’è soltanto il desiderio:
lasciare, lasciare intatto
questo momento prima del dolore,
quando il dolore
è diventato nenia di conforto
e poi silenzio,
questo silenzio che sentiamo insieme,
adesso – è adesso che sappiamo,
in questo momento che divide
ti lascio qui
(Giuliano Mesa, Tiresia, 2000-2001)
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Giuliano Mesa, Quattro argomenti
tratto da: I loro scritti (1985-1995)
ora in Poesie 1973-2008
a cura di Alessandro Baldacci
Roma, La Camera Verde, 2010
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Con Giuliano Mesa se ne è andato forse l’ultimo dei modernisti. E – intendiamoci – non si vuol dire “l’ultimo” secondo la vulgata di un’elegia della fine che vede dappertutto epigoni esausti o svagati postmodernisti: “l’ultimo” intende designare colui che, con radicalità, ha compiuto un estremo tentativo di rappresentare l’istanza modernista in modo adeguato ai tempi.
Al centro di ogni modernismo sta un progetto di ricerca della verità, verità ontologica in primo luogo. Secondo una movenza non certo maggioritaria in questi anni, Mesa non ha dissolto il concetto di verità in una semplice accoglienza nei confronti della venuta dell’altro, ma ha preteso che la poesia dicesse quel che il linguaggio ordinario non sembra più in grado di dire: non la verità dell’oggetto, ma la verità dell’evento: una verità etica. Nell’indistinzione ontologica dei fatti, la scrittura punta a risemantizzare con cura le tessere del linguaggio per restituirle a una nuova vita relazionale, etica.
(Paolo Zublena)
[…] Siamo nel cuore di una lirica che ha come unica ragione quella di non pretendere ragioni, che ha il coraggio di gettare sulla pagina un’esperienza vitale in forme improvvise, non garantite a priori. È una poesia pura, una lirica astratta che si trascina dietro scorie e detriti e che compie il miracolo di avvincere il lettore a una storia, a un dolore, a un’angoscia mai nominati ma che, per le vie segrete dello stile e della grammatica, premono contro le parole. […]
(Guido Caserza, dalla Postfazione a Quattro quaderni)
(Leggi l’intero articolo su Letteratura Necessaria)
[“Letteratura necessaria – Voci del novecento” è una rubrica curata e realizzata da Enzo Campi. Il primo numero è dedicato a Piero Bigongiari, il secondo a Roberto Sanesi, il terzo a Brandolino Brandolini D’Adda.]
“l’abbiamo pianto, ora sarà il caso che ci mettiamo a leggerlo
lo avevamo letto anche prima; i suoi versi accampavano il diritto di essere letti, non era una concessione che gli si rendesse ma una occasione di ribellarci alla mediocrità delle parole confuse”
(Marzio Pieri)
“Muovendosi fra lutto e utopia, con un linguaggio scheggiato ed essenziale, Mesa ricercava esperienze di verità a partire dalla “non dimenticanza”, con un verso sospeso fra monito e memoria. Contrastava il vuoto producendo resistenza, facendo ostruzione, con una alchimia di segni, silenzi, suoni e respiri che costituivano la grammatica e la materia dei suoi testi.”
(Alessandro Baldacci)
Quaderni delle Officine
XX. Agosto 2011
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Interazioni (2002)
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