Archivi categoria: inediti

Afasie

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Arabeschi di polvere

(Da un’eternità passeggera)

arabeschi di polvere
che il viandante cieco
fila in trame d’azzurro
per inventarsi un cielo –
saldature invisibili di lampo
per assiemare sottili
frammenti d’orizzonte,
un deserto di cime
dove gli astri albeggiano
recitando nell’iride spenta
luci che ricordano la notte: –

è proprio il vento,
signore inaccessibile
di sabbie, a sollevare
le mani fino agli occhi,
a tacere il sangue dislagato
in calici di immagini
che attraversano il fuoco
vincendo l’incanto di bruciare: –

sarà per questo, forse,
che la parola è aria,
parto di un’unica infanzia
di cenere e respiro

***

Da un libro a venire di Nino Iacovella

Nino Iacovella acconsente alla pubblicazione di un’anticipazione di un libro che ho avuto il privilegio di leggere in anteprima: La parte arida della pianura.

Una scrittura controllatissima e rigorosa, un’idea di poesia aliena da ogni narcisismo e lirismo, una rara lucidità di pensiero e di giudizio innerva pagine destinate a segnare la scrittura in poesia del tempo che stiamo così angosciosamente attraversando.

La scrittura di Nino è istanza di libertà e intransigente scelta etica, politica, resistenziale.

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Stigmate

Marina Pizzi

Calice di approdo finsi l’infanzia
la zattera d’oro per i pesci salvi
qualora fossi diventata magica.
Invece convalido la mia galera
carica di riti funebri e canestri
tipici del genio che non fui.
Raccapriccio di fato qui restare
reo calesse senza amanti
né briciole di orizzonti le finestre.
Ginestre canterine dal vento prese
strette nei guanti le spose tristi
stigmate le giostre senza pargoli.

*

Sterno di crollo l’abito mortale
dove gli avanzi della cena storpia
impallidiscono il germoglio del sorriso.
Il rompicapo d’essere mortale
tale erompe un estro di bile
quale matrigna indocile la nebbia.
Salva di me il quadrifoglio d’estasi
enigma di figlia indigente
scheletro martire il girotondo in sibilo.
Meringa la merenda di bambini dotti
così poeti da sembrare arcani
attori di cosmesi simboli divini.

Testi tratti da:
Marina Pizzi, Lapidi di periferia,
di prossima pubblicazione in
“Quaderni di RebStein”, LXXXVIII, ott. 2022.

*

Il mosaico dei ciechi, Una lettura dell’inedito “Colono 22” di Chiara Catapano

Non so dove sia il boschetto in cui Sofocle fa morire Edipo. Oggi Colonòs è il campo di sterminio degli alberi, l’insulto all’equilibrio della natura, che è poi l’unico vero “splendore” umano, il suo incespicare, il suo cadere, il suo niente.

E nel niente di tutto ciò che si spegne, ed era, nel niente di quel bosco in cui Edipo finisce di vivere – e inizia a respirare, finalmente, spegnendosi –, in questo vuoto saccheggiato si apre, silenziosa, la corolla della memoria. Intorno, all’improvviso, si fabbrica il silenzio del petalo.

Per irrompere nell’orrore di telefoni, metro, uffici e bar, basta una lacrima che, da sola, ha “divelto il giorno”. Questa lacrima che ha “divelto il giorno” mi ha aperto il sentiero in questa scrittura.

In una specie di discesa nel silenzio, quando fuori degli occhi un mondo rotto si accatasta deforme su sé stesso, nel fondo di qualcosa – che potremmo essere noi stessi – avviene un altro mondo, che si costruisce, o si ricostruisce inseguendo un equilibrio.

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Emilio Coco, Inediti da “La casa”

Nella zona più buia della casa
dove le tapparelle sono sempre abbassate
e le luci del grande lampadario
in falso stile inglese vittoriano
è da anni che si sono fulminate
e nessuno si è preso mai la briga
di sostituire con le nuove a led
le nere lampadine a tortiglione
troneggianti sui bracci con doratura a foglia
che farebbero gola
ai fanatici amanti del vintage.

In questa stanza di quaranta metri
che funge ancora da salotto e studio
anche se ormai non v’entra più nessuno
si aggira traballante un uomo solo
cercando compagnia tra i vecchi libri
che piangono l’assenza di una mano
sul dorso o tra le pagine.
Quasi a chiedere scusa, allunga le sue dita
a tastare la pelle raggrinzita
dei classici Aguilar, li sfiora a uno a uno,
quei corpi inerti, che più non sobbalzano
alle folli lanciate del cavaliere errante.

Senza profferire una parola
accosta il petto allo scaffale e cinge
in un unico abbraccio incontenibile
tutti e trenta i volumi.
Resta così finché viene distratto
da un brusio di passi alle sue spalle,
volge lo sguardo e scorge Dulcinea
splendente come rosa,
in abito di schiuma vaporosa
coi capelli che indorano
la sua svelta figura.

Un’alchimia di luci e di colori
riempie la sala mentre la donzella
stringe il suo cavaliere contro il seno.
Si spengono le luci e nuovamente il buio
ogni cosa ricopre col suo velo
nella mia stanza triste di poeta.

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