Archivi categoria: letteratura francese

Movimenti di penna

Lucetta Frisa

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I primi testi di Henri Michaux – da Mes proprietés a Voyage en Grande Garabagne, da Lointain intérieur e Un certain Plume a Au pays de la magie – ci consentono, come lettori, di vivere un’esperienza non comune: assistere a una ripetizione di un rito che potrebbe riassumersi brevemente così: una voce neutra, dal timbro tranquillo se non impassibile, narra, in modo minuzioso e slontanante, di universi “altri”, attraversati da esseri più apparentati a una flora e a una fauna marina che alla specie propriamente umana o a quella che, grazie alle lenti potentissime di un microscopio elettronico, possiamo scoprire sotto l’erba o la sabbia. Queste narrazioni o cripto narrazioni – in forma di frammento, riflessione, testimonianza – registrano avvenimenti enigmatici che nessuna chiave simbolica è in grado di interpretare. Sigillati nella magica oltranza della loro natura visionaria, quei testi si rivelano come microcosmi “surreali” di un mondo ulteriore, mappe utili a percorrere terre invisibili, o a essere decifrate da passeggeri inesistenti. Né poesie né racconti, gli scritti di Michaux oscillano tra soliloquio e aforisma, a volte sembrano oracoli o formule propiziatorie, a volte pagine di diario di un entomologo decisamente folle. Li accomuna il non essere mai appagati da una forma definita, se non quella della cronaca frammentaria e tutta pervasa da una fredda ironia.

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Perché ci resti l’albero

Sédentaires aux ailes stridentes
Ou voyageurs du ciel profond,
Oiseaux, nous vous tuons
Pour que l’arbre nous reste et sa morne patience.

Sedentari dalle ali stridenti
o viaggiatori del cielo profondo,
noi vi uccidiamo, uccelli,
perché ci resti l’albero e la sua mesta pazienza.

*

René Char, Fête des arbres et du chasseur
(Festa degli alberi e del cacciatore),
“Quaderni di Traduzioni”, vol. LXXIX, ott. 2022.

*

Et le tout lointain, près

Elisabetta Brizio

Per un ritratto di Proust

«Per un ritratto di Proust», lo sappiamo, è il titolo di un saggio di Benjamin uscito a qualche anno dalla pubblicazione, postuma, degli ultimi volumi della Recherche du temps perdu. Tempestivo nel rilevare, nell’orizzonte proustiano, «l’universo dell’intreccio», il «tempo intrecciato» con lo spazio, tipicamente nel ricordo: è «il mondo nello stato dell’analogia» dove la memoria, quella spontanea, procura l’effetto «choc di ringiovanimento» nell’istante in cui, Benjamin scriveva, «ciò che è stato si rispecchia nel nuovo». E il tempo perduto è l’accorgersi tardivo del tempo vissuto inconsapevolmente. «Proust ha realizzato l’impresa inaudita di far invecchiare, nell’istante, tutto il mondo di un’intera vita umana. Ma proprio questa concentrazione in cui fulmineamente si consuma ciò che altrimenti soltanto appassisce e si spegne lentamente si chiama ringiovanimento. (…)

Elisabetta Brizio,
Et le tout lointain, près. Per un ritratto di Proust,
«Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche»,
53, no. 29, giugno 2022

Et le tout lointain, près.
Per un ritratto di Proust

Il faut être absolument voyant

Elisabetta Brizio

Tra il 1870 e il 1878 si consumò, per mano di Rimbaud, in quella sua mente giovane e ardente, corrotta e oscuramente virginea, una avventura creativa destinata – per quanto enfatizzata, deformata o strumentalizzata dalle rifrangenze della leggenda e del mito – a improntare e a pervadere di sé tanta parte della modernità poetica. Forse, solo come la vicenda per molti versi analoga di Campana, anch’egli insofferente bohémien, inquieto «uomo dalle suole di vento», «visivo e veggente» (Bigongiari diceva) nelle trasmutazioni verbali dei suoi vagabondaggi. Fu del resto proprio Rimbaud a proclamare che «il faut être absolument moderne», che ci si debba misurare senza schermi e senza infingimenti con la complessità inesauribile, scontornante e incoerente, dei segni della contemporaneità, con l’eclissi del mito e con la sua paradossale ma fatale e necessaria rivisitazione e trasfigurazione in nuove vesti e in nuove chiavi, malgrado ciò possa procurare «souffrances énormes». Talora si tende a vedere Rimbaud il maudit per eccellenza, il poeta ribelle e senza regole («Je ne me sentis plus guidé par les haleurs», Le bateau ivre), quando il suo dérèglement de tous les sens sarà sí pervasivo, ma insieme raisonné, sottoposto a un programma e a un dettame di arte. […]

Tratto da: Elisabetta Brizio, IL FAUT ÊTRE ABSOLUMENT VOYANT
(RIMBAUD TRA INFANZIA SAPIENTE E SOPHISMES DE LA FOLIE),
in “Quaderni delle Officine”, CXII, novembre 2021.

La testa di Paul Verlaine

Jean-Michel Maulpoix

      La testa di Paul Verlaine

    Il primo gennaio alle tredici un piccione si è posato sulla testa calva di Paul Verlaine.
    Anche quest’anno non nevicherà. Arthur continua a camminare rasente i muri. Ha con sé uno zaino di cuoio.
    Marie ha due buchi rossi sul fianco destro. Dorme. Il mento contro il petto. Un bel sonno da immagine dipinta.
    Il sole entra dalla finestra. Le mie giornate sono caratterizzate dalla prosa. Il mondo mi porta notizie.
    Leggo nei giornali frasi senza testa né coda, storie di omicidi e di bombardamenti.
    Passo in rassegna le disgrazie degli altri come un erbario di piante morte e di lacrime essiccate. Continua a leggere La testa di Paul Verlaine

    Omaggio a Lorand Gaspar

    Nei giorni scorsi è venuto a mancare, a Parigi, il grande poeta francofono Lorand Gaspar. Silenzio assoluto sulla stampaglia e la bloggaglia italiote, tutte intente a celebrare i loro eroi da avanspettacolo delle lettere, da sagra paesana del nulla in versi.
    Ho chiesto a Yves Bergeret, che tra l’altro lo ha conosciuto e frequentato personalmente, di tracciarne il profilo per i lettori della Dimora. Il ritratto che ne emerge è quello di un uomo e di un poeta resistente, trasparente, umanissimo cantore della vita degli ultimi e dei senza storia. (fm)

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    Aminadab

    Giuseppe Zuccarino

    Sui dipinti immaginari
    in Aminadab di Blanchot

         Un uomo di nome Thomas è giunto in un villaggio e cammina per strada. Passando davanti a un negozio, in vetrina nota uno strano quadro: «Era un ritratto, di scarso valore artistico, eseguito su una tela nella quale si vedevano ancora i resti di un altro dipinto. Il viso, rappresentato in modo maldestro, spariva dietro i monumenti di una città semidistrutta. Un albero esile, posato su un prato verde, costituiva la parte migliore del quadro, ma disgraziatamente rendeva ancor più confuso il volto, che doveva essere quello di un uomo imberbe, dai lineamenti comuni e con un sorriso gradevole, almeno per quanto lo si poteva immaginare prolungando linee che si interrompevano di continuo. Thomas esaminò pazientemente la tela. Distingueva case assai alte, provviste di un gran numero di finestrelle disposte senz’arte né simmetria, alcune delle quali erano illuminate. Continua a leggere Aminadab

    Il giardino di pietre

    Lorand Gaspar

    Il giardino di pietre
    (Le jardin de pierres)

    Nous vivions dans la fraîcheur d’aller
    porteurs d’images au jardin des pierres
    le vaste empire répandu, éventé.
    Ce qui reste au large d’années
    souffles bleuis, violences calcaires
    énorme pays de vies muettes
    craquements verts dans les doigts de craie
    peu à peu nous apprîmes à écouter
    quelque part la chute du jasmin –

    viviamo con l’istinto di andare
    portatori di immagini al giardino di pietre
    il vasto dominio diffuso, arioso.
    respiri azzurrati, violenze calcaree
    un’enorme distesa di vite ammutolite
    scricchiolii verdi nelle dita di gesso
    è quello che resta della corsa degli anni.
    passo dopo passo imparammo ad ascoltare
    da qualche parte lo schianto del gelsomino

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