Archivi categoria: luigi sasso

Bienu

(da: “La Foce e la Sorgente” – Quaderni, III)

«Ascolta bene quello che cantano in questo momento, aggiunge Alabouri. Parlano di un uomo che arriva adesso al villaggio, che ritorna regolarmente al villaggio, che ama il villaggio e ne è riamato. Ascolta bene questa parola che lei canta: Bienu. È il nome di quest’uomo. È il nome di un vecchio saggio Dogon, vissuto in tempi antichissimi. Loro e noi abbiamo deciso di farti dono di questo nome». Così si legge ne Le trait qui nomme di Yves Bergeret. Il nome, in realtà, è sempre una parola donata. Che dunque appartiene al destinatario del dono e da quel momento in poi l’accompagna, è una parte di lui, ma è nel contempo il suono che racconta un legame. È un filo, il nostro nome, in cui fa nodo la memoria di quel gesto iniziale, rendendo – ogni volta che viene pronunciato – presente il donatore, conservandone ‒ nella sua forma, nel suo movimento ‒ l’eco, l’ombra: è il segno di quella vita, anche quando quella vita chissà dove è nascosta, anche quando quella vita è finita.

(Luigi Sasso, Il quaderno dei nomi)

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L’avventura di Alice

Luigi Sasso

Dietro il nome:
l’avventura di Alice

[Tratto da Deleuze e la logica del nome,
di prossima pubblicazione in
“Quaderni delle Officine”, CXVIII,
giugno 2022.]

Nelle prime pagine di Logica del senso (1969), Deleuze affronta una questione in apparenza marginale, in realtà destinata a rivestire un ruolo di primaria importanza nello sviluppo della sua filosofia. A tale scopo si inoltra in una rilettura delle pagine dell’Alice di Lewis Carroll. Ma prima di procedere in tale direzione, Deleuze si sofferma su un fenomeno paradossale, che definisce come il fenomeno del puro divenire. La simultaneità del divenire – afferma – ha come propria peculiarità quella di schivare il presente. Ciò significa mettere in discussione le usuali categorie temporali, in quanto «il divenire non sopporta la separazione né la distinzione del prima e del dopo, del passato e del futuro»[1].

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Filosofia del nome in Agamben

Luigi Sasso

Filosofia del nome in Agamben

……L’indagine sul linguaggio, sugli elementi che lo compongono, accompagna la storia del pensiero occidentale. Agamben ci ricorda, in Che cos’è la filosofia?, che il mondo antico non poteva riferirsi alla realtà delle cose in un modo che si pretendesse indipendente da come il mondo stesso «si rivelava nella lingua»1. E non a caso molti passaggi dell’opera di Platone, per ricondurci all’esempio più autorevole ‒ dal Cratilo al Sofista, dalla Settima lettera a un brano delle Leggi ‒ si soffermano sull’origine del linguaggio e in particolare dei nomi, sulla loro qualità (da alcuni ritenuta naturale, da altri convenzionale), sul rapporto tra nome e definizione, sulle possibilità che il linguaggio è in grado di offrire alla conoscenza. Continua a leggere Filosofia del nome in Agamben

(La Foce e la Sorgente seconda serie) / Quaderno n. 3: Luigi Sasso

Pubblichiamo oggi il terzo dei “Quaderni” che anticipano l’uscita della rivista La Foce e la Sorgente (nuova serie) prevista per il giugno 2019:

Luigi Sasso: Il quaderno dei nomi

I “quaderni della Foce e la Sorgente” sono a cura di Marco Ercolani, Lucetta Frisa, Antonio Devicienti.

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Vocazioni – Il libro

Da dove viene il desiderio di scrivere, di creare immagini, di raccontare storie, di comporre, con le parole o con le note musicali, una sequenza di frasi? A quale necessità obbedisce un artista, un narratore, un critico, quale forza lo spinge, esponendolo al rischio di un esito fallimentare, a misurarsi con i propri limiti, a ricominciare ogni volta da zero tentando di afferrare le parole rimaste sulla punta della lingua? Gli undici saggi raccolti in questo volume – composti in un arco molto ampio di anni, dal 1999 al 2016 – partono tutti, in maniera diretta o indiretta, da questi interrogativi, cercando soprattutto nelle pagine di scrittori come Guy de Maupassant o André Pieyre de Mandiargues, Robert Walser o Thomas Bernhard, Vladimir Nabokov o W. G. Sebald (per fare solo qualche esempio), ma in qualche caso anche di artisti (Jean Dubuffet, Jackson Pollock), le tracce di una possibile risposta. Si delinea in tal modo, a poco a poco, un percorso, procedendo lungo il quale il lettore sarà indotto a ripensare la propria idea di opera, di identità, di scrittura, fino a rendersi sempre più chiaramente conto di come tracciare segni su un foglio – si tratti di una breve annotazione critica o di colature di colore – non rappresenti né un inutile passatempo né il ripetitivo esercizio di un mestiere, ma qualcosa di più, di diverso: un destino, una vocazione.

Luigi Sasso, Vocazioni
Novi Ligure (AL), Edizioni Joker
“I Libri dell’Arca”, 2017

Né qui né altrove

Luigi Sasso

Né qui né altrove

Su Il mese dopo l’ultimo
di Marco Ercolani

Ogni autentico scrittore interroga il linguaggio, ne esplora le potenzialità e i confini, lo trasforma, ce ne offre un’immagine nuova, che insieme ci sorprende e ci inquieta.
Si ha la sensazione, leggendo Il mese dopo l’ultimo, che per Ercolani le parole non possano esaurire tutta la realtà, tutta la sua stratificata e proteiforme configurazione. Resta sempre qualcosa di non detto, una cornice di silenzio percorre le frasi ogni volta che le parole si dispongono sulla pagina. C’è un’insufficienza che non deriva da una scarsa abilità del narratore, ma dalla natura del mezzo impiegato. Probabilmente uno dei modi di definire la letteratura è proprio quello di un linguaggio che non nasconde, ma al contrario rivela i suoi limiti «La lotta fra silenzio e parola fa emergere l’opera come lampo sulle rovine – come luce nera su macerie bianche. E così moltiplica il segreto». Continua a leggere Né qui né altrove

Dal frammento al Libro

Luigi Sasso

Dal frammento al Libro
(Su Insistenze
di Giuseppe Zuccarino)

Scrivere, fallire

Scrivere, sosteneva Samuel Beckett, è un modo di fallire. L’attività dello scrittore – ma la cosa è facilmente verificabile anche in altri campi della ricerca artistica, nella pittura, per esempio, o nella scultura – è, perlomeno in epoca moderna, inesorabilmente votata allo scacco. L’artista è definibile come colui che non solo non può prefiggersi il successo, non solo non può sperare di raggiungerlo, ma assolutamente non deve. Egli ha l’obbligo di restare fedele al suo destino. Il compito che si è assunto, quello di restituire – pensiamo a Cézanne o a Giacometti – la cosa com’è e nel contempo come egli la vede, è troppo arduo, è impossibile. Evitare il fallimento non sarebbe una vittoria, ma, appunto, semplicemente l’abbandono del campo, la rinuncia a giocare la partita fino in fondo, un modo di tradire se stessi e soprattutto l’opera intrapresa e interminabile. Continua a leggere Dal frammento al Libro

Gli occhi della follia. Guy De Maupassant

Guy de Maupassant

Luigi Sasso

Gli occhi della follia. Guy De Maupassant

Lo sguardo negato

Alcune lettere rimaste per molto tempo inedite (in ombra, quindi, e dimenticate), e che appartengono all’ultima fase della vita di Maupassant, danno testimonianza di una curiosa forma di ossessione da cui lo scrittore appare dominato. È una mania che lo induce a negare, a cancellare la propria immagine. Il 17 marzo del 1890,  rivolgendosi a Henri Toussaint, artista a quell’epoca piuttosto noto e che aveva in progetto di realizzare una serie di ritratti di scrittori, scrive: «Sono molto spiacente di non poter concedere l’autorizzazione che mi chiede e che ho rifiutato molte altre volte. Ho deciso, già da molto tempo, di non lasciar pubblicare né il mio ritratto né i dati biografici, pensando che la vita privata di un uomo e la sua immagine non appartengano al pubblico. Ho inoltre proibito ai fotografi che mi hanno fatto gli ultimi ritratti, di metterli in commercio […]. Continua a leggere Gli occhi della follia. Guy De Maupassant

Questione di tempo

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Luigi Sasso

Questione di tempo

E’ una di quelle frasi che quando le incontri interrompi la lettura, ti devi fermare, e rifletterci su. L’ha pronunciata Grete Weil, e dice: «Più il tempo passa, più Auschwitz si avvicina».
La prima tentazione è quella di leggere questa frase come un’oscura profezia, come se le parole indicassero l’incombere di una minaccia, o volessero dare un avvertimento. E non c’è dubbio che in anni anche recenti non sono mancati segnali in questa direzione, il rischio di una nuova Auschwitz è stato più volte evocato. Ma forse esiste almeno un’altra possibile interpretazione. Forse questa frase vuol dirci che Auschwitz è una realtà con cui dobbiamo ancora fare i conti, che la memoria non deve essere un esercizio stanco e retorico, né un luogo per speculazioni. Che il passato non è qualcosa che ci lasciamo alle spalle, ma qualcosa che ogni volta, di nuovo, è capace di metterci in discussione. Continua a leggere Questione di tempo