Archivi categoria: marco ercolani

L’opera non perfetta

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L’OPERA NON PERFETTA

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Un fondo di risonanze

(da: L’opera non perfetta)

Nell’atto creativo convivono tre stadi: l’enigma del nascondersi, la passione dello svelarsi e la bellezza dell’esserci. In quell’atto nulla è dato per vissuto prima e nulla è mai vissuto per la prima volta. L’artista si fa sismografo che capta non l’indeterminatezza del vuoto ma le vibrazioni emanate dal vuoto stesso. Se Novalis nota che «i rapporti fondamentali del vivente sono i rapporti musicali», Marius Schneider ricorda come «l’abisso primordiale è un fondo di risonanze», quasi a suggerire che ogni arte deve essere pronta a inseguire queste tracce acustiche, che si perdono nella memoria arcaica della mente umana. La mente non è uno spazio statico occupato da facoltà concettuali superiori o ideologie funzionali a qualche potere ma campo attraversato da vibrazioni che sono pensieri o immagini, spesso immagini di pensieri. E il concetto di tono – in senso propriamente musicale l’intonazione con cui una certa melodia viene espressa in quella forma precisa – è in relazione profonda con questa simbolica della mente. Novalis chiamava il tono Luftseele, cioè «anima d’aria», vibrazione. (…)

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Passaggio di Max Ernst

(da: “La Foce e la Sorgente“, Quaderni, VIII)

Il surrealismo, nel suo periodo di ascesa, aveva, crediamo, un assoluto bisogno di Max Ernst; dapprima per mettersi in luce per tutta la traiettoria della propria freccia, e poi per sciamare ed espandersi circolarmente. Max Ernst, scavalcando Hegel, gli comunica ciò che l’impressionabile e combattivo Breton aspettava da un “meraviglioso” – parola usata e rivoltata – “partito del nord”, venuto dall’est, meraviglioso di cui i quadri di Cranach e Grunewald contengono le primizie sotto il loro disegno non cortigiano e il loro approccio mercuriale. La Femme 100 têtes, una volta letta e riguardata (amata), si arrotola e si srotola interminabilmente nel grande paese dei nostri occhi chiusi. Così l’opera di Max Ernst non sembra fatta di una stranezza uninominale ma di materiali ipnotici e alchimie liberatorie. Si voglia ricordare bene il suo quadro La Rivoluzione la notte: illustra eccellentemente ciò che non pensava di illustrare, le Poesie, che tali non sono, di Isidore Ducasse, conte di Lautréamont. Grazie a Max Ernst e Giorgio De Chirico la morte surrealista, fra tutti i suicidi, non è la più vergognosa. Ha dischiuso le labbra di una giovinezza immortale invece che finire in fondo a una strada affumicata.

(René Char, Alliés substantiels, traduzione di Marco Ercolani)

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Cappio e occhi

(da: Il muro dove volano gli uccelli)

Incorniciato nel piccolo rettangolo del quadro, il viso ovale del Cristo ha la tradizionale corona di spine sul capo, il collo è circondato da una corda che evoca il cappio dei prigionieri – condannati, schiavi, animali. L’arco delle labbra si abbassa in una sorta di smorfia di indifferenza verso la fine imminente. Questo Cristo non è né umiliato né deriso, ma testimone di un dolore puro e indifferenziato la cui maschera si affaccia da una finestra e ci guarda senza sapere di essere guardato. Gli occhi, siderali, sono immuni da qualsiasi fisicità terrena. Lo sguardo nasce dall’abisso di un dolore estraneo a qualsiasi ragione e legge: è lo sguardo di chi si percepisce vittima di una Volontà ineluttabile.
Opposto alla rappresentazione di un Redentore troppo terreno o troppo spirituale, il Cristo di Antonello è remoto, tragico. Il reclinarsi del capo, l’arco della bocca, il viso sbiancato e livido e senza tracce di sangue, suggeriscono una Triste Indifferenza senza remissione.
Questo Cristo non si congeda mai da noi: cappio e occhi, continuano a legarci a uno strazio non umano. Non ci chiede nulla, e non risponde a nessuna domanda. «La lezione maggiore dell’infinito è / smettere d’essere, a volte, infinito». (Roberto Juarroz).

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Nel gesto incompiuto della scrittura

Marco Ercolani

Dopo Antiterra (I libri dell’Arca, Joker, 2006), in cui aveva riunito gli editoriali scritti per “Anterem” dal n. 51 al n. 71, in L’esperienza poetica del pensiero (Nuova Limina 2022) Flavio Ermini completa l’opera raccogliendo quelli scritti, sempre per “Anterem”, dal n. 72 al n. 100.

Inizieremo questa breve prefazione proprio a partire dall’editoriale dell’ultimo e definitivo numero della rivista, Da un’altra lingua. Anterem 1976-2020, totalmente votato alla traduzione di testi poetici: la coerenza di una vita dedicata all’ostinata riflessione sulla “parola come inizio” traspare dalle brevi righe finali: 

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L’età della ferita

Marco Ercolani

Premessa

Talvolta succede che un sogno sia il principale strumento capace di avvicinarci alla verità di un autore. Ieri, 7 febbraio 2022, rileggevo i Diari di Kafka e sentivo che ogni commento critico, per quelle pagine nitide e tragiche, sarebbe stato superfluo. Quella stessa notte sognai di essere un filosofo praghese, contemporaneo di Kafka, che iniziava, nel settembre del 1938, a pochi mesi dalla rivolta della Cacoslovacchia antinazista, a leggere e a commentare la versione autografa dattiloscritta dei Diari, con tanto di correzioni e disegni dell’autore. Non appena sveglio, fu naturale tradurre quel sogno in un piccolo libro, in questo libro. Quando lo ultimai, tre mesi dopo, non ricordavo esattamente chi ero stato durante la stesura delle singole pagine (mi tornava alla memoria un nome, Felix Weltsch, il filosofo amico di Brod e di Kafka, che criticava la politica antisemita di Hitler e che con lo stesso Brod lasciò Praga nel 1939). Fantasticavo che il mio commento sarebbe stato conservato nell’archivio di Národní Knihovna, la Biblioteca Nazionale di Praga nel quartiere di Staré Mestò, proprio accanto ai Diari di Kafka, e rileggevo le mie parole con un certo stupore perché non erano soltanto le mie parole.

Marco Ercolani
L’età della ferita.
Intorno ai “Diari” di Kafka

Milano, Edizioni Medusa, 2022

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Il “Discorso su Dante” di Osip Mandel’štam

Marco Ercolani

Negli anni Trenta dello scorso millennio Osip Mandel’štam scrive il suo Discorso su Dante. Proprio all’inizio di questa prosa vorticosa e cristallina scrive: «Dante è un maestro dei mezzi poetici, non un fabbricante d’immagini. È lo stratega delle metamorfosi e degli incroci, non è per nulla un poeta nel senso “paneuropeo”, ossia nel senso culturale, esteriore della parola». Mandel’štam ci ricorda, prima ancora di gettarsi a capofitto nei temi danteschi, che l’immagine esteriore è incompatibile con i mezzi del discorso linguistico, perché la partitura di ogni composizione poetica trascende e trasforma suono e senso, come un “tappeto intessuto di molteplici trame”. Non vi si può costruire un itinerario, precisare un disegno: sarebbe come analizzare un “fiume ingombro d’instabili giunche cinesi variamente orientate”. Osip difende il suo sguardo barbaro e materico sulla Commedia con queste parole: «Cercando di pensare, nei limiti della mia possibilità, nella struttura della Divina Commedia , sono giunto alla conclusione che tutto il poema non è che una sola strofa, unitaria e inscindibile. O meglio non una strofa, ma una struttura cristallina, un solido».

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