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Quaderni di RebStein (LXXXVIII)

Quaderni di RebStein
LXXXVIII. Ottobre 2022

Marina Pizzi
Lapidi di periferia (2021-22)

*

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Stigmate

Marina Pizzi

Calice di approdo finsi l’infanzia
la zattera d’oro per i pesci salvi
qualora fossi diventata magica.
Invece convalido la mia galera
carica di riti funebri e canestri
tipici del genio che non fui.
Raccapriccio di fato qui restare
reo calesse senza amanti
né briciole di orizzonti le finestre.
Ginestre canterine dal vento prese
strette nei guanti le spose tristi
stigmate le giostre senza pargoli.

*

Sterno di crollo l’abito mortale
dove gli avanzi della cena storpia
impallidiscono il germoglio del sorriso.
Il rompicapo d’essere mortale
tale erompe un estro di bile
quale matrigna indocile la nebbia.
Salva di me il quadrifoglio d’estasi
enigma di figlia indigente
scheletro martire il girotondo in sibilo.
Meringa la merenda di bambini dotti
così poeti da sembrare arcani
attori di cosmesi simboli divini.

Testi tratti da:
Marina Pizzi, Lapidi di periferia,
di prossima pubblicazione in
“Quaderni di RebStein”, LXXXVIII, ott. 2022.

*

Diario di balbuzie

………..Marina Pizzi

Avvelenata dal tempo la poesia
avvento sia la lapide
il desco nero della solitudine.
Sia cometa la condanna a morte
docile meta abbracciare l’angelo
l’angolo vile della casa trita.
Sunto di paradiso i polsi
ebete tondo essere vissuto
polvere e lacrime di minestra nera.
Col velo su la faccia di marmo
la madre spirata sembra giovane.

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Diario di Balbuzie di Marina Pizzi

sarà pubblicato in “Quaderni di RebStein”,

Vol. LXXXII, marzo 2021.


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Un’altra vita non ce l’ho

Marina Pizzi

Un’altra vita non ce l’ho
E butta siero questo avanzo
Di carne. Nefasto dì il mio
Colloquio con le questure
Delle rondini che sfidano
Il fucile e il fungo velenoso.
Esoso cimelio rattoppare
Queste festicciole da ladri
Giacché i ciottoli sotto le scarpe
Danno l’astio del lusso sopra
L’arazzo di guerrieri sanguigni.
Guerrafondaio l’atrio della dittatura
Acclama la stura di soldati
Dati all’amalgama del fuoco.
L’attore sul palcoscenico piange
La genia del prossimo non intendere.

(Tratto da:
Feritoie ogivali (2017-18)
di imminente pubblicazione in
“Quaderni di RebStein”, LXX, gen. 2018)

Per il decennale di RebStein, 1

terezin Marina Pizzi

Bivacchi e sodalizi il mio imbrunire
Bugiardo brevetto costumanza carbonica
Sotto i sottopassi luridi e blasfemi
Senza nemmeno un mito di racconto.
Qui resta la lumaca divelta…
Povera casa schiacciata dal passo
Senza timore passeggiare contro
Le ambivalenze del destino.
Qui è stato rotto chiunque io fossi
Sotto rotaie sanguigne e frettolose
Tradenti arrivi e partenze.
Voglio morire con la morte dolcissima
Vecchi ormai di sillabari vuoti
Grammatiche nefaste le leccornie di ieri.
Nessun funerale è ammasso alla mia morte
Solo un bidone della spazzatura
Dopo il falò. I pali delle luci debbono
Stare spenti sopra le biglie di giochi tradenti.
Menziona di me la perla nerissima
L’acclusa sbornia dell’ultima cena
Quando quaggiù fanno ancora i ragazzi.
Permettimi di volare prima sfortuna
Sfarzo di mareggiate più che potenti
I trilli di fantasmi che mi attendono.

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prima del diluvio, 5

Immagine di Michele Guyot Bourg

 

 

Marina Pizzi

      (La cena del verbo)

      Dio della notte il mio sospiro
      Sparuto quanto un indice di nebbia
      La crudeltà del sale sfatto palmo
      Con il mistero che deride la faccia
      Faccenda senza resine di baci.
      Il male barricato sulla fronte
      Dissolve l’ossigeno geniale
      La gente sugli spalti delle tombe.
      Tu dimmi quale rondine corsara
      Sapienza di dio non sapere
      Perché le baracche da sole spopolano
      Esatte bramosie cercare dio.
      Capitomboli di sabbie volerti bene
      Dietro la rotta tragica del guado
      O di domani la speranza d’essere.
      Pagliaccio al grado Generale
      Questo fantasma d’anima malarica
      Dove intercede il regno del cipresso.

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La giostra della lingua il suolo d’algebra

Marina Pizzi

Marina Pizzi

“Bisogna saper lasciare”, diceva Derrida.

Tenendo conto di questo suggerimento Pizzi, in prima istanza, si lascia alle parole lasciandole al loro destino errabondo. In seconda istanza questo lasciare/lasciarsi, quasi paradossalmente, viaggia in simbiosi con un processo di appropriazione. Si potrebbe parlare di descotomizzazione, ovvero di un procedimento che permette all’autore non di eludere, nascondere e rimuovere cose, persone e situazioni che procurano disagio, rifiuto e dolore, bensì di svelarle in tutta la loro interezza e complessità.

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