[…] Una poesia che non surroga né si sostituisce alla realtà, dunque, ma che esiste in quanto parola, e che proprio nella parola trova la propria giustificazione e il proprio senso. Una poesia che si propone esplicitamente un fine, nel senso che crea e definisce, attraverso la percezione dei realia che appartengono alla parola, la conseguente costruzione di una propria realtà: e attraverso questo percorso Ravizza – non senza consapevolezza, posso immaginare – va a incontrare la teorizzazione romantica del verso che comporta conoscenza, che è conoscenza in sé…
[…] anche di questo si dovrà dire, di come cioè la lucida partitura che ci mette innanzi Nel secolo fragile costruisca anche un percorso vitale, oltreché cognitivo, nel quale la verità della parola incrocia il destino privato e individuale dell’autore, degli altri da sé che quel destino hanno attraversato con la loro presenza, e della stessa grande storia, in pieghe che offrono al lettore intensi aperçu di poesia civile attualizzati e personalizzati al punto da reciderne con assoluta nettezza ogni concessione retorica (…) E da qui ancora, da questo intersecarsi del tempo individuale con la storia – la Storia –, la moltiplicazione altrettanto vertiginosa delle geografie, con una sottolineatura dell’epos atemporale dell’appartenenza europea.
[…] Ma non sarà il disorientamento dello spazio né la sottrazione immedicabile del tempo a togliere alla poesia di Ravizza il senso salvifico che si genera dalla presenza di un interlocutore, un interlocutore che venga a restituire senso ai nomi e alle cose attraverso la forza della parola.
(Gianmarco Gaspari, dalla Prefazione)