Archivi categoria: memoria

L’infanzia del segno

*

Continua a leggere L’infanzia del segno
Pubblicità

Per tutti l’inverno ha uno sguardo

Elisabetta Brizio

«L’estate fugge nelle province ctonie. / Il verde non è quello di una volta. // Tace il mare (sì, che ci accontenteremmo / di false fughe, falsi fondali, gioventù da dilapidare)». Sono i versi riportati in quarta (e in forma autografa in copertina) nella riedizione di Atelier d’inverno di Remo Pagnanelli – versi che attestano quanto il modularsi sul dispositivo etico-estetico dell’inconsistenza ontologica dell’umano abbia inciso sulla versificazione italiana di fine Novecento. La nuova edizione di Atelier d’inverno, con varianti d’autore, sorge sulla revisione di Pagnanelli risalente al gennaio 1987. Tre sezioni compongono l’opera: «Glaciazioni», «Pratiche dissolutive», «Musica da viaggio». Queste le impressioni del poeta, non del tutto soddisfatto dell’effetto complessivo della prima stesura di Atelier, a due anni dalla pubblicazione: «Leggendo più volte a voce alta l’edizione di Atelier d’inverno […], mi sono reso conto che, a parte il fastidio procurato al lettore da una eccessiva e farraginosa messa a punto (?) tipografica, il precipitato del testo era oltremodo ingolfato da una prosodia eccessivamente disforica, che, se rendeva mimeticamente il messaggio semantico, lo intorbidiva in qualche modo… così questa rilettura dovrebbe servire a rendere più agevole la lettura sia a voce alta che con gli occhi solamente. Credo che la natura del testo non sia spostata, se non in direzione di una maggiore chiarezza del disordine che lo compone. Vi ho aggiunto alcune poesie tratte dalla plaquette Musica da viaggio (Antonio Olmi, Macerata 1984), per completare quello che mi sembra tuttora un ciclo e dare l’idea dell’inizio di un altro. L’interminabilità del lavoro testuale, insomma. A parte la prosodia, è stata aggiunta una più precisa punteggiatura e rari cambi lessicali». (…)

Tratto da: Elisabetta Brizio,
Per tutti l’inverno ha uno sguardo
(Atelier d’inverno di Remo Pagnanelli),
“Quaderni delle Officine”, aprile 2023.

***

Ascoltare Mozart

(da: “La Foce e la Sorgente“, Quaderni, VII)

Ecco perché l’artista non deve diventare narratore di storie. In pittura, l’aneddoto non dovrebbe esistere. Un quadro, un soggetto, si impongono, solo l’artista ne conosce tutte le profondità, tutte le vertigini. Non succede nulla in un quadro, esso è e basta, è per definizione o non è. Baudelaire affermava che una poesia c’è prima di esserci, altrimenti corrisponderebbe a qualcosa di narrativo voluto dall’artista, di modificato. Un quadro, una poesia sfuggono a queste contingenze, c’è una libertà terribile in essi, una violenza selvaggia che non chiede nulla. In questo senso, l’artista è soltanto l’anello di una catena che è cominciata molto lontano nel tempo, a Lascaux per esempio, e certamente molto prima di Lascaux. Non c’è superiorità di Chardin rispetto a Lascaux, non c’è gerarchia. Tutte queste staffette creatrici appartengono allo stesso canto, quello del mondo, del fondo millenario del mondo di cui non so nulla ma che mi invia qualche messaggio, qualche bagliore. E l’artista vuole incessantemente ritrovare il fuoco che ne è all’origine., il  focolare che produce le scintille. Mozart lo sa, trae i movimenti così fluidi della musica da quel fondo misterioso, ha il merito di averli riportati alla luce, alla nostra luce. Ecco perché ascolto Mozart così religiosamente, con un diletto e un giubilo quasi sacri. Ascoltare Mozart come si prega, perché il suo canto ha saputo captare le vibrazioni segrete del mondo. In pittura la stessa grazia deve permeare l’artista. La stessa ricerca di armonia. Il paesaggio, i  bambini, che talvolta conoscono questo stato miracoloso, sono la mia materia: il modellato quasi polveroso di una guancia di bimbo o l’asprezza gessosa di una mela cotogna caduta dall’albero alle prime gelate. Ricordarsi delle analogie, delle corrispondenze enunciate da Baudelaire: «Il est des parfums, frais comme des chairs d’enfants. / Doux comme les hautbois, verts comme les prairies».

(Balthus, Memorie, traduzione di Fabrizio Ascari)

***

Histrio aeternalis

Emilio Villa

da Letania per Carmelo Bene,
Milano, Scheiwiller, 1996

*

conviene di voce alla criniera immature, demetriaca,
della tua voce.
Bene! bene! Bene dicas illud Benebene
in venis ultimis, in vanis ultimis, in ultimatis vocibus:
Bene è il
non causato, l’histrio aeternalis, da Eleusi,
ma causante memoria pluviale giudicata
a convegno, a scomparti, a ritrovi, a segreti menischi
rotanti, giuturna giovenca giovenile
da celebrare come corpus simulans atqui dissimulans:
denti sangue frusta fianchi
i lampaneggi delle arcaiche cinerule aggressioni,
libellule fastose, grovigli scosciati, sgrovigli, e smerigli
di glottidi ammainate, mai nate,
in infinite ugule pendule nodule,
dove cuce e ricuce l’Ideogramma d’Allarme,
Dilettoso della Grazia Erratica in pendii di effigie,
dell’Invocazione a Delta del trans-
alimento impeccabile, sutura più negra
della Prossimità/Corporeità illividita innumerabile
in formula di mistero di Cerimonia parthenia,
da Eleusi, spiga parthenogenica, proprio detto
Ear Reclining, in una
parola sola solitaria unica
non conoscibile, suffragata a tutela
di non conoscere, di non abitare, di disapparire

*