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Da un libro a venire di Nino Iacovella

Nino Iacovella acconsente alla pubblicazione di un’anticipazione di un libro che ho avuto il privilegio di leggere in anteprima: La parte arida della pianura.

Una scrittura controllatissima e rigorosa, un’idea di poesia aliena da ogni narcisismo e lirismo, una rara lucidità di pensiero e di giudizio innerva pagine destinate a segnare la scrittura in poesia del tempo che stiamo così angosciosamente attraversando.

La scrittura di Nino è istanza di libertà e intransigente scelta etica, politica, resistenziale.

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Nella foresta, di Franz Krauspenhaar

da Perìgeion: Fare rete nella rete.

perìgeion

di Nino Iacovella

Nella Foresta, di Franz Krauspenhaar

Parlare letterariamente di Franz mi costringe a giocare a carte scoperte. Franz è un amico. Un amico che anni fa divenne tale grazie a Christian Tito che recensì, agli esordi di questo blog, il suo romanzo “Era mio padre”. Christian aveva questo dono di rendere famiglia, per sé e per gli altri suoi amici, tutto ciò che amava e toccava. Se Franz era stato “toccato” da Christian, per me significava che era già famiglia. Lessi quel libro autobiografico così intenso e vero, scritto come solo un vero scrittore poteva fare, e proposi all’autore, sempre alla maniera di Christian, di incontrarci. Da lì nacque l’amicizia con Franz, un’amicizia che mi ha permesso di constatare, se mai ce ne fosse stato il bisogno, l’assoluta aderenza tra l’uomo e lo scrittore. Un autore senza sovrastrutture e pose precostituite tanto care a certi poeti e scrittori…

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Hop-Frog

Nino Iacovella

Il nano della Stazione Termini

Non tollero i rumori indistinti,
l’anonimo paesaggio di corpi,
inafferrabili per un rapace
senz’ali, né artigli per predare

Eppure è qui il pasto per la mia specie,
dentro gli occhi di chi è in cammino
e inciampa nel caos

So cosa pensano di me
da come osservano i miei passi,
un nano smarrito nel ventre della stazione,
un uomo costretto a cibarsi della bellezza
caduta dal tavolo degli avanzi

Sono quello che sono: uno storpio
inginocchiato per statura,
ma anche un sortilegio del mondo,
un suono che si stacca dal rumore
grigio dei giorni per farsi canto

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La linea Gustav

Nino Iacovella

Vorrei cambiare nome agli inverni
tenendo più stretto il ricordo del freddo
il gelo nelle dita dei soldati

Veder sparare ancora i tedeschi
a denti serrati dall’alto del muraglione
con occhi che spezzano a vivo
la coda inerme degli sfollati

E cercarvi lì, tra i vecchi a coprire le madri,
le madri come rifugi per sagome minute
(tra il seno e la spalla, insenature
come porti per piccole teste
spaurite nella burrasca)

Sul paese come un’ombra la linea Gustav,
tracciato d’inchiostro sulle rovine,
il confine tra chi si butta a terra
prima o dopo lo sparo

Nino Iacovella, La linea Gustav
Il Leggio Libreria Editrice, 2019

Nino Iacovella: Le pareti del Minotauro (inedito)

di Nino Iacovella

(inedito dal libro in preparazione “La parte arida della pianura“)

 

Antonietta avrebbe visto il suo destino
ancor prima che nelle carte

dentro al silenzio, al lupo nella stanza,
sulla neve del pavimento
dove brulicano gli inverni
a portata di mano

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Nino Iacovella: La donna del lago (inedito)

La donna del lago

La testa snodata, infinita del sogno
che nuota nell’acqua scura del lago

Ci si desta sempre quando lo scenario non coincide,
ma adesso non ci sono risvegli ad attendere

ed è un abisso il fondale delle notti

“L’amore è bello solo se è vero amore” scriveva Gabriella
come se le parole riemergessero a galla,
un colpo di pistola, la testa bucata nel sonno
un corpo alleggerito dalla morte che risale
con il pigiama, le mani legate, i piedi senza scarpe

Il sogno non distingue appieno la natura degli ostacoli
se tronco, pietra, corpi, come un pesce nuota

con occhi divisi e contrapposti
per guardare l’intero spazio, profondo
degli uomini che vanno a morire

Il sogno guarda, sgrana la catena che oscilla
come un’alga sul fondale, un cordone ombelicale
che arriva sino alla donna affiorata sul limbo dell’acqua,

Il corpo di lei era avvolto con un telone di plastica bianca,
legato in tre punti con cinghie da tapparella
appesantito da tre blocchi di cemento armato
ai quali il suo uomo l’aveva incatenata

Dicono che i circuiti neurali durante le notti
s’illuminano, arabeschi di luce, fuochi d’artificio
in un giorno di festa,
e qui la pietà è un filo che non si spezza

dalla nuca come un sogno che entra nel sogno,
il proiettile cambia sembianze, non è più un cuneo di piombo,
ma la macchia nera che vediamo quando si guarda in faccia il sole

ed è un attimo, quell’attimo di grazia
che oscura l’esplosione del colpo
e le nasconde l’arrivo della morte

inedito da Madre della violenza (La Parte arida della pianura)
Omicidio di Cernusco

 

Il poema ininterrotto

Nino Iacovella
Francesco Tomada

“Una allucinata somiglianza, una serie progressiva di variazioni, lega le poesie del suo unico libro, che sembrano vivere una dentro l’altra, intrecciarsi e districarsi come un “registro di fragili danze”, come voci «nella traccia di vento / del nostro svanire all’approdo». Sembra che le poesie si rincorrano e si ricombinino in “fuochi di caduta”, in una “incurabile misura del guardare”, all’interno di un dolore che non trova sollievo: «alle tue spalle immagina / con quale lingua il deserto / racconta la piaga dove premeva / la lama della luce il varco / dove precipita il respiro». Ma una speranza resta: «basta un’eco una reliquia di voce / affiorata all’insaputa delle labbra / e il confine è la tua mano». La speranza è sempre, con violenza, «la pupilla / esplosa di un fiore». Lo sguardo origina dalla cecità.”

(Continua a leggere su Perìgeion)

Per il decennale di RebStein, 15

terezin Nino Iacovella

Polaroid
(Cronaca nera)

La notte devia il corso delle povere cose
rimaste abbandonate:
un cartello rotto, un tubo di ferro,
sono ora corpi contundenti
accanto a un volto sfigurato

Rimane l’ombra dell’ultima parola
nella slogatura della bocca,
mastica il dolore di quella terra nuda

Poi la prima luce del giorno mostra
:::::::::::::::::::::::::::::  un corpo duro e solo,
tutto quel rosso che ferisce gli occhi
::::::::::::::::::::::::::::::::::::     ::di chi guarda:
la fossa mai terminata, la faccia come
:::::::::::::::::::::::::::::::un disegno sbagliato,
le fiamme di un’Italia che brucia

2 novembre 1975
Idroscalo di Ostia

Prima del diluvio, 11

Immagine di Michele Guyot Bourg

 

 

Nino Iacovella

(Una terra come carne)

La poesia non può cambiare l’ordine
del dolore

Quella polvere non si poserà altrove,
piuttosto ricuce addosso la presenza
delle lapidi, insinuando al funambolo
che osa lo sguardo oltre la corda
che sovrasta le proprie rovine

Cercare ricordi, tra i muri anneriti
e le case abbandonate, noi tra le notti ancorate
con le unghie che vanno a fondo
ai bordi del materasso, avessimo visto i volti,
le madri tra i vuoti delle stanze,
avremmo un taglio più vistoso al collo
e come parole un filo di voce

Per questo lanciamo solo segnali di fumo
da posti sicuri e abbandonati

e se apriamo nascondigli
nutriamo un vuoto di formaldeide,
un lascito di brace che toglie il respiro

Lasciamo tepore, ma con parole di cenere
dopo ogni bivacco

(continua a leggere qui)

Latitudini delle braccia (II)

Mario Giacomelli, Natura morta

Nino Iacovella

Latitudini delle braccia, come tutte le opere di poesia riuscite, lascia al lettore parecchie domande irrisolte e la sensazione che questa stessa incertezza non sia confusione, ma arricchimento e profondità. Come scrive il poeta, riprendendo un’asserzione che in Montale suona lievemente più apodittica: «siamo corpi accecati dall’indugio: / né cose che sanno andare via, / né cose che sanno restare».
(Alessandra Paganardi, dalla Prefazione)

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Latitudini delle braccia

Opera di Lucio Orlando, 1978
Opera di Lucio Orlando, 1978

Nino Iacovella

[…] Iacovella si assume per intero la responsabilità di un passato non scelto, spesso neppure vissuto, che nel bene e nel male preme nel suo sguardo quale inestinguibile eredità transgenerazionale. È il “passato che non passa”, il pegno heideggeriano dell’essere gettati nel mondo. È la serie di fotogrammi ideali che fermarono i gesti, le rinunce, i limiti da cui siamo stati forgiati, e che soltanto in apparenza sono andati perduti: come un’acqua corrente essi sono arrivati alla nostra generazione, e ancora scorrono verso le successive. […] Il poeta, grazie al lungo esercizio di uno sguardo meta-individuale, può parlare all’unisono con i protagonisti di vicende anche molto remote, fino a immedesimarsi totalmente con loro (…); oppure, come in molti testi di questa raccolta, può divenire parte in absentia di una coralità che, proprio come la memoria, passa e rimane. Continua a leggere Latitudini delle braccia