Stando all’ammonizione contenuta nella Nota di Domenico Brancale al libro di Anna Ruchat La forza prigioniera (Passigli Editore, Bagno a Ripoli 2021) – «Quando il poema è finito conviene tacere. Tutto ciò che si capisce è destinato a svanire. Anzi forse non è mai esistito. La poesia non è fatta per essere capita» (p. 85) – dovrei limitarmi a segnalare la pubblicazione del volume, magari raccomandandone caldamente la lettura; in effetti Domenico mi pone innanzi al legittimo e ineludibile dilemma nel quale mi dibatto ogni volta che decido di scrivere di un libro in poesia e che non sono mai capace di risolvere, dal momento che anch’io sono convinto che la poesia vada accolta, ascoltata, portata con sé (dentro di sé), mai sottoposta a luttuose autopsie o a frettolose recensioni (respingo il termine e il concetto stesso di “recensione”); d’altro canto mi succede talvolta di aver bisogno di scrivere di un libro in poesia, di rendere altre persone partecipi di quelli che da anni chiamo attraversamenti dei libri che studio e di cui poi scrivo; ebbene, spero non sia un banale escamotage linguistico questo mio parlare di un attraversamento del libro di Anna Ruchat, ché attraversare un libro in poesia significa sospendere il tempo banausico che opprime e affligge, indugiare nei e fra i testi, lasciarsi invadere dalla memoria di altri testi, di altri libri, stupirsi, soffermarsi a meditare su di un’immagine o su di un verso, osservare e ripercorrere la struttura del libro, provarsi a scorgerne scaturigini e motivazioni… M’illudo allora che anche attraversare in questo modo il libro di Anna Ruchat sia una maniera possibile di tacere, anche perché, afferma Domenico Brancale poco oltre, «se sapessimo veramente il significato di ciò che diciamo, non potremmo più scrivere». Continua a leggere Il centro dell’ombra e il fondo d’inchiostro: su “La forza prigioniera” di Anna Ruchat
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Tracce (2)
S’infittisce la presenza della poesia e più in generale della scrittura di Paul Celan nell’opera di diversi autori italiani di questi anni; mi è gradito, per esempio, accennare ai seguenti versi:
Lenz non aveva visto più nessuno.
Qualcuno lo aveva abbandonato.
Fuori ci si spartisce il secolo
e con mute furibonde scavalcheremo
l’anno, ognuno dalla sua parte
ognuno con il suo pezzo di bene nella bocca.
“Fuori fa freddo ed è gennaio”
e tutti ci cerchiamo con le mani
come ciechi, come assassini.
Da lì non avremo più il coraggio
di uccidere nessuno.
Si fanno larghe le pozze tra la neve
come i perdoni tra le impronte
Tracce (1)

Il 17 ottobre 1969, il giorno stesso del ritorno dal suo viaggio in Israele, Paul Celan compone (e poi invia a Ilana Shmueli) questa lirica che sarà pubblicata nel libro postumo Zeitgehöft (1979 presso l’Editore Suhrkamp):
ES STAND
der Feigensplitter auf deiner Lippe,
es stand
Jerusalem um uns,
es stand
der Hellkiefernduft
überm Dänenschiff, dem wir dankten,
ich stand
in dir.
In Memoriam
Paul Celan
(Cernauți, 23 novembre 1920 – Parigi, 20 aprile 1970)
La dimora del tempo sospeso
PAUL CELAN
Lungosenna (per Paul Celan)
(Molto probabilmente soltanto un poeta (o, comunque, un artista) può degnamente ricordare e omaggiare un poeta; per Paul Celan, in ricordo e in onore di Paul Celan, Domenico Brancale offre alla Dimora del tempo sospeso queste parole emerse dai suoi incerti umani – un grazie anche ad Anna Ruchat: lei e Domenico sanno il perché – A. D.)

nessuna voce franca
nessun luogo di respirazione
qui è un qualcuno a credere al sale degli occhi
qui messo a dimora
un vuoto preso in parola
tu nella ripetizione a mente per confondere io
attraverso questo essere irrimediabilmente traccia
fossile
a predire il cammino
udibile a malapena
nell’orma vuota che giace sotto i passi
……………………..l’istante è varco e diga
lungosenna del volto
di uno che annega parlando con la «colpa dell’amore»
accanto alle proprie mura edificate
convivendo con le macerie
ai margini d’infinite pupille
volto all’assente
spietrato
dalla lingua corrente che annoda
strappato da qualunque argine
indetto a muta perenne
ora che un nonnulla t’incera le mani
l’esilio è sotto l’unghia incarnita della notte
avevo appena versato le prime lacrime negre
non avrei mai dovuto imparare a sparlare
a fingermi tu …
Corona
La rosa di nessuno
Nessuno ci impasta di nuovo da terra e fango,
nessuno evoca la nostra polvere.
Nessuno.
Sia lode a te, Nessuno.
E’ per amore tuo che noi vogliamo
fiorire.
Incontro
a te.
Un Nulla
eravamo, siamo,
resteremo, fiorendo:
la rosa di Nulla,
di Nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filamento da cielo deserto,
rossa la corolla
per la parola purpurea, quella che cantammo
sopra la spina,
oltre.
(da qui)
Tenebrae
L’archetipo della parola
“René Char e Paul Celan. Due poeti, due “amici”, per i quali la percezione poetica è scheggia luminosa e disastro oscuro, “cammino del segreto” e “Tenda Inespugnata”. Questo volume collettivo è un viaggio fra le analogie e le differenze di questa percezione.
Dal saggio di Blanchot per Char ai versi di Éluard dedicati al poeta alla testimonianza di Handke, dalla lettura di Szondi all’intervista di Derrida su Celan, il volume presenta anche nuove traduzioni, testi inediti dei due poeti, incursioni critiche di scrittori contemporanei.
Char e Celan sono interpreti di quell’esperienza dell’impossibile che è e sarà sempre la poesia, dove la necessaria distruzione dei discorsi logici e la magica ricostruzione del discorso poetico non si oppongono programmaticamente ma risuonano come raffiche di un vento uguale e contrario, splendono e si oscurano come il lato segreto e quello visibile dell’astro lunare.” (Marco Ercolani)
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Marco Ercolani (a cura di)
L’archetipo della parola
René Char e Paul Celan
Messina, 2019
Carteggi Letterari – Le Edizioni
Derrida lettore di Celan
Il primo libro di Jacques Derrida interamente dedicato a un poeta appare nel 1986 e concerne Paul Celan. Si tratta del testo di una conferenza pronunciata due anni prima a Seattle, nel corso di un convegno internazionale. Cominciamo con l’esplicitare il titolo del volumetto, Schibboleth. Esso riprende quello di una poesia celaniana, ma il vocabolo – come il filosofo non manca di ricordare – ha origini assai più remote, che risalgono all’Antico Testamento. In un passo del libro dei Giudici, si narra ciò che avvenne dopo una battaglia vinta dai Galaaditi contro gli Efraimiti: «E Galaad bloccò i guadi del Giordano agli Efraimiti, in modo che quando qualcuno dei fuggitivi di Efraim diceva: “Fatemi passare!” gli uomini di Galaad gli chiedevano: “Sei tu di Efrata?” ed egli rispondeva: “No!”. Però quelli insistevano: “Di’ Schibboleth”; l’altro invece rispondeva “Sibboleth!” poiché non riusciva a pronunciarlo bene. Allora lo afferravano e lo sgozzavano nei guadi del Giordano, tanto che in quel giorno caddero uccisi quarantaduemila Efraimiti». Ecco come una parola in apparenza innocua (schibboleth in ebraico significa «spiga» o «torrente») può assumere risonanze sinistre, dato che la sua pronuncia scorretta, in una particolare circostanza bellica, fu sufficiente a causare una morte immediata e cruenta. Più tardi, però, nella cultura europea, il senso del vocabolo è cambiato, venendo ad assumere l’accezione più ampia e neutra di «segno di riconoscimento», «parola d’ordine». Così, per limitarci a ricordare due autori ben noti a Derrida, Hegel può scrivere che «l’odio per la legge, per il diritto legalmente determinato, è lo schibboleth con cui si rivelano il fanatismo, l’imbecillità e l’ipocrisia», oppure Freud può indicare nella distinzione tra coscienza e inconscio il «primo schibboleth della psicoanalisi».
(Continua a leggere su Philosophy Kitchen)
La lingua non appartiene
Irish
Gib mir das Wegrecht
über die Kornstiege zu deinem Schlaf,
das Wegrecht
über den Schlafpad,
das Recht, daß ich Torf stechen kann
am Herzhang,
morgen.
Concedimi il diritto di entrare
per la scala del grano nel tuo sonno,
il diritto di camminare
sul sentiero del sonno,
il diritto di poter scavare torba
lungo il pendio del cuore,
domani.
(Tratto da: Paul Celan, Fadensonnen, 1968
Traduzione di Francesco Marotta)
Musica discorde
Riproposte, 1
Dario Borso traduttore di Paul Celan
Paul Celan in Italia
Before the flood, 1
SALMO
Nessuno ci impasta di nuovo da terra e fango,
nessuno evoca la nostra polvere.
Nessuno.Sia lode a te, Nessuno.
E’ per amore tuo che noi vogliamo
fiorire.
Incontro
a te.Un Nulla
eravamo, siamo,
resteremo, fiorendo:
la rosa di Nulla,
di Nessuno.Con
lo stilo chiaro d’anima
il filamento da cielo deserto,
rossa la corolla
per la parola purpurea, quella che cantammo
sopra la spina,
oltre.
(Traduzione di Francesco Marotta)
riletture, 6
Quaderni delle Officine (XLIV)
Quaderni delle Officine
XLIV. Maggio 2014
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Via Lepsius. Tre studi (2014)
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Una piccola geografia dei sentimenti
Sebald a Stoccarda, Celan a Brema:
una piccola geografia dei sentimenti
A Stefano Gulizia, con affetto
Nel volumetto intitolato Moments musicaux (Adelphi, Milano, 2013, traduzione di Ada Vigliani) si può leggere il denso testo di W. G. Sebald Un tentativo di restituzione (pag. 31-41), originariamente pubblicato sulla Stuttgarter Zeitung il 18 novembre 2001 e poi raccolto nel libro postumo Campo Santo. Si tratta del discorso che lo scrittore tenne il 17 novembre dello stesso anno allo Haus der Literatur di Stoccarda e nel quale, con il girovagare tra luoghi, fatti e testi più o meno lontani tra di loro che gli è peculiare, Sebald stabilisce connessioni nient’affatto arbitrarie, intessendo con la sua inarrivabile finezza trame insospettate e rivelatrici.