Quaderni delle Officine
LXXXIX. Ottobre 2019
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Cerchje de fuoche (Cerchi di fuoco)
Per Assunta Finiguerra
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Quaderni delle Officine
LXXXIX. Ottobre 2019
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Cerchje de fuoche (Cerchi di fuoco)
Per Assunta Finiguerra
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Assunta Finiguerra
(1946-2009)
“Nel decennale della scomparsa desidero rendere omaggio all’opera e alla memoria di Assunta Finiguerra (che ho avuto l’onore e la gioia d’incontrare personalmente) “attraversando” qui due suoi libri.
Scurije è il primo (Faloppio, LietoColle, 2005), il secondo, che raccoglie due sillogi pubblicate in vita più sessantotto inediti, è Fanfarije (LietoColle, 2010).
Attraversare e riattraversare i libri di poesia di Assunta Finiguerra è transitare attraverso il fuoco del linguaggio che, per lei, era (è) anche passione, lasciarsi guidare da una Francesca che non dimentica le ferite d’amore né le rinnega, capace del canto più alto quanto più forte è il turbine che la conduce con sé. Questa è finalmente una poesia senza languori, spesso petrosa nella più pura tradizione dantesca, non gridata, non atteggiata, si sarebbe tentati di dire gemmata dal tronco di Saffo: formalmente perfetta e capace di dire gli abissi del sentire e del pensare.”
Un “attraversamento” di Scannaciucce
(Mesogea, Messina, 2019)
di Domenico Brancale
A Domenico Brancale preme l’origine del suono-parola, la sua basilarità e pre-verbalità perché ogni parola articolata fatalmente si allontana da quell’origine (anche pre-umana) rischiando di falsare il rapporto con il mondo e, inevitabilmente, la mente ha bisogno della parola articolata per dire e per provare a comprendere.
Il raglio dell’asino diventa allora il paradigma di un suono istintivo e naturale, capace di esprimersi in modulazioni differenti, ma mai falsificato o impostato, sempre in accordo con i bisogni espressivi dell’animale.
Testi
Trippi nni stu quarteri
unni trippavu jù
(muzzicuna di sicaretti
pitruzzi
erba fausa gnuni gnuni
vuci
di lingua ncripitusa).
T’addurmisci nni sta casa
unni m’addurmiscevu jù
(cci muriu mo nannu
a longu stari,
mo patri).
[AA.VV., Cesare Ruffato: la poesia in dialetto e in lingua, Atti del Seminario di Studi – Padova, 11 marzo 1999 -, a c. di B. Bartolomeo e S. Chemotti, Intr. di C. De Michelis, Biblioteca di «Studi Novecenteschi», n. 3, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001]
Cesare Ruffato. Cuorema di memoria
Pressoché assente nelle raccolte in lingua il tempo passato si innerva invece nel dialetto di Cesare Ruffato e lo connota, ma non trascina mai il ricordo né lo incurva nell’adorazione dello spazio perduto della totalità solare, vissuta, o sentita tale per rimozione, o solo supposta per pigrizia intellettuale e conformismo culturale(1), lì fermandolo come il massimo di inappartenenza al presente.
Appare – questo tempo passato – presenza certa nella consapevolezza, tuttavia, del suo essere perduto e nella domanda, nemmeno sotterranea, se e dove abbia depositato il valore dei legami, la valenza delle esperienze e delle loro epifanie, dei lasciti che marcano appunto l’essere vivi e l’agire, o il senso etico della modalità di essere e agire.
Manuel Cohen
Dario Pasero
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N. 7 (XXXIV)
Dario Pasero:
Il qui e l’altrove della lingua.
La scrittura della residenza
e dell’erranza.
Certificato da buone uscite in riviste specializzate e in antologie di settore, fondatore a sua volta di periodici: «La Slòira», «L’Escalina», con in attivo studi di letteratura piemontese e prose dialettali, Dario Pasero, che ha licenziato pochissimi titoli di poesia, è tra gli autori di versi più interessanti della scena contemporanea. Continua a leggere Dario Pasero: Il qui e l’altrove della lingua
Manuel Cohen
Anna Elisa De Gregorio
REPERTORIO DELLE VOCI
SECONDA SERIE,
N. 6 (XXXIII)
La lumaca che striscia sulle corde del tempo.
L’esordio in dialetto
di Anna Elisa De Gregorio
Un distico, sapienziale e sillogistico, tratto da La Rosa di Franco Scataglini, omaggia il poeta, uno tra i massimi lirici e neo-dialettali del Novecento, di cui ricorre quest’anno il ventennale dalla morte, ed è posto in exergo al terzo libro di versi, ed il primo in dialetto, di Anna Elisa De Gregorio: «Niente al tempo resiste: / invero, niente esiste.» Dopo due ottime raccolte in lingua, Le rondini di Manet (Polistampa 2010) e Dopo tanto esilio (Raffaelli 2012), Corde de tempo, decimo volume di una interessante collana di poesia, Donne Arte Ricerca e Sperimentazione, curata da Marina Giovannelli, e dedicata alle vincitrici del Premio Biennale Elsa Buiese (assegnato, tra le altre, a Maria Grazia Lenisa nel 2001, a Loredana Magazzeni nel 2005, a Rossana Roberti nel 2007, ad Antonella Pizzo nel 2009, e a Nelvia Di Monte nel 2011) registra il particolare approdo al dialetto. Nata a Siena da genitori campani, nel 1959 l’autrice si trasferisce nella couche di Scataglini, Ancona, città in cui vive e opera. Continua a leggere La lumaca che striscia sulle corde del tempo
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N.5 (XXXII)
Marco Scalabrino e la coralità
del Novecento siciliano
Continua a leggere Marco Scalabrino e la coralità del Novecento siciliano
Manuel Cohen
Angela Bonanno
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N. 3 (XXX)
“A rose ca gallegge ndó becchiere
me guarde cu duje uocchje annammarute]
pe ddìreme ca pe edde só fenute
i tiembe de spascézze ndó giuardine”
“La rosa che galleggia nel bicchiere
mi guarda con due occhi amareggiati
per dirmi che per essa son finiti
i tempi di goduria nel giardino”.
(Assunta Finiguerra,
Tatemije, Mursia 2010)
Continua a leggere Il lievito Madre/Padre, o Doping, nella poesia di Angela Bonanno
Manuel Cohen
Vincenzo Mastropirro
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N.2 (XXIX)
sempre e ovunque
Quanne u fiote s’accarne
ogne vibrazione devènde museche
da dà, camèine, scappe e po’ abbuaisce
patrune-e-suotte, du timbe e du sune.
[Quando il fiato s’accarna, / ogni vibrazione diventa musica / da lì, cammino, corro e poi volo / padrone e schiavo, del tempo e del suono.]
Continua a leggere Il refrain libero e civile di Vincenzo Mastropirro
Federico Tavan
(1949-2013)
Al destìn de un om
Al podeva capitâte anç a ti
nasce t’un pegnatòn
tra zovàtz e zùfignes
de stries cencia prozes
e al dolour grant de ‘na mare.
Me soi cjatât a passâ
de chê bandes.
Federico Tavan
Un articolo di Luigi Nacci
Un articolo di Doriana Goracci
Laura Turci
Il percorso di Laura Turci, se da un lato si inserisce all’interno dell’ampia tradizione dialettale romagnola, dall’altro si caratterizza per alcune particolarità che ne rendono la poesia decisamente personale e riconoscibile. Prima di tutto va rilevato come lo strumento espressivo sia il dialetto meldolese (Meldola è un piccolo comune nella provincia di Forlì-Cesena), che, come sottolinea Andrea Brigliadori, è di per sé quasi privo di una vera e propria tradizione poetica; altra caratteristica è poi il numero estremamente limitato di poesie che l’autrice ha pubblicato nel corso degli anni, per cui la sua scrittura assume quasi le sembianze di un’opera lenta di distillazione.
Giulia Corsino
Se in Italia si è giovani poeti fino a ben oltre i quarant’anni, quando si incontra una voce nuova e originale ben al di sotto di quella soglia è bene cercare di tenerla a mente e di darle rilevanza. E’ il caso di Giulia Corsino, autrice poco più che ventenne, siciliana di origine anche se oggi vive in Lombardia. Il suo esordio è estremamente precoce (il primo romanzo fu pubblicato quando la scrittrice aveva solo quindici anni), così come sostanziosa è la sua produzione in poesia, che si configura già ora come una raccolta pressoché compiuta. Da questo lavoro proponiamo i testi che seguono, dove si evidenziano le peculiarità della scrittura di Giulia Corsino: un utilizzo asciutto e consapevole della parola, una spiccata sensibilità verso il mondo degli affetti, la capacità di astrarre concetti profondi ma senza ricorrere alla sicurezza di una eccessiva razionalizzazione. Continua a leggere Per il presente, s’intende
Massimiliano Damaggio
Fabio Franzin
Massimiliano Damaggio
Su Fabrica e altre poesie di Fabio Franzin.
“Posso, senza armi, rivoltarmi?”(1) Lo scrive Drummond de Andrade. Io credo nella parola, poetica oppure non, credo fortemente che abbia ragione Ferreira Gullar quando dice:
Ora, io so molto bene che la poesia
non cambia (subito) il mondo(2)
Appunti per nuove mappature della generazione entrante:
Cescon, Corsi, Ostan, Teodorani.
La lingua di Vincenzo Mastropirro
So viste accide le murte, questa ridondanza semantica rende bene il valore della poesia dialettale di Vincenzo Mastropirro. Sènza facce sìenze/ sènza sanghe/ sènza recurde/ sènza vausce/ sènza nudde// Nudde meninne mèi (senza faccia senza/ senza sangue/ senza ricordi/ senza voce/ senza niente// Niente bambino mio). Libera tanto dalla “globalizzazione dei linguaggi poetici”, quanto dalla “specializzazione” delle lingue nazionali, il linguaggio poetico si dispiega nel vuoto pneumatico della libertà. Continua a leggere Il domatore di canzoni
Dina Basso tra le primizie del deserto.
“Nun serva a nenti cummighiarisi,
tantu quannu scrivemu
semu sempri’ a nura”
(“Non serve a niente coprirsi,
tanto quando scriviamo
siamo sempre nudi”)
Manuel Cohen
Salvatore Pagliuca
La terra e la lingua.
Tra orti e pietre la parola
di Salvatore Pagliuca.
“…ciascuno risale per strade
di pensieri più chiari e inquieti
come una nazionale tra oliveti
da sicignano a vietri”
Con Lengh’ r’ terr’ (Lingua di terra), Salvatore Pagliuca, archeologo, infaticabile operatore culturale, studioso di arte contemporanea e di storia locale, basti qui ricordare la prova narrativa in cui storia e fiction danno luogo a un esito inatteso: Il 1799 a Muro ovvero su di un manoscritto perduto, ritrovato e nuovamente perduto (1999), consegna al lettore una ampia scelta del suo lavoro in versi edito in volume, o presente in antologie, si pensi ai componimenti apparsi nei volumi curati da Tito Spinelli (2000; 2011) e da Luciano Zannier (1998; 2005), o in edizioni d’arte: è il caso, ad esempio, dei versi che corredano il catalogo So quanti passi. Muro lucano dal 1981 al 1997 nelle fotografie di Antonio Pagnotta (1998); nonché una nuova sezione di Inedite. Le raccolte edite nell’ultimo ventennio sono: Cocktél (1993), Orto botanico (1997), Cor’ šcantàt’ (Stupido cuore spaventato, 2008) e Pret’ ianch’ (Pietre bianche, 2010). Quattro solchi d’aratro, o quattro scavi nell’archeologia della lingua e del paesaggio, che marcano la scrittura e la vita. Continua a leggere Repertorio delle voci (XXII)