Archivi categoria: poetiche

Gli ocelli del ghepardo

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Le lointain / Il lontano

Yves Bergeret

Tratto da Carnet de la langue-espace.
Traduzione di Francesco Marotta.

Un pas puis l’autre
le lointain n’hésite pas ;
les chiens hurlent,
est-ce de joie ?

Les marées rapprochent écartent les montagnes
que tant de violence intimide
harcèle le jour la nuit.

Et si le lointain à pas sûrs s’approche encore
on sait coudre le cuir des montagnes :
tes doigts, le dur buis, le fil de la parole.

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La scoperta della poesia

Giuliano Mesa

Ad esempio. La scoperta della poesia

Ad esempio
Ad esempio, dire di ciò che non sappiamo dire. Senza cercare teoria. Senza temere il conflitto, lo stridore, lo stridere delle parti. Se la poesia è relazione, mette in relazione, non finge sintesi.
(Tutto ciò, e ciò che segue, è detto facendo un passo indietro, incauto, di non-silenzio.)

Rumpelstilzchen
“Trampolino Tonante mi chiamo, / il mio nome nessuno lo sa.” Questa la didascalia sotto il disegno di uno gnomo che armeggia con un arcolaio. La vidi in soffitta, sfogliando un libro di fiabe, che stava tra le cose di una zia. Avevo imparato a leggere da poco. Ne rimasi così turbato che ancora ho nella mente l’immagine di quel bambino che guarda e legge, con gli occhi spalancati, forse spaventati. In casa non c’erano libri, e i primi che poi mi procurai non furono di fiabe. E quel libro che stava in soffitta, la zia se l’era ripreso insieme alle altre sue cose lì in deposito. Per tutta la vita mi sono chiesto chi fosse Trampolino Tonante, fingendo di non poterlo scoprire. Infine l’ho scoperto, “per caso”. Trampolino Tonante è Rumpelstilzchen, una delle fiabe più note dei fratelli Grimm. Lettore bulimico, per tutta la vita ho evitato accuratamente quella fiaba, dove la scoperta del nome può salvare dalla morte una ragazza, e poi ne può salvare il figlio, che altrimenti diverrebbe preda, e prole, dell’innominato… “Ach, wie gut is, daß niemand weiß / Daß ich Rumpelstilzchen heiß!”.

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Nel gesto incompiuto della scrittura

Marco Ercolani

Dopo Antiterra (I libri dell’Arca, Joker, 2006), in cui aveva riunito gli editoriali scritti per “Anterem” dal n. 51 al n. 71, in L’esperienza poetica del pensiero (Nuova Limina 2022) Flavio Ermini completa l’opera raccogliendo quelli scritti, sempre per “Anterem”, dal n. 72 al n. 100.

Inizieremo questa breve prefazione proprio a partire dall’editoriale dell’ultimo e definitivo numero della rivista, Da un’altra lingua. Anterem 1976-2020, totalmente votato alla traduzione di testi poetici: la coerenza di una vita dedicata all’ostinata riflessione sulla “parola come inizio” traspare dalle brevi righe finali: 

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Omaggio ai sassi di Tot

Emilio Villa

«Scale, idest rudimenta
graduum, seu phraspicae
exercitationes in sonitus
cymbalicos, vulgo sarabanda»
Venere geometrica, vergine corrosa,
madrepora sposa delle ere mesolitiche,
Venere di Willendorf, vergine a ruota,
avorio cariato nel manico e nel cuneo;

Venere di Savignano sul Panaro,
dove la metropoli fluviale nel cumulo dai detriti
gemina obbliqua per 4000 tronchi fradici la trota
dalle scaglie cromate di pervinca,
e Venere maltese per la filibusta fenicia, e Venere
senza vene, Venere acefala, Venere callipigia,
all’ombelico di Milo di Cirene di Butrinto,
Venere dalla rotula nostalgica, Ciprigna
rododattila panrodia rodopormia.

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L’effetto della poesia

Hugo von Hofmannsthal

Si lasci che noi artisti siamo con le parole come altri con le pietre bianche o colorate, col metallo sbalzato, coi suoni affinati e con la danza. Ci si apprezzi per la nostra arte  e però si lodino i retori per i loro principi e la loro foga, per la sapienza i saggi, i mistici per le loro illuminazioni. Ma, se ancora si volessero confessioni, le si trovi nelle memorie degli statisti e dei letterati, nelle confidenze dei medici, delle ballerine e dei mangiatori d’oppio: per coloro che non sanno distinguere l’elemento materiale da quello artistico, l’arte è assente in ogni caso; ma certo anche per loro esistono cose scritte a sufficienza.

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Il mito della coscienza incorporea. Derrida e Valéry

Giuseppe Zuccarino

1. Uno degli autori con cui Jacques Derrida si è confrontato a più riprese è Paul Valéry. Nel suo dialogo con questo importante poeta, narratore e saggista, un primo testo da prendere in esame è Qual Quelle. Les sources de Valéry[1]. Già il titolo richiede dei chiarimenti. Qual Quelle, pronunciato alla maniera francese, allude fonicamente a Tel quel, un’opera dello stesso Valéry[2]. Tuttavia, nel caso specifico, la formula va letta in tedesco, lingua in cui Qual equivale a «pena, strazio, tormento» e Quelle a «sorgente, fonte». C’è qui un rinvio a certe considerazioni hegeliane, che Derrida richiama nel corso del suo saggio. Hegel scriveva fra l’altro: «Egli [Jakob Böhme] sostiene che “l’unico è differenziato ad opera della pena, del tormento [Qual]”. Donde deriva la nozione di rampollare, di scaturigine [Quellen]: un arguto gioco di parole; la “pena” è la negatività in se stessa; con “rampollare” egli intende la vitalità e l’attività, che collega con la natura, la sostanza, la qualità [Qualität[3]. In effetti Böhme, mistico tedesco vissuto tra il XVI e il XVII secolo, metteva in relazione fra loro le varie parole citate, come spiega una studiosa della sua opera, Cecilia Muratori: «Secondo il gioco delle “etimologie sonore” create da Böhme, Qualität è collegata ai verbi quellen e quallen: il primo significa sgorgare, ad indicare il fatto che una qualità è qualcosa che sfocia all’esterno, cioè che produce un effetto analogo a quello di una sorgente (Quelle) […]. Una qualità ha almeno due modi per sgorgare o zampillare, vale a dire in accordo con la forza celeste di Dio o con la forza rabbiosa del Demonio: nel primo caso sarà una sorgente di vita, mentre nel secondo caso da Quelle diventerà Qual, cioè tormento o tortura poiché al posto della gioia farà scaturire solo sentimenti di angoscia»[4].

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Il “Parmenides” di Nanni Cagnone

Nanni Cagnone
Parmenides Remastered
Macerata, Giometti & Antonello, 2022

Il poema Sulla natura, del filosofo greco Parmenide d’Elea (v Secolo a.C.), giunto fino a noi in 19 frammenti, non solo è un testo di riferimento per l’intera cultura greca, ma coinvolge i fondamenti di tutta la filosofia occidentale, tanto che nel ’900 ha dato spunto a innumerevoli considerazioni, in particolare da parte di quei filosofi che si sono confrontati con i temi primari dell’essere, la verità, l’apparenza, l’uno, il tutto, il molteplice ecc. Nanni Cagnone, a quanto dice, percepisce questo testo come «un ostacolo, un fondamentale assillo» con cui è inevitabile fare i conti ma da cui prendere, quando occorre, le distanze. Quella che Cagnone ci propone qui, è una traduzione in senso molto ampio, che riassume i vari sensi che ha avuto questo termine nella tradizione ma al contempo li amplia in una direzione probabilmente inedita. Si ha dunque il corpo a corpo con il testo originale, che poi si fa commentario stringente e spesso irriverente, per poi trasformarsi in verso autonomo. La gerarchia tipografica tra testo e commento si mescola, i frammenti vengono montati in un ordine estraneo alla consequenzialità filologica, ma suggestivo in chiarezza, e tutto si fa materia del pensiero. Conscio della distanza anche di visione che lo separa da questo filosofo delle origini, una volta compiuta quella che definisce nulla più che «la comprovata esperienza d’un lettore», Cagnone si congeda da Parmenide come da un duello in cui si è compiuto qualcosa di decisivo riguardo a ciò che noi chiamiamo pensiero, linguaggio e verità. 

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[Leggi il saggio critico di Antonio Devicienti,
“Un attraversamento di Parmenides remastered di Nanni Cagnone”,
in “Quaderni delle Officine”, LXXXVI, giugno 2019.]