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L’angelo amaro degli assenti

L’arte dimenticata di morire

un altro giorno di sabbia senza impronte
scivola tra le dita, prende fuoco alla luce ostile
che instancabile danza dove più esile invecchia la luna –
la notte non ha più segreti
e i suoi doni rivelano al corpo
l’estraneo chiarore che avvicina ossa e ombre
in un abbraccio, un colore indefinibile che ama il freddo
come il mattino le rose cresciute sulla lingua –
il tempo che credevi privo di esistenza
compone la sua opera, conserva nel palmo
neve che profuma al tocco dell’aurora,
e intanto tu guardi il letto, il bianco del lenzuolo
aggrumarsi in macchie di calore, tendersi lacerarsi
fino a che il cielo si abbassa all’altezza dello sguardo

(il dolore naviga nella stanza
come una vela inquieta in uno stagno immobile,
cade dagli occhi, squama la pelle sul labbro
e la voce brucia, raggelata, come una stella
nei sogni del vento –
a casa, perdute nel lontano,
le mie carte parlano al silenzio parole che non conosco,
si affidano all’angelo amaro degli assenti
perché ancora un’eco rimanga – una lenta
nostalgia del mondo
mentre la morte gioca a nascondersi nei nidi del sole)

(da qui)

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Antonio Devicienti su “Hairesis”

Sul blog-rivista Il Primo Amore, Antonio Devicienti propone una lettura di Hairesis: un vero attraversamento del libro, del quale porta a galla echi e risonanze profonde grazie alla sua finezza di critico e a un’innata, naturale disposizione-vocazione all’ascolto dei testi.

Ringrazio sentitamente l’autore e la redazione tutta, a partire da Jonny Costantino che ha pubblicato l’articolo. Lo si legge qui.

Scritto 2

Eduardo Chillida: Gravitación. Elogio del agua, 1987.

Ma il gesto dello scrivere s’inoltra (s’inoltri) in direzione della parola.
Ch’essa sia chiara e antifascista, mi ricorda il carissimo Yves Bergeret.
Mi scrive che spesso la mercificazione di ogni aspetto dell’esistere svaluta e indebolisce la parola, vale a dire la persona. Aggiunge che continua a leggere testi di altissimo valore etico e intellettuale e che, tuttavia, ogni cosa, intorno, sembra disfarsi in un calderone nauseante e feudale.
Dalla Dimora del tempo sospeso nulla che riguardi la parola rimane intentato nel suo volere e dover essere avversione dichiarata al ritornante fascismo, al violento oscurantismo.

ho solo parole per dirti che nel cavo degli occhi
portavo scritta l’attesa del tuo nome
il profumo del tuo volto che vampa come una vela
pronta per salpare –
naufrago sulla tua lingua
abbagliato dai soli che fiorisci in pieno inverno (Francesco Marotta, da Hairesis).

Tramonto

(L’arte dimenticata di morire)

è lo spazio che occupano – l’anima delle cose
portare alle labbra pazienza e dolore
tracciare solchi sul viso per scrivere la parola seme
le sue sillabe di solitudine
e i mancati giorni, l’alfabeto delle stagioni
che, ignari, indossiamo come un vestito di gala –
ed è già tramonto –
in un viola oscuro si esplorano gli abiti deposti sul letto
si contano a lumi di vertigine
le ultime flebo consumate, i liquidi miracolosi
che galleggiano nell’aria
come schegge di un mare raccolto in un bicchiere,
mentre ancora si cerca il sesso dell’amata
mezzaluce di domande dimenticate
di risposte disattese

(nella deriva delle pupille assopite
profili incerti in un reliquiario di voci,
la stanza ondeggia, i libri penzolano ingialliti alle pareti
i versi di ieri sul margine in ombra della riva –
a volte ti brucia i ricordi – il silenzio
come il fuoco di un dio senza tempio, e tu inciampi
negli strali del buio, tra le carte della tua assenza
disseminate nell’aria)

(da Hairesis, 2004)

Madre di creature ferite

(Madre di creature ferite, 3)

Non ricoprire di pietre
l’immagine che dal tuo respiro grida
fino a tentare il sonno
di un dio imbiancato di rughe e di tramonti
la sua ombra non mai coniugata
di pianto
(il paradiso lo scopri
nel breve volo
di un bambino
senz’ali – lo vedi, beve dalla tua bocca
anni sfioriti, frutto dell’incesto
tra miseria e miseria) –

Continua a leggere Madre di creature ferite

Il cesto di libri sulle acque, 3

Francesco Marotta

Madre di creature ferite (VII)

Luminescenti segnali di festa in ogni strada –
ai margini, come seguendo orme
senza suono,
il passo ampio di chi s’impenna e vola
dove il silenzio è madre,
il dono di un’ora che si trascina
fino a che il mondo emerge dalla sua pelle infetta
e si abbandona al richiamo
del lume che tace nel profondo (il papavero
intanto
assorbe nel colore
i nomi in cui trapianta la sua sera, la nuda piaga
delle spighe sradicate)

Declinare la cenere, coniugare gli occhi
a immaginari residui di scintille,
per dismisura di umano bruciare divise e bandiere
dare fuoco ai giorni di dicembre
procurarsi una lingua
che parla il seme e il verbo del disgelo

camminare di fianco all’angelo
che recita i nomi degli assenti
essere le sue gambe, l’acqua che porta alle sue labbra –

e ancora urlare quanto negli occhi resta
trapassando dal sonno
alla veglia misericordiosa delle ali
portare la sua ombra stretta al dito
reggere grani e vento, farsi sete.

Farsi sete – cercare il ristoro di ogni fonte
abbeverarsi all’eco
dell’altro che reca in mano
la voce ferita che ci salva,
l’alfabeto dell’unico cielo che ripara.

Francesco Marotta
Hairesis (2004)
Lecce, Terra d’Ulivi Edizioni, 2016

Reparto C, Stanza N. 13

Francesco Marotta - HairesisReparto C, Stanza Numero 13

Tratto da:
Francesco Marotta
Hairesis (2007, 2016)

sotto il ventre dove il delta si schiude in
carne che riempie la bocca e
qui dentro sepolti di grida la pelle al macello s’accende
la morsa l’effetto un rosa discreto saluta la rena
come fosse un giardino che danza
una madre distesa sul fianco
che lega alle cose un vagito l’orma di un piede senz’aria

Continua a leggere Reparto C, Stanza N. 13

Prima del diluvio, 10

Immagine di Michele Guyot Bourg

 

 

Francesco Marotta

Ars Poetica

note per improvvisate metafore
vagando tra storie che sfumano in acque di eventi interdetti
tumescenza per troppo furore
passando in rassegna
ectoplasmi di neve
e si fugge
solo intuibile l’ubiquità di certi bagliori
adiacenze di tregua nel buco del culo del mondo
dove le foglie reclamano spazio
ai cieli consunti in deliri di tenebre acerbe
ingiunzione a stremare l’interno
la vita vissuta per interposta persona
che pende
riprende lo slancio
s’avvita nel vortice di minute torsioni
intenzioni di stile
emozioni
l’età che ritratta umbratili vuoti
eiacula ritmi di sensi straziati
l’immagine si fissa nel gioco
la luna che ha sete avvicenda rumori
tu dici del verbo dovrebbe segnare l’inizio e alla fine
ultimarsi nel gergo
controllare sintassi di simboli
epigrafici grumi di fango
orme di esistere ai margini
comunione di sguardi tra sangue e altro sangue
e forse incede
resiste
ci sarà qualche gesto un solco più fondo
un fiore nell’implume materia
sutura di un grido
un accento di luce scampato a fluenze
di lacrime
e
merce

Natura morta con ciuffi d’erba e roseti

“tu dici del verbo dovrebbe
segnare l’inizio e alla fine
ultimarsi nel gergo
controllare sintassi di simboli
epigrafici grumi di fango
orme di esistere ai margini
comunione di sguardi tra sangue
e altro sangue
e forse incede
resiste
ci sarà qualche gesto
un solco più fondo
un fiore nell’informe materia
sutura di un grido
un accento di luce scampato
a fluenze
di lacrime
e
merce”

Continua a leggere Natura morta con ciuffi d’erba e roseti

Take some of my water

Ringrazio di cuore Rosa Pierno e Margherita Ealla che hanno voluto dedicare una nota di lettura a due miei vecchi lavori pubblicati in rete. Le loro parole sono doni tanto inaspettati quanto particolarmente preziosi e graditi.

La recensione di Rosa prende in considerazione Hairesis (qui il testo negli e-book di “Poesia Italiana” di Biagio Cepollaro); quella di Margherita riguarda Il dono di Eraclito (qui il testo nella sezione “Tracce pdf” della Dimora).

Un abbraccio ad entrambe.