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Tlön, Uqbar, Orbis Tertius

Jorge Louis Borges

Tlön, Uqbar, Orbis Tertius

I

Debbo la scoperta di Uqbar alla congiunzione di uno specchio e di un’enciclopedia. Lo specchio inquietava il fondo d’un corridoio in una villa di via Gaona, a Ramos Mejìa; l’enciclopedia s’intitola ingannevolmente The Anglo-American Cyclopaedia (New York 1917), ed è una ristampa non meno letterale che noiosa dell’Encyclopaedia Britannica del 1902. Il fatto accadde un cinque anni fa. Bioy Casares, che quella sera aveva cenato da noi, stava parlando d’un suo progetto di romanzo in prima persona, in cui il narratore, omettendo o deformando alcuni fatti, sarebbe incorso in varie contraddizioni, che avrebbero permesso ad alcuni lettori – a pochissimi lettori – di indovinare una realtà atroce o banale. Dal fondo remoto del corridoio lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Continua a leggere Tlön, Uqbar, Orbis Tertius

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La biblioteca di Babele

Jorge Luis Borges

La biblioteca di Babele

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che si inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito… La luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è insufficiente, incessante.

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Per un omaggio a Castor Seibel

Ancora una volta devo esplicitare il mio debito di riconoscenza nei confronti di Domenico Brancale: i testi che ho studiato per scrivere il presente articolo sono suo generosissimo dono (sia materiale che umano e intellettuale) e, inoltre, la mia curiosità nei confronti di Seibel è cominciata proprio con la dedica “per Castor Seibel” che Domenico premette a una sua poesia leggibile in incerti umani (Passigli, Firenze, 2013):

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I teologi

Jorge Luis Borges

I Teologi

     Devastato il giardino, profanati i calici e gli altari, gli unni entrarono a cavallo nella biblioteca nel monastero e lacerarono i libri incomprensibili, li oltraggiarono e li dettero alle fiamme, temendo forse che le pagine accogliessero bestemmie contro il loro dio, che era una scimitarra di ferro. Bruciarono palinsesti e codici, ma nel cuore del rogo, tra la cenere, rimase quasi intatto il libro dodicesimo della Civitas Dei, dove si narra che Platone insegnò in Atene che, alla fine dei secoli, tutte le cose riacquisteranno il loro stato anteriore ed egli, in Atene, davanti allo stesso uditorio, insegnerà nuovamente tale dottrina. Continua a leggere I teologi

“Pasaron, pues, largos días”

Antonio Scavone

Un testo magistrale, indimenticabile. Tradotto dal silenzio, da quel lugar sin límites dove la nostra identità, deposto tutto il carico che gli occhi imbarcano nella traversata degli anni, si specchia e si riflette, libera e perpetua traccia del rifiorire dei volti, nell’immagine senza tempo e senza parole delle sue radici. Una pagina che migra lenta al ritmo di un respiro a lungo trattenuto nel cuore, sulle ali di una scrittura trasparente come una fonte e commossa come un battito di ciglia sfuggito per un attimo al controllo del pensiero – una scrittura che ne segue e asseconda il volo dal paese della memoria agli annali inviolabili dell’anima. (fm)

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Il bosco di Robert Graves

Antonio Sabino

IL BOSCO DI ROBERT GRAVES

Alessandro Magno e la prima guerra mondiale

Nel secondo volume del Dizionario della Letteratura Mondiale del ‘900, Edizioni Paoline, Roma 1980, nella scheda dedicata a Robert Graves si legge che il poeta morì nel 1975, mentre altrove, ad esempio nelle alette posteriori di alcune delle edizioni italiane dei testi del medesimo autore o in repertori biografici viene indicato il 1985, così anche sulla semplice lapide a Deya, o ancora viene riportato il 1986. Secondo il cieco molosso amministrativo Robert von Ranke Graves morì il 7 dicembre 1985, all’età di 90 anni, 6 mesi e 7 giorni; si potrebbe ipotizzare che l’errore riscontrato nel Dizionario delle Edizioni Paoline sia stato indotto dal fatto che l’ultimo importante libro di Graves, i Collected Poems, risale al 1975. Continua a leggere Il bosco di Robert Graves

Caro Jack: con amore e squallore – di Lisa Sammarco

[LISA SAMMARCO]

afterlorca

Caro Jack,

Delle tue poesie mi ha colpito, in particolare, la raccolta “After Lorca”. In essa affronti tematiche che non sono proprie solo della poesia, ma riguardano la scrittura tutta, e non solo. Con “After Lorca”, fai un’incisione in ciò che l’uomo è e il comunicare: il linguaggio, il rapporto significato-significante, la trappola della retorica, lo scollamento fra realtà e finzione che crea infinite finte realtà e altrettante reali finzioni, la barriera di cui la scrittura stessa si circonda isolandosi in se stessa… Questa tua ricerca critica non ha la struttura tipica del saggio teorico, ma è composta di poesie e appassionate lettere a Lorca, a cui addirittura fai scrivere l’introduzione con tanto di firma, luogo (davvero brillante quell’Outside Granada) e data (October 1957), cioè quando Lorca era già morto da moltissimi anni. Continua a leggere Caro Jack: con amore e squallore – di Lisa Sammarco

Scritti nomadi – di Stefano GUGLIELMIN

Sul nomadismo degli autori

(in Stefano Guglielmin, Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del novecento, Verona, Anterem Edizioni, 2001)

Cap.1, parag. 3
(pag. 20-25)

La biografia ricostruisce un’erranza entro lo spazio condivisibile della parola, rispettando i luoghi in cui la vita s’è accampata. Ma la biografia affiora anche là dove nessuno la chiama; ce lo conferma Borges nell’epilogo dell’Artefice (1960): “Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto” (in Tutte le opere, vol. I, Mondadori, 1984, p.1267). Continua a leggere Scritti nomadi – di Stefano GUGLIELMIN