Pensare il volo, pensarlo come slancio della mente e dello sguardo, identificarlo con il necessitato senso di libertà e con il sogno, lucidissimo, di menti intese a liberarsi dal giogo della gravità.
Quando Rosa Barba riprende le sculture sospese nell’atelier di Alexander Calder e, montando il film, associa le immagini delle opere in moto al suono di quel medesimo loro incessante muoversi, ne fa, insomma, la colonna sonora del proprio lavoro, congiunge in un unico atto filmico il proprio incantamento per l’arte calderiana, l’idea di arte in Calder – liberazione traverso il movimento e la leggerezza: le strutture e le forme sospese sono mosse soltanto dal moto, altrimenti invisibile, dell’aria -, la presenza costante del suono, il variare della luce lungo l’arco del giorno.
Leggo Pascal Quignard: Olivier Messiaen, nel cuore del XX secolo, ha scritto: «Gli uccelli sono i più grandi musicisti del pianeta». Andava ripetendo che «uccellini e uccelline» sono i «maestri degli uomini». Che rappresentano i «testimoni naturali della musicalità assoluta durante l’evoluzione nel corso del tempo». […] La casa dove vivo in una stradina di Parigi è vicina a quella dove viveva Messiaen. Là vive ancora suo figlio. Ci separa un giardino ridiventato selvaggio. È un perduto da aggiungere alla Perduta, che è la natura stessa. Condividiamo lo stesso usignolo, gli stessi merli scuri, le stesse grida laceranti dei gatti, la notte, come bambini che piangono – Bute (Analogon edizioni, Asti 2014, traduzione di Angela Peduto, pagine 34 e 35).
Suono ed empito al volo sono dunque concomitanti, si alimentano a vicenda, si liberano a vicenda. E a Parigi si può abitare un tempo specialissimo nel quale continuare a essere contemporanei di Olivier Messiaen.