Leggo “Le belle bandiere”, seduto davanti al bar, sotto i portici. Il volto del poeta in copertina: capelli arruffati, guance scavate, una bellezza antica. La ragazza del bar mi informa, con un sorriso: “Il suo amico è venuto poco fa”. Un po’ le dispiace che non ci siamo incontrati, un po’ è felice di averlo nominato; terzo, ritiene una sorta di incantamento l’amicizia tra un vecchio signore, barba folta, bianca, con un ragazzo. La sua curiosità è gentile. Continuo a leggere. Un movimento brusco, e il libro si richiude. Ritorna lo sguardo del poeta, che mi trafigge e mi consola. Nei suoi occhi, la passione di guardare il mondo. Sta girando il “Decamerone”. Uno sguardo fiero della propria felicità. Nel film, è un pittore del Trecento in viaggio, che approda a Napoli. Nel libro, le sue risposte ai lettori di “Rinascita”. anni ’60. Lettere di operai, studenti, pensionati. In queste pagine, l’epopea di una lingua amorosa, che rinnova il proprio mistero, entrando negli affanni, le ragioni, i dubbi, i pudori, le speranze senza tempo, la devozione, mai ruffiana, del lettore nei confronti del poeta. Che parli di politica, di cinema o d’altro, c’è qualcosa di lancinante nel rispetto che egli nutre per l’interlocutore, per sé stesso e per il volto invisibile che guarda, scrivendo. Ancora il suo ritratto: la bocca chiusa, non serrata, è il terzo occhio, ribelle e magnanimo. Sarebbe stato bello morire in quei giorni, il terzo giorno la fine delle riprese di un film sulla gioia. Il ragazzo degli appuntamenti al bar non è venuto. Le parole del poeta, la sua faccia, così lontani dalla sua morte, che mi viene da piangere. [Rocco Brindisi]
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Memoria dell’oggi: P. P. P.
Se so che la nostra storia è finita
Se so che la nostra storia è finita
Dal 1957, anno di uscita in volume delle Ceneri di Gramsci, al 2018, passando per la terribile notte del 1° novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia, cosa è accaduto in Italia, e nel resto del mondo? Quali cambiamenti nella poesia, e nella vera critica a essa? Tutto è mutato, tutto – fino al niente attuale, il niente che pochi oggi osano avvicinare con un grimaldello. Il realismo, l’attualità politica e sociale di quei decenni (ai più sconosciuta), sono stati abbondantemente accuditi dallo scrittore Walter Siti, altresì curatore di tutta l’opera di Pasolini. PPP aveva esperienze sue, cercava e ricercava, si consumava dentro l’angoscia di un mondo che nessuno come lui conosceva. Di notte, per le strade con la sua automobile probabilmente riusciva a vedere il futuro, nelle gambe di chi “passeggiava” e negli occhi di coloro che desiderava. Dal Friuli al Tiburtino, vie lunghissime e tortuose, la crudeltà stava a ogni curva, fino ad arrivare alla ferocia comprata e venduta nella città “eterna” sempre più orribile ai suoi occhi. Continua a leggere Se so che la nostra storia è finita
Via degli occhi sporgenti
VIA DEGLI OCCHI SPORGENTI
Ai narratori di Pino Pelosi
Questo non è un articolo su Pino Pelosi, vivo o morto. E nemmeno sul morto disadorno e sull’Ambiguo, l’amante di Pino. È un articolo su un meccanismo atroce: si tratta delle parole; e su un’impotenza generale: si tratta della ripetizione. Ed è rivolto ai narratori del primo e del secondo, come un testo polemico e non fraterno. Continua a leggere Via degli occhi sporgenti
Su “Petrolio” di Pasolini
Quando fu ucciso, Pier Paolo Pasolini stava ultimando un romanzo assai singolare, sia per la forma che per i contenuti. Lo aveva intitolato Petrolio, folgorato da questa parola mentre leggeva un articolo di giornale. Da poco c’era stata la prima “crisi petrolifera” e l’oro nero, il Vello d’oro di oggi, per il quale si fanno guerre e viaggi in Oriente, come quello che fece Giasone con gli Argonauti (l’associazione tra l’oggi e il mito è in Petrolio), arroventava gli affari e la politica.
Enrico Mattei presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) era stato fatto morire in un finto incidente aereo. Gli era succeduto Eugenio Cefis che di lì a poco si lanciò anche nel settore petrolchimico, scalando la Montedison con fondi pubblici, e diventandone presidente. Molte altre morti misteriose funestavano il paese, tra cui quella di Mauro de Mauro, giornalista de “L’Ora” di Palermo che aveva fatto indagini sull’omicidio di Mattei. Nel frattempo scoppiavano bombe e divampava la “strategia della tensione”. Nasce allora anche la famigerata loggia P2, con il suo programma spregiudicato e criminale di controllo del potere attraverso i media e le stragi. Cefis ne era stato il fondatore.
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Qui un altro articolo sull’argomento.)
Marzia Spinelli: stanza madre
Manuel Cohen
Marzia Spinelli
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N.9 (XXXVI)
Marzia Spinelli: stanza madre.
Tu sei la sola al mondo
che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre,
prima d’ogni altro amore.(Pier Paolo Pasolini,
Supplica alla madre)
Marco Scalabrino e la coralità del Novecento siciliano
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N.5 (XXXII)
Marco Scalabrino e la coralità
del Novecento siciliano
Continua a leggere Marco Scalabrino e la coralità del Novecento siciliano
Il lievito Madre/Padre, o Doping, nella poesia di Angela Bonanno
Manuel Cohen
Angela Bonanno
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N. 3 (XXX)
“A rose ca gallegge ndó becchiere
me guarde cu duje uocchje annammarute]
pe ddìreme ca pe edde só fenute
i tiembe de spascézze ndó giuardine”
“La rosa che galleggia nel bicchiere
mi guarda con due occhi amareggiati
per dirmi che per essa son finiti
i tempi di goduria nel giardino”.
(Assunta Finiguerra,
Tatemije, Mursia 2010)
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Il refrain libero e civile di Vincenzo Mastropirro
Manuel Cohen
Vincenzo Mastropirro
REPERTORIO DELLE VOCI
NUOVA SERIE, N.2 (XXIX)
sempre e ovunque
Quanne u fiote s’accarne
ogne vibrazione devènde museche
da dà, camèine, scappe e po’ abbuaisce
patrune-e-suotte, du timbe e du sune.
[Quando il fiato s’accarna, / ogni vibrazione diventa musica / da lì, cammino, corro e poi volo / padrone e schiavo, del tempo e del suono.]
Continua a leggere Il refrain libero e civile di Vincenzo Mastropirro
Il corpo tragico della storia
Come nelle antiche tragedie, le immagini di repertorio che Pasolini ha montato nel film La rabbia (1962), tratte dai cinegiornali del tempo, portano in scena i conflitti, le vittorie gioiose e i lutti della storia recente dell’umanità, colte in una prospettiva ampia, planetaria e universale. La voce fuori campo che le commenta, ora in prosa ora in versi, ha il ruolo di un coro tragico. Pasolini ha messo in scena alcune tragedie antiche (Medea, Appunti per un’Orestiade africana). Ma in questo film fa qualcosa di più: secondo l’ipotesi di lettura che qui propongo, “La rabbia” ricrea la forma della tragedia con i mezzi specifici del cinema, in particolar modo il montaggio.
(Leggi il saggio di Carla Benedetti su Il Primo Amore:
qui la prima parte e qui la seconda parte.)
Ultime glosse sull’Ambiguo
Io non so chi ha ucciso Pasolini. Alcuni nomi sono stati nominati e pubblicati: segno che questi nomi non sono più essenziali. Pino Pelosi (Io so… chi ha ucciso Pasolini, Vertigo 2011) scrive di sapere chi ha ucciso Pasolini, non sa perché sia stato ucciso, e il punto è questo. Mazzoni, Riccio e Ruffini pubblicano Nessuna pietà per Pasolini (Editori Riuniti, 2011), in cui appare una pista catanese, contemporaneamente marchettara e neofascista (e il libro ha il merito di riesumare una buona testimonianza sul “ragazzo biondo”, ultimo compagno, che non è Pelosi).
Fino ad oggi, Pasolini è morto per rabbia sadomaso, per il petrolio di Petrolio e per l’ENI, per eliminare il Tiresia corsaro, per una rapina finita male; e poi: per caso, senza moventi e senza scopo, come sostiene Pasquale Misuraca; per programmazione mitica, come sostiene Giuseppe Zigaina; per gelosia intellettuale, come in Ho ucciso un poeta di Giovanni Heidemberg (Pequod, 2005).
Monologo sull’ambiguo
[Tratto da: Massimo Sannelli, Scuola di poesia, Porto Sant’Elpidio (AP), Wizarts Editore, “Licenze poetiche”, 2010]
MONOLOGO SULL’AMBIGUO
L’ambiguità nasce quando «due elementi contrari costanti […] si scontrano dentro un’opera» (Tre riflessioni sul cinema, 1974) e dentro una vita. Gli elementi «costanti» fanno in modo che l’ambiguità sia un fenomeno duraturo o permanente, «dentro un’opera» o dentro una vita: tutto l’insieme, e per tutto il tempo, ne è investito.
Siamo tutti in pericolo – di Giuseppe Catozzella
Un uomo giace sdraiato a terra accanto allo spigolo del marciapiede. Ha la testa coperta da un telo bianco chiazzato al centro di rosso rappreso. Sparato in faccia, come i codardi camorristi usano fare, colpendo da due passi chi neppure può difendersi. È una grande fotografia, quella che sta sul ledwall semovibile e luminoso, nello studio TV3 di corso Sempione stracolmo di ragazzi. Roberto Saviano sta un po’ scostato sulla destra e indica quell’istantanea, mentre Fabio Fazio gli passa addosso un fugace sguardo di terrore. Poi indica i bambini, i tanti bambini che nell’immagine assistono al lavoro della polizia mortuaria e grida, quasi sorprendendo anche se stesso: “Che tipo di Paese è quello che permette tutto questo?”.
Che tipo di Paese è, il nostro?
Seduto sullo strapuntino poco imbottito sotto i caldissimi riflettori dello studio televisivo mi vengono in mente chissà perché i discorsi che faceva Pier Paolo Pasolini prima di essere ritrovato ammazzato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia.
(Continua a leggere qui…)
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