Il poema è spazio e la tradizionale pagina a stampa non può contenerlo, ma, eventualmente, ospitarne soltanto una pallida raffigurazione.
Ecco allora che il poema deve andare oltre la parola scritta, non ha un inizio né una fine, è (anche letteralmente) aperto e cangiante, ha bisogno di una grande parete, è poema che va letto e contemporaneamente guardato – lo sguardo abbandona il suo abituale muoversi da sinistra a destra, dall’alto verso il basso, alla lettera naviga sulla grande mappa del poema.
Continua a leggere Breve saggio su “Compass Rose” (2015) di Ashwini Bhat e Forrest Gander