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Anatomia dell’equilibrio ovvero anatomie della fragilità

su Ogni cosa sta in bilico (sul fiore di un’agave)
di Vincenzo Mirra, Eretica Edizioni 2021

di Chiara Catapano


Si preannuncia una giornata calda. Alle sei e mezza del mattino esco a fare una passeggiata con Lulù, la il mio cane; ci arrampichiamo sul colle di San Giusto e guardiamo, laggiù, il mare e il fumo dell’incendio che continua a bruciare. Mi tornano in mente i versi di Vincenzo. Torno a casa, apro il libro:

Valgraziosa

Se fai dei boschi terra bruciata
e delle pievi pietre annerite senza più i tetti
Se dei sentieri fai un camposanto di piante medicinali
e degli arbusti carcasse carbonizzate
senza più il profumo delle erbe aromatiche
Se fai degli ulivi, dei faggi e dei castagni, scheletri
di tronchi e di rami
e della fuga di animali impauriti il paesaggio violato
e indifeso del cuore dei vivi
Se fai del cielo una nera e pesante nube
(che soffoca persino il perdono di un bambino)
e degli occhi ampolle lacrimose incenerite di nerofumo

Tu, sì tu,
non sei degno della pazienza operosa delle api
né di nessun bene del mondo
e neppure di uno soltanto tra noi:
piante alberi volpi cicale nuvole
capanni, tane di ghiri e di serpenti
ruscelli
perché Tu, sì tu,

non sei un uomo

Tu sei soltanto un vigliacco impostore
indegno del dono della natura.

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Chiara Catapano, Un paesaggio cresciuto dentro


Di quando Majakovskij in sogno ha letto una mia poesia

Considera questo: nulla di diverso
Solo una nota vagamente asprigna sull’amara radice.
La voce più tremenda della sua apparizione;
Le parole, scheletri di luce.
E lui seduto, terastico impassibile
Frusta l’aria dentro l’ugola russa.
Majakovskij non mi era mai venuto a trovare in precedenza;
L’ho considerato un gesto delicato
Compiuto senza troppi complimenti,
Alla sua maniera.

Ha raccolto i miei versi in grappoli metallici
Il succo lo premeva fuori
Schiacciando tra le mandorle
Dei denti, chicco dopo chicco
Il latte di un qualche arcaico sacrificio.
Ma poi com’era carico di senso il suo idioma
Una sorta di terra vergine tra il russo e il sogno;
Io dipingevo i suoni a doppia lama
Che non raggiungevano niente e nessuno
Ma che s’ incatenavano all’aria vibrante santità.
Il Dio ebbro della poesia non cercava più la sua morte,
E lui pareva contemplato dai cieli
Splendido, inarrivabile.
Il brusio della vita calato in quel fosco paradigma
Dentro l’ingranaggio dell’uditorio
Nel perfetto silenzio divaricato tra le parole.

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Bartolomeo Bellanova, Con la carne che basta


Io credo nella trascendenza
dei tessuti emotivi dopo l’amore,
nella verginità della chioma dei tigli
penetrata dai becchi dei passeri,
nell’ipnosi della ginestra squartata dal sole.

Credo nella tenerezza cannibale degli amanti
e nel latte afrodisiaco di gelsomino,
credo nell’oblio del corpo marmo
scavato nel materasso

nel tremore dei rifiuti gettati via
tra il marciapiede e lo scolo
e nell’adrenalina delle rondini
che sfidano i fili dell’alta tensione.

Io credo sopra ad ogni cosa
alla lama pungente delle lacrime

alla loro sincera eruzione
dello spirito tellurico
che ci governa
ci scuote
e ci scompiglia.

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David La Mantia, Gesti lievi

Per anni abbiamo finto
di vedere male l’ago nel braccio,
gli artigli degli amici, il fresco taglio
dell’erba, il colpo sul collo secco
del coniglio allevato per la morte.
La morte. Eppure sì,
sarebbe stato semplice seguire
passo per passo quel dolore, senza
annusare la muffa, senza mai
adagiarsi, attutire il respiro, senza
seguire il corteo, la fila nera.
Sì, sarebbe stato bello chiamarci
al mattino con veri nomi, David
l’amato e Margherita la perla,
imparare a toccare le crepe
reciproche, visitare a sera
i nostri occhi recisi, coltivare
la fragilità della foglia
di basilico, perdonarsi
e chiedere perdono, riconoscersi
come fratelli e come amanti
nel comune ventre, essere terra
nella pianura lieve, accogliente.

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Lisa Sammarco

fotografia tratta dal sito di Lisa Sammarco Falso d’autore

da Poesie à la carte
libro pubblicato da Francesco Marotta
disponibile qui

*

se guardi i tronchi delle palme
loro ti mostrano le scaglie
delle tue stesse future macerie
sono ossa che spuntano dalla terra
le fronde schiacciate
come da un pugno dato per rancore e ora
resta lo sfratto del vento
e questi tronchi infetti da abbracciare
                         - ancora per poco -

***

tu ami l’uso che le stelle fanno del buio.

Il mestiere di Giovanni Nuscis

zhī, intrecciare

Una breve considerazione e una scelta di poesie in seguito alla lettura di Il grande tempo è ora di Giovanni Nuscis, Arcipelago Itaca, 2021.


Distillato cristallino di tempo. Tempo come durata, come parte che ci è assegnata durante la vita. E anche, mi sembra di capire leggendo questo bellissimo libro di Nuscis, verso la morte. Il grande tempo è quanto ci è stato ritagliato, di nero sul bianco: inchiostro sul foglio.

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La perdita e il perdono di Roberto R. Corsi


Roberto R. Corsi
La perdita e il perdono
Edizioni Pietre Vive, 2020


Jeux de vagues

Accetta un consiglio: vai in spiaggia
fuori stagione, un pomeriggio di mare mosso.
Avrai in mente, mentre giungi, il classico distendersi
dell’onda, come lingua; il suo morire,
quel placato lasciarsi assorbire
dalla battigia.

E’ questo il diagramma della vita, per i più.
Ma, se farai attenzione, ti sorprenderai
a fissare altre onde, affluenti,
deboli per scavare un canale di risacca
e trovar pace; ugualmente chiamate
all’indietro, a scontrarsi a sfilare di lato
alla normalità delle novelle che accorrono.

Un gioco, solo un grumo di attimi,
zampilli e schianti.
L’esistenza: l’offesa.
Al mondo, distratto come te poco fa, resterà
il passo trionfante delle frangenti; nulla
del vano bramare agnizione, eufonia
con ciò che, onnipotente in giovinezza,

                                                                              già mi scavalca.

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Versi di confine

 

di Marco Ercolani

nota di lettura a
Francesca Marica
Concordanze e approssimazioni
(Libreria Il Leggio Editrice, 2019)

Francesca Marica affronta il suo primo libro, Concordanze e approssimazioni (Liberia Editrice Il Leggio, 2019) come un personale journal filosofico-esistenziale.

Ci impegniamo per dare una forma alle cose,
a tutte quelle cose che poi chiamano la paura
fino a farne una frenesia.

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La regola dell’orizzonte

Marco Ercolani

Nota di lettura a:
Alessandra Paganardi
La regola dell’orizzonte
(Puntocapo, 2019)

Quando i morti annegati avranno i nomi
di granuli di sale
raccoglieremo a riva
vocali e consonanti una per una
l’inutile bellezza
dei tronchi rovinati dalla pioggia

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Un esistenziale accumulo (su “Svenimenti a distanza” di Mario Fresa)

Marco Furia

Nota di lettura a:
Mario Fresa
Svenimenti a distanza
il melangolo, Genova, 2017

 

A qualcosa che emerge accumulandosi si riferisce, con evidenza, la raffinata raccolta di Mario Fresa “Svenimenti a distanza”.
Non a caso, già all’inizio si legge:
“ […] Ha paragonato
la sua casa a una vecchia drogheria”.
Le drogherie sono botteghe in cui vengono venduti i più disparati prodotti: botteghe ricche di fascino, dall’atmosfera aromatica e misteriosa.
Si chiede l’autore a pagina 26:
“Perché osserviamo gli oggetti?”
Domanda enigmatica che allude a una condizione di durevole contingenza.
Perché siamo espressivi?
Perché siamo esseri umani viventi: questa non risposta mi pare la risposta migliore.
Non generica né imprecisa (come potrebbe a prima vista sembrare), bensì sinceramente aperta. Continua a leggere Un esistenziale accumulo (su “Svenimenti a distanza” di Mario Fresa)