Universalità di scarto – Joseph Cornell

Joseph Cornell - collage
Joseph Cornell – collage

Dai seni al ventre smembrava e ricomponeva la mappa astrale di una curva universale impossibile da possedere. Gli era sufficiente raccattare ritagli di cose inutili, scarti di roba che ogni comune mortale si affannerebbe ad accumulare per poi liberarsene alla svelta, con la precisa idea di restituire la potenza creativa intrinseca, innatamente indefinita di ogni cosa ad ogni cosa.

Ci sarà sempre qualcuno pronto a defininire tutto questo arte, e qualcun altro avvezzo a storcere il naso per l’inutile spreco di tempo e spazio in contenitori di merda, cosiddetta d’artista. Eppure, qualunque sia il punto di partenza e arrivo, ciò che sorprende, affascina e costringe a soffermarsi sul più stupido interrogativo umano sul concetto di arte e bello innegabilmente sindacabile, è che qualunque cosa si pensi, qualunque formazione del gusto si possa avere, qualunque conoscenza della mappatura dell’Universo si possa possedere, ciò che rende magico il suo fanatico mondo da maniacale accattone-collezionista, è la delicatezza con cui solo lui sembra essere riuscito a ricucire i tasselli dell’infinitamente inutile dandogli forma, luogo, senso e vita al di sopra del tempo, e tutto senza parole, calcoli quantistici, o conoscenze profonde di scientifica e comprovata natura, laddove il più dotato dei mortali avrebbe fallito.
Già!, perché nel caso di Cornell, doveva trattarsi di un vero e proprio atto di creazione, la preconcettuale, geniale idea-eiaculazione di un orgasmo che si andava sovrapponendo alle singole cose accoppiandole, appaiandole, facendole essere e venire insieme: un po’ come il corretto abbinamento di due improbabili calzini monocolore che ti risolvono la giornata, o l’inutile meraviglia di due stelle per capezzoli tra indefiniti cieli in costruzione. (nc)

 

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