Il cacciatore di immagini

Charles Simić

E’ dunque possibile che, malgrado le sue mura di mattoni e i suoi volti ben rasati, questo mondo nel quale viviamo sia orlato di meraviglie e che io stesso e l’umanità intera, sotto gli stereotipi con i quali ci ammantiamo, celiamo enigmi che nemmeno le stelle, forse nemmeno i serafini più sublimi, sono in grado di risolvere?” scrive Melville in Pierre.

Domenica di giugno, prima mattina. Ha piovuto dopo mezzanotte e l’aria e il cielo sono meravigliosamente tersi. Le strade sono vuote e i negozi chiusi. Un’occhiata alle cose prima che altri le vedano. Un vecchio edificio commerciale si staglia vuoto all’angolo. Lo stanno restaurando. I muri sono stati ridipinti, e le sue sedici finestre, lavate di recente, ora sfavillavano. All’interno si vedono specchi e altre finestre che danno sul retro, ma niente mobili. E’ tutto molto in ordine, a parte qualche crepa ancora visibile sulla facciata e schizzi di colore sul marciapiede.

La chiarezza della visione è un’opera d’arte.

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Il movimento romantico

C’è un racconto di Poe intitolato L’uomo della folla, in cui un tizio appena dimesso dall’ospedale siede in un caffé di Londra, godendosi la libertà riacquistata e osservando la folla serale, quando nota un vecchio decrepito, dall’aspetto e dal comportamento insoliti, e decide di seguirlo. Inizialmente l’uomo sembra affrettarsi con uno scopo preciso. Egli attraversa la città in lungo e in largo finché l’assenza di una meta risulta evidente a chi lo segue. Per tutta la notte attraversa le strade ormai deserte, e allo spuntare del giorno cammina ancora. Il suo inseguitore gli sta dietro per tutto il giorno successivo, e solo quando calano le ombre della seconda notte rinuncia a seguirlo. Prima di farlo si ferma di fronte all’estraneo e lo guarda fisso negli occhi, ma l’altro non dà mostra di riconoscerlo, e riprende a camminare.

Il racconto di Poe è una grande ode al mistero della città. Chi tra di noi non è stato almeno una volta l’inseguitore o l’estraneo? Cornell seguiva commesse, cameriere, studentesse “dall’aspetto innocente”. Io stesso ricordo un uomo alto, di una bellezza fuori del comune, che camminava per Madison Avenue con gli occhi assolutamente chiusi, come se stesse ascoltando della musica. Urtava le persone, ma siccome era ben vestito la gente non sembrava farci caso.

“Quale storia tumultuosa” dice il narratore di Poe “è scritta in quel petto”. In una strada affollata si fa presto a diventare un voyeur. Il senso del pericolo, una vena erotica e una solitudine opprimente giocano a nascondino tra la folla. Lì regnano l’indefinito, l’imprevedibile, l’etereo, l’effimero. La città è il luogo dove gli opposti più improbabili s’incontrano, il luogo dove le nostre separate intuizioni per un attimo convergono. Il mito di Teseo, del Minotauro, di Arianna e del suo filo qui continua. La città è un labirinto di analogie, una foresta simbolista di corrispondenze.

Come l’Uomo Ragno dei fumetti, il voyeur solitario si muove lungo una rete di forze occulte.

Le notti bianche di Cornell

Una stanza che sembra una rêverie

Baudelaire

L’insonnia è un’agenzia di viaggi notturna con poster che reclamizzano luoghi lontani. Dove il mare è sempre blu, e così il cielo. Dove ci si attende un alberghetto bianco dalle persiane verdi, ogni stanza “una creatura del crepuscolo, azzurrina e rosata”.

Come un viaggiatore stanco del suo errare, ci spogliamo accanto alla finestra aperta. Il sole del tramonto ha un turbante rosso. Il mare è di un blu carico. Nel giardino lussureggiante sfrecciano le rondini. Quando la notte finalmente cala, la velata Sheherazade si accosta la nostro letto con un tè alla menta.

Nel frattempo, il silenzio e la nostra ombra sulla parete spoglia.

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Lo sguardo che conoscevamo da bambini

“La gente che cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia e il mistero intrinsechi all’immagine” scrive René Magritte, e io non potrei essere più d’accordo di così. Ciononostante, la frase richiede qualche precisazione. Ci sono effettivamente tre tipi di immagini. Le prime sono quelle che vediamo a occhi aperti, alla maniera dei realisti, in arte come in letteratura. Poi ci sono immagini che vediamo a occhi chiusi. I poeti romantici, i surrealisti, gli espressionisti e i comuni sognatori le conoscono. Le immagini che Cornell mette nelle sue scatole sono tuttavia di un terzo tipo. Parteciano sia della realtà sia del sogno, e di qualche altra cosa che non ha nome. Tentano lo spettatore in due direzioni opposte. La prima porta a guardare e ad ammirare l’eleganza e le altre caratteristiche visive della composizione; la seconda, a creare storie intorno a quanto si vede. Nell’arte di Cornell, l’occhio e la lingua sono in contrasto tra loro. Né l’uno né l’altra bastano, da soli. Solo mescolandosi danno vita alla terza immagine.

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Totemismo

All’interno di ciascuno di noi ci sono stanze segrete. Sono ingombre di cose, e con le luci spente. C’è un letto in cui qualcuno è steso con la faccia rivolta verso il muro. Nella testa di quell’uomo ci sono altre stanze. In una di queste, le veneziane sbattono all’avvicinarsi di un temporale estivo. Ogni tanto un oggetto sul tavolo diventa visibile: una bussola rotta, un ciottolo del colore della mezzanotte, l’ingrandimento di una fotografia scolastica con un volto sullo sfondo evidenziato da un circoletto, una molla di orologio – ognuno di questi oggetti è un totem dell’io.

Ogni arte tratta dell’anelito dell’Uno verso l’Altro. Orfani come siamo, decifriamo parentele in tutto ciò che riusciamo a trovare. La fatica dell’arte è la lenta e dolorosa metamorfosi dell’Uno nell’Altro.

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