Polifonia narrativa

Giuseppe Zuccarino

Polifonia narrativa

Il primo libro pubblicato da Louis-René des Forêts è un romanzo, Les Mendiants[1]. Faranno poi seguito varie opere di rilievo, ma in esse l’autore non tenterà più di raggiungere l’ampiezza del volume d’esordio. Scrittore molto esigente, des Forêts motiverà questa sua particolarità nei termini seguenti: «Una prima opera non è un trampolino per la seconda, né la seconda per la terza, ecc. Proprio al contrario, le prime costituiscono, di per sé, dei seri ostacoli all’elaborazione della seguente. Ed è tanto più difficile trionfare sulle difficoltà che si presentano alla soglia dell’ultima in quanto lo spirito critico si sviluppa continuamente, irridendo, dissuadendo, asserendo con ardore che, se non si è riusciti a condurre a perfezione un’attività creativa fin dai primi tentativi, ci sono poche possibilità di riuscirci quest’altra volta»[2]. Egli è di norma severo con se stesso, dunque le sue parole non devono indurci a credere che, ad esempio, il romanzo breve Le Bavard o i racconti di La Chambre des enfants siano meno validi rispetto a Les Mendiants[3]. Di fatto, però, la difficoltà di esprimersi in maniera soddisfacente verrà da lui ribadita con sempre maggiore insistenza.

Ma torniamo al romanzo d’esordio, la cui caratteristica saliente, sul piano formale, consiste nel suo carattere polifonico. Infatti, in ogni capitolo, uno dei personaggi che popolano il libro narra, in prima persona e dal proprio punto di vista, una parte della vicenda. Spetta dunque al lettore ricostruire mentalmente la storia narrata, confrontando e integrando fra loro i vari spezzoni. Si tratta di una tecnica compositiva insolita, ma non inedita. Esistono infatti alcune opere ottocentesche nelle quali, come ricorda Jorge Luis Borges, l’autore «mette in bocca ai diversi protagonisti la successiva narrazione della favola. Codesto procedimento, che consente il contrasto drammatico e non di rado satirico dei punti di vista, deriva forse dai romanzi epistolari del diciottesimo secolo»[4]. Borges cita quali esempi La pietra lunare di Wilkie Collins (1868), L’anello e il libro di Robert Browning (1868-69) e La crociata dei bambini di Marcel Schwob (1896)[5].

Des Forêts conosceva forse queste opere, ma in ogni caso ha indicato, per il proprio romanzo, modelli diversi e più recenti: «Quando ho cominciato a scrivere Les Mendiants, di lui [William Faulkner] avevo letto solo Luce d’agosto, ma non ancora Mentre morivo, dal quale mi si è rimproverato di aver tratto sistematicamente la costruzione del racconto tramite monologhi interiori; ora, questa in realtà mi era stata suggerita da un ciclo romanzesco poco noto, Una storia vera di Stephen Hudson, che l’aveva utilizzata assai prima di Faulkner, ma in tutt’altra tonalità. Per contro, avevo letto Joyce, come pure vari romanzieri americani tra cui Sherwood Anderson, che mi piaceva molto. Nondimeno, ho letto tutti i romanzi di Faulkner che era possibile procurarsi all’epoca […], e ciò ben prima di aver finito il mio libro: nella seconda parte, sono innegabili certi procedimenti stilistici, narrativi e persino tipografici presi a prestito in particolare da L’urlo e il furore»[6].

Questo influsso della letteratura anglo-americana, che è stato sottolineato con forza già dai primi recensori di Les Mendiants[7], nulla toglie alla sostanziale originalità dell’opera di des Forêts, sul piano dell’ambientazione, della trama e dello stile. Anche il ricorso alla tecnica per cui ciascun locutore, di volta in volta, racconta una parte della storia ed enuncia i propri pensieri è dovuto a una precisa motivazione di fondo: «Ognuno dei miei personaggi è rinchiuso in un’inesorabile solitudine. Il monologo che fa udire esprime un punto di vista non comunicabile. Che egli si associ agli altri tramite l’azione o che sia murato in un’ossessione solitaria, il suo destino è quello di avanzare nella vita come in uno stretto tunnel da cui cerca disperatamente di uscire, e in cui parla solo per se stesso. In tal senso, il modo profondo del loro linguaggio è proprio il monologo: non può essere il dialogo»[8].

Il titolo del romanzo va inteso in senso metaforico, giacché allude al fatto che tutti i personaggi, sia pure in maniera diversa, vanno alla ricerca di qualcosa che non riescono a raggiungere. È quanto viene suggerito dall’epigrafe iniziale: «… E il più ardente mendicava un cuore crudele, / E questo un potere che dalla natura gli era negato / E quest’altro cercava ciò che l’uomo non deve trovare / E quello amori illeciti, una turpe ricchezza / E questo il beneficio e quello persino la follia / E questo una povera dolcezza e quello la vana violenza / E questo insieme il frutto, il fiore / Il fuoco della dannata terra oh! oh! poveri piccoli mendicanti / Rotolate su di loro, Ceneri, oh! oh! rotolate su di loro, Ceneri!»[9]. I versi, che des Forêts presenta come se fossero desunti da una fantomatica «canzone della Westfalia», mentre in realtà sono opera sua[10], andrebbero confrontati con un brevissimo brano di Paul Valéry intitolato appunto Les mendiants: «C’erano i mendicanti! Gli uni mendicavano l’amore. Gli altri, la stima. Altri ancora, la gloria. E disprezzavano coloro che chiedevano del pane o del denaro. Certi domandavano un’idea, per l’amore degli dèi, oppure un verso ben fatto – o uno stile “originale”»[11]. Già quest’analogia, pur essendo vaga e non letterale, ci introduce a un procedimento tipico di des Forêts: quello che consiste nel riprendere singole frasi o brevi passi dai libri letti per inserirli tacitamente all’interno dei propri testi: nel caso di Les Mendiants, si tratta soprattutto di romanzi di autori americani[12]. Ciò corrisponde a una particolare concezione della letteratura: «Io pensavo che tutto fosse di tutti, e che occorresse semplicemente utilizzare il bene comune nel senso di una ricerca personale. Dunque l’ho fatto senza scrupoli!»[13].

La trama del libro è particolarmente complessa, in quanto comporta varie storie, ora distinte e ora intersecantesi fra loro. Come osserva Jean Roudaut, ci sono «da un lato Sani de Reveison e i ragazzi che gravitano attorno a lui, riconoscendo o contestando la sua regalità; dall’altro i contrabbandieri dominati dal vecchio Ansel, il cui potere vacilla assieme al corpo. Il paesaggio delle imprese dei due gruppi è un porto marittimo dell’Ovest, coi suoi venti e le sue foreste costiere, le sue dune e il mare aperto […]. Una compagnia di attori, in città, rappresenta Otello»[14]. Le voci narranti, che sono quelle di undici personaggi (ognuno dei loro soliloqui costituisce un capitolo del libro), fanno gradualmente procedere la storia e, nel loro avvicendarsi, creano un effetto di tipo musicale: «Dei monologhi alternati di Les Mendiants si potrebbe dire che si presentano come una fuga, giacché si tratta di variazioni su un tema»[15]. In effetti il canto e la musica, arte amatissima dallo scrittore, svolgono un ruolo significativo nelle sue opere, a cominciare proprio dal primo romanzo.

Uno dei principali narratori è Guillaume, quattordicenne che partecipa con entusiasmo ai giochi della banda di ragazzi capitanata da Sani de Reveison. Quest’ultimo è un adolescente dotato per natura, ed eredità nobiliare, di fascino e distinzione. Le imprese del gruppo hanno come teatro il porto e i dintorni di una città costiera che non viene mai nominata nel libro, benché lo scrittore abbia ammesso in un’intervista di essersi ispirato a località francesi come La Rochelle o Marsiglia[16]. Già nel capitolo iniziale assistiamo a una spedizione dei ragazzi, che li porta a impadronirsi di una certa quantità di limoni, rubandoli dalla stiva di un peschereccio: si tratta quindi di una preda simbolica, non utilitaria, e di un gesto compiuto per il puro piacere del rischio. Un altro dei loro giochi consiste nella cosiddetta «caccia al cervo», compiuta a cavallo in un bosco vicino al mare. Nel caso descritto nel romanzo, a fare da preda è lo stesso Sani, e l’unico inseguitore a mostrarsi capace di scovarlo è Guillaume. Per completare il gioco, però, non basta saper stanare il «cervo»: occorre anche disarcionarlo e tenerlo bloccato a terra fino a che si arrenda. Stavolta, però, non ce n’è bisogno, perché, nel tentativo di sottrarsi alla cattura da parte di Guillaume, Sani cade da cavallo procurandosi una grave ferita alla testa, che lo indebolisce tanto sul piano fisico quanto su quello mentale. Visto che non vuole tornare alla propria dimora, i ragazzi lo trasportano, su una barella improvvisata, in un albergo-osteria chiamato La Cloche de Bois[17]. Conoscendo di fama la nobile famiglia di Sani, l’albergatore Rodolphe e sua moglie decidono di ospitarlo in una camera e di farlo visitare da un medico. Ad assisterlo è la giovane sorella di Sani, Catherine (zoppa e bisbetica, ma molto affezionata al fratello).

Nel frattempo, però, vista l’infermità del loro capo, alcuni dei ragazzi accettano che il più ambizioso di essi, Richard, si autoassegni il ruolo di leader. Pur non essendosi ristabilito, Sani, febbricitante e malfermo sulle gambe, ma accompagnato dal fedele Guillaume e pochi altri, decide di recarsi al luogo d’incontro del gruppo, che è la stiva di un cargo in disuso. Segue uno scontro fisico tra i sostenitori di Richard e quelli di Sani, che vede prevalere questi ultimi. Tuttavia il giovane capo avverte il bisogno di convincere il prediletto Guillaume della legittimità del proprio potere, dunque gli concede il privilegio di visitare il regno segreto che appartiene solo a lui: si tratta di un acquitrino, che i due attraversano su una barca, in perfetta solitudine e sentendosi in armonia con la natura circostante.

Come anticipavamo, oltre alla storia relativa ai ragazzi, in Les Mendiants ci sono altri filoni narrativi, a cominciare da quello che riguarda la banda dei contrabbandieri di alcolici. In passato le loro azioni illegali hanno avuto buon esito, sotto la direzione del potente armatore Ansel (il nonno di Guillaume), ma ormai l’uomo è anziano, e per di più è stato colpito da una paralisi che lo ha inchiodato alla sedia a rotelle. Dunque, anche seconserva l’illusione di comandare il gruppo, di fatto ha perso ogni influenza, e a guidare le operazioni clandestine di sbarco delle merci è adesso Grégoire Souvier, di professione attore teatrale. L’unico che sembra ancora dare ascolto al vecchio Ansel è il Catalano, un ex forzato evaso che, pur atteggiandosi a persona energica, è in realtà pavido e logorroico, sicché nessuno lo prende sul serio. Altri componenti della banda sono Fred, il fratello maggiore di Guillaume, la giovane ma determinata Annabelle e l’albergatore Rodolphe. Per l’attività clandestina, le cose cominciano però a complicarsi, dato che un tentativo di recuperare la merce al porto viene sventato dai poliziotti, con i quali alcuni dei contrabbandieri si scontrano, riuscendo comunque a mettersi in salvo. Più tardi è proprio l’anello debole della catena, ossia il Catalano, a finire per primo nella rete della polizia: prelevato e interrogato da agenti in borghese, l’uomo conferma la propria vigliaccheria accettando di divenire un loro informatore (e dunque di tradire i compagni) in cambio della libertà.

Grégoire svolge un ruolo di rilievo anche in un’altra storia, quella incentrata sull’attrice Hélène Armentière. Lei e Grégoire stanno interpretando i ruoli principali nelle rappresentazioni teatrali dell’Otello di Shakespeare che hanno luogo nel teatro cittadino. Ma nella realtà dei fatti le parti sono invertite: è la passionale Hélène a soffrire di gelosia alla maniera di Otello. Infatti il suo rapporto amoroso con Grégoire è divenuto unilaterale: egli la tratta ormai con distacco e non esita a mostrarsi, anche in pubblico, in teneri atteggiamenti con Annabelle. L’attrice non si rassegna all’abbandono da parte del partner e si sforza di convincerlo a tornare con lei, lo segue e lo spia. Porta persino con sé, nella borsetta, una pistola, essendo decisa a vendicarsi su Grégoire se il comportamento dell’uomo non dovesse cambiare. A complicare ulteriormente le cose, c’è il giovane Fred, che si è invaghito di lei e la segue a sua volta. Hélène non lo prende in considerazione neppure quando, dopo averla soccorsa a seguito di uno svenimento, lui cerca di baciarla. Fred capisce che la donna non vuole rinunciare all’amato ed è disposta a spingersi fino a un gesto estremo, mentre Grégoire non ha ancora alcun sospetto di trovarsi in una situazione rischiosa.

Alle tre vicende principali del romanzo se ne aggiunge una quarta, quella dell’individuo senza nome definito semplicemente «lo Straniero». In passato quest’ultimo, per punire la propria compagna colpevole di infedeltà, l’ha pugnalata a morte in pubblico, ed è poi riuscito a fuggire attraverso le vie della capitale inglese invase dalla nebbia, sottraendosi a un folto gruppo di persone che volevano catturarlo. Allontanatosi da Londra, si è rifugiato in Africa, a Mombasa. Anni dopo, però, ha deciso di tornare nel continente europeo e di stabilirsi proprio nella città portuale in cui vivono gli altri personaggi del romanzo. Lì, dove nessuno lo conosce, dovrebbe sentirsi al sicuro, ma invece resta attanagliato dall’irrazionale paura di essere scoperto e punito per il delitto che ha commesso.

Quasi tutti i personaggi, sia pure per motivi diversi, si ritrovano una sera alla Cloche de Bois, luogo a cui des Forêts assegna nel romanzo il ruolo di «taverna dei destini incrociati». Le varie storie si avviano ormai al loro scioglimento. Hélène, dopo un estremo tentativo di dialogo con Grégoire, lo conduce fuori dalla porta dell’osteria e, dopo aver preso dalla borsetta la rivoltella, gli spara ferendolo a una coscia, dopo di che si allontana. Quasi nello stesso istante Sani – che, pur essendo sempre fisicamente debole e in stato febbrile, è riuscito a tornare nella stanza dell’albergo assieme a Guillaume –, con un gesto inconsulto spara fuori dalla finestra con un’antica pistola spagnola che aveva trovato a casa propria. Mentre i contrabbandieri riportano Grégoire all’interno del locale e cercano di medicarlo, i ragazzi scendono dalla loro stanza fino al piano terra; Sani, vedendo l’uomo ferito, crede a torto di essere stato lui a colpirlo, e sviene. Il Catalano, sempre più inquieto per la situazione caotica, esce dall’osteria e dà il via libera ai numerosi agenti di polizia che, appostati fuori, stavano appunto aspettando il suo segnale per fare irruzione e arrestare gli altri componenti della banda. La retata va sostanzialmente a buon fine: l’unico a sottrarsi alla cattura è Fred, che, essendo stato il primo a scorgere i poliziotti in avvicinamento, ha fatto in tempo a fuggire. Imbattutosi in Hélène, egli cerca di ricondurla a sé facendole credere che Grégoire è rimasto ucciso, ma si rende conto che neppure questa menzogna modifica l’atteggiamento della donna. Soltanto per inerzia Hélène accetta il suo invito a mettersi in salvo assieme, lasciando la città con un battello che è in partenza dal porto. Prima, però, Fred trova il tempo di raggiungere il Catalano e di ucciderlo, punendolo dunque per il tradimento. Il vecchio Ansel sarebbe a sua volta sul punto di essere arrestato nella sua residenza, se non fosse che, in quel preciso momento, viene stroncato da un infarto.

La banda dei contrabbandieri è dunque sgominata, e le cose non vanno meglio per quanto riguarda i ragazzi. Infatti Sani, il cui indebolimento fisico e mentale non è temporaneo ma permanente, rinuncia al comando e, isolandosi dagli altri ragazzi, si confina nella propria dimora signorile, sempre accudito dalla sorella Catherine. Questo mutamento, peraltro, non avvantaggia il suo rivale Richard, giacché il gruppo si è ormai sfaldato. Il tempo della spensieratezza e dei giochi è finito, e gli adolescenti devono prepararsi ad affrontare la vita da adulti. Alcuni di loro lo faranno con successo: è il caso di Guillaume, che erediterà dal nonno la professione di armatore.

Come abbiamo già osservato, nelle varie storie agiscono individui che aspirano a un appagamento, o un acquietamento, che non riescono a conseguire: «I mendicanti sono esseri di desiderio, consapevoli dunque di ciò che ad essi manca: il loro comportamento è quello di persone alla ricerca di qualcosa. Guillaume insegue Sani come un cervo, la folla insegue lo Straniero assassino, Hélène insegue l’infedele Grégoire, Fred insegue Hélène assente: ognuno rappresenta per l’altro l’indice di una carenza»[18]. La tonalità malinconica del libro è data proprio dal fatto che in esso vengono descritte soltanto esperienze che precedentemente sono state felici (per effetto della coesione emotiva di un gruppo di adolescenti, della condivisione di un rapporto amoroso, della sensazione di impunità nel crimine), ma che hanno cessato, o stanno cessando, di essere tali.

Le avventure forse più suggestive sono quelle relative ai ragazzi. Essi appaiono infatti a des Forêts – per via della loro ingenuità, dell’allegra serietà con cui si dedicano ai giochi, come pure della capacità di porsi in sintonia con gli ambienti naturali – assai meno artificiosi e corrotti degli adulti. Le opere successive dello scrittore forniranno ulteriori conferme della sua predilezione, venata di nostalgia, per il mondo adolescenziale. Ma anche il personaggio di Hélène, con la sua passionalità ardente, resta durevolmente impresso ai lettori del libro. Per contro, la banda dei contrabbandieri sembra composta da individui velleitari e inautentici: l’astioso armatore Ansel non si rassegna all’impotenza causatagli dalla vecchiaia e dalla malattia; il Catalano, a dispetto delle vanterie che enuncia di continuo, soggiace alla propria debolezza e meschinità d’animo; Grégoire si atteggia a persona superiore e indifferente, ma non riesce nemmeno a riconoscere la forza del sentimento che Hélène prova per lui; Fred, infine, è un giovane superficiale, attratto dai piaceri e spesso incapace di comportarsi in maniera adeguata.

Per concludere, si può dunque dire che Les Mendiants, a dispetto di alcuni piccoli difetti di costruzione[19], rappresenta un risultato letterario di indubbio rilievo, specie considerando che si tratta di un romanzo d’esordio. E ancora oggi, a distanza di molti decenni dalla sua prima pubblicazione, il libro mantiene intatta la propria freschezza e continua ad esercitare, sia per la veste formale elegante che per i temi trattati, un particolare fascino sul lettore che scelga di confrontarsi con quest’insolita e complessa «favola dalle undici figure vocali»[20].

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Note

[1] L.-R. des Forêts, Les Mendiants, Paris, Gallimard, 1943 (tr. it. I mendicanti, Milano, Bompiani, 1953); nuova edizione modificata, ivi, 1986, ripresa in Œuvres complètes (d’ora in poi abbreviato in Œ. C.), ivi, 2015, pp. 195-490.

[2] Lettera a Michel du Boisberranger del marzo 1947, in Œ. C., p. 99.

[3] Cfr. Le Bavard, Paris, Gallimard, 1946; nuova edizione modificata, Paris, U.G.E., 1963 (tr. it. Il chiacchierone, Milano, Guanda, 1982) e La Chambre des enfants, Paris, Gallimard, 1960; nuova edizione modificata, ivi, 1983 (tr. it. La stanza dei bambini, Macerata, Quodlibet, 1996), ora entrambi inclusi in Œ. C., pp. 525-601 e 657-859.

[4] J. L. Borges, Wilkie Collins: La pietra lunare, in Prologhi (1975), tr. it. in Tutte le opere, vol. II, Milano, Mondadori, 1985, pp. 796-797.

[5] Cfr. ibidem e, per l’ultimo riferimento, Marcel Schwob: La crociata dei bambini, in Prologhi, cit., pp. 897-898, nonché W. Collins, La pietra di luna, tr. it. Roma, Fazi, 2016, R. Browning, L’anello e il libro, tr. it. Montichiari, Zanetti, 1994 e M. Schwob, La crociata dei bambini, tr. it. Milano, SE, 1988.

[6] L.-R. des Forêts, Entretien inédit avec Jean-Benoît Puech (1988), in «Le temps qu’il fait», 6-7, 1991, p. 20. Conviene precisare che non c’è una priorità cronologica dell’opera di Hudson, apparsa nel 1930, rispetto a quelle di Faulkner citate. Infatti L’urlo e il furore (tr. it. Milano, Mondadori, 1947; Torino, Einaudi, 1997) è del 1929, Mentre morivo (tr. it. Milano, Mondadori, 1958; Milano, Adelphi, 2000) del 1930; soltanto Luce d’agosto (tr. it. Milano, Mondadori, 1939; 1974) è di poco posteriore, essendo datato 1932.

[7] Si vedano gli articoli di Thierry Maulnier e René Vincent riprodotti in Œ. C., pp. 497-502, e un altro significativo intervento critico del 1943, quello di Maurice Blanchot: L’Influence du roman américain, in Chroniques littéraires du «Journal des débats». Avril 1941-août 1944, Paris, Gallimard, 2007, pp. 460-466.

[8] Lettera a René Vincent del 2 novembre 1943, in Œ. C., p. 503.

[9] Les Mendiants, cit., p. 197 (tr. it. p. 5).

[10] Des Forêts ha ammesso in seguito di aver voluto chiarire il romanzo «componendo questa poesia […] posta in esergo» (Entretien inédit avec Jean-Benoît Puech, cit., p. 18).

[11] P. Valéry, L’Île Xiphos, in Histoires brisées (edito postumo nel 1950), in Œuvres, vol. II, Paris, Gallimard, 1960; 1993, p. 443 (tr. it. L’Isola di Xiphos, in Storie infrante, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2006, p. 97).

[12] Cfr. in proposito Emmanuel Delaplanche, Influences en miroir, in «Critique», 668-669, 2003, pp. 49-59.

[13] Jean-Pierre Salgas, Les lectures de Louis-René des Forêts, intervista del 1984, cit. inŒ. C., p. 47.

[14] J. Roudaut, Louis-René des Forêts, Paris, Éditions du Seuil, 1995, p. 56.

[15] Entretien avec Jean-Louis Ézine (1995), in Œ. C., p. 132.

[16] Cfr. Marc Comina, Louis-René des Forêts. L’impossible silence, Seyssel, Champ Vallon, 1998, p. 292.

[17] Il nome (alla lettera, «la campana di legno») si riferisce alla locuzione francese déménager à la cloche de bois, che significa «traslocare alla chetichella». Allude dunque al fatto che tanto i gestori quanto i clienti hanno dei segreti che vorrebbero tenere nascosti.

[18] J. Roudaut, op. cit., p. 46.

[19] Li segnala Marc Comina in op. cit., pp. 292-303.

[20] Così des Forêts definisce Les Mendiants  in un’opera assai più tardiva: cfr. Ostinato (1997), in Œ. C., p. 1097.

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