Archivi categoria: critica

“Amori ac silentio sacrum”

Elisabetta Brizio

LIBERTÀ – «Libertà» è una parola magniloquente e impegnativa: a che tende l’esortazione di De Bosis «operare, soffrire, amare, combattere» (si confronti d’Annunzio, nel vitalismo di Maia: «Volontà, Voluttà, / Orgoglio, Istinto»), a conclusione della Prefazione a Amori ac silentio? Qual è lo scopo reale di questa spinta ad agire in nome della libertà? Un falso scopo che scherma un’assenza di finalità e che si risolve come inizio e termine del discorso, o qualcosa di più, qualcosa di effettivo? È un po’ il limite dell’estetismo, del quale già Croce indicava la genericità degli assunti, riconducibili a un contegno, emotivo e intellettuale, verbalistico, intemperante, narcisistico. Una «fabbrica del vuoto», un movimento senza obiettivi – scevro com’era di reali o giustificabili motivazioni all’infuori di una smaniosa ed esaltata insofferenza, di un «dilettantismo di sensazioni» – e votato pertanto a perseguire null’altro che «una parvenza di scopo». L’estetismo non si concretizzava né in una reazione alle estenuazioni romantiche, giacché a liquidare certe forme epigoniche del romanticismo aveva già provveduto la restaurazione carducciana; né, in un Paese qual è il nostro, dalla salda e per certi aspetti retriva tradizione umanistica e classicistica, aveva molto senso (malgrado le pesantezze e la rigidità deterministiche e mimetiche, già lamentate da d’Annunzio a proposito di certo verismo) temere istanze positivistiche avverse alla purezza e all’autonomia del fatto artistico. (…)

Tratto da Lemmi simbolisti e progressivi in
“Amori ac silentio sacrum” di Adolfo De Bosis
,
ora in “Quaderni delle Officine”,
vol. CXXXIII, gennaio 2024.

***

L’innumerevole esistenza

Elisabetta Brizio

Qualche nota su Maschere e figure di Paolo Ruffilli

Se Ruffilli non avesse scritto, a conclusione del Prologo di Maschere e figure. Repertorio dei tipi letterari (Il ramo e la foglia, Roma 2023), che le opere narrative da lui messe in campo giungono fino alla metà del Novecento e non oltre, si sarebbe tentati di includere nel repertorio dei tipi il protagonista del suo romanzo del 2011, L’isola e il sogno. Ma sotto quale voce classificarlo? L’insoddisfazione di Ippolito, la sua erranza mentale alla ricerca d’altro, di un nesso tra esperienza e sogno, suggerirebbero un modello di irresoluto, di nichilista, comunque non estraneo alle vicende della realtà attiva e storica. Ma che si perde in un galleggiamento esistenziale nell’isola che fa da scenario al maturare del nucleo drammatico del suo pensiero ipertrofico – e isola è emblema di instabilità e vaticinio di sparizione. «Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile», Sgalambro scriveva in Teoria della Sicilia. Che si sperde in una fluttuazione («Più la nave si avvicinava alla costa e di meno si coglieva l’insieme») congiunta allo sforzo di dare un nome e un senso agli indizi trattenuti dai paesaggi, quel lasciarsi andare al trascinamento del ricordo, che per Ippolito è presidio e consolazione: «le sue felicissime avventure della testa». E nel flusso profondo del sogno, dove «sogno» ha qui ben poco a che vedere con le rappresentazioni inconsce di un io onirico, con una materia pregnante e simbolica da interpretare. Così come con l’idea di una evasione verso universi fittizi. Sogno è condizione tanto appagante da sembrare infattibile, e tale sarà il folgorante rapporto amoroso di Ippolito. In particolare, il sogno è l’accesso privilegiato al farsi altro dell’apparenza.

Continua a leggere L’innumerevole esistenza

Ferruccio Masini

Stefano Lanuzza

Era il 10 febbraio del 1990 quando Margherita, moglie di Ferruccio Masini, rispondeva così alla giornalista di “la Repubblica” Mara Amorevoli: “[Ferruccio,] transfuga da una Firenze difficile da amare, quando vi tornò [dopo studi in Germania e l’insegnamento a Potenza, Arezzo, Parma e Siena] scoprì che non era più tanto legato a questa città”.

Sempre su “Repubblica”, il filosofo di formazione fiorentina Giacomo Marramao ricorda Masini in questi termini: “Il mio legame con Ferruccio era tra due fiorentini particolari, dell’altra Firenze, che amavano autori non amati dalla cultura ufficiale […]. Con Giorgio Colli e Mazzino Montinari egli era il polo eccentrico, [a completare] l’imprescindibile triade nietzschiana della cultura italiana ed europea”. (…)

(Leggi l’intero articolo su Retroguardia.)

***

La poesia del desiderio

Lucetta Frisa

Délie, oggetto di altissima virtù.
La poesia del desiderio

Perché Délie, oggi? Perché tradurre un testo del 1544 (l’edizione definitiva è del 1564) intitolato Délie. Objet de plus haute vertu, composto da 449 poesie (dette dizaines, di dieci strofe l’una) costellate da cinquanta emblemi, scritto da Maurice Scève, massimo rappresentante della scuola poetica lionese? La risposta è un’altra domanda: perché un testo fondamentale della poesia francese del XVI secolo deve essere affidato solo alla memoria degli studiosi? Qui in Italia, in tempi più recenti, venne stampato solo in minima parte da Einaudi nel lontano 1975, per la traduzione di Diana Grange Fiori.

Continua a leggere La poesia del desiderio

Di cosa parla il silenzio?

Nevio Gambula

La notizia della decisione della poetessa Anne Boyer mi ha fornito l’occasione per scrivere alcune note, quelle che seguono. Trovo interessante l’idea di «rifiuto attivo» espressa dalla Boyer, ossia di non partecipare alla narrazione dominante che “igienizza” il linguaggio sino a rendere accettabile il massacro di Gaza. Dal momento che stiamo assistendo a una carneficina, bisogna contrastare il linguaggio che la tollera o la sollecita con un’azione netta di distacco: «Non posso scrivere di poesia» – afferma la poetessa americana – «tra i toni ‘ragionevoli’ di coloro che vogliono acclimatarci a questa sofferenza irragionevole».

*

Continua a leggere Di cosa parla il silenzio?

Il tempo ammutinato

Silvia Comoglio

[…] La poesia di Comoglio è da ascoltare come un’opera di Messiaen, dove i suoni sembrano non localizzarsi nella precisione della scrittura musicale ma sempre fuggirne a lato, come canti di uccelli, vibrazioni ultraterrene. La poesia “ultraterrena” di Silvia rifiuta il “dire” mistico e la sua retorica, per essere “mistica” nel modo con cui dispiega le parole sul foglio e ci persuade a cantarle con sé. Se l’occhio è “reso dettaglio di forti fruscii di voci”, è proprio perché l’occhio non può parlarci con l’intenso bisbiglio delle voci, anche intonate su tonalità diverse, dal maggiore al minore, intessute in una “cantata” non profana, polifonica e arcaica, terrena e ulteriore, verbale e non verbale, amorosamente aperta al dialogo. Silvia, in questo libro, ci offre la summa del suo lavoro, la musica del suo Paradiso. A epigrafe del Il Tempo ammutinato è citato Flavio Ermini: «L’esperienza poetica del pensiero coincide con il moto nascente della lingua». E come ignorare che, dentro il titolo stesso, dentro la parola visibile “’ammutinamento”, si nascondono parole segrete come “muti” e “nato”, che evocano fantasmi di silenzio e di nascita? (Marco Ercolani)

Silvia Comoglio,
Il tempo ammutinato (Partiture),
Bologna, Book Editore, 2023.

(qui una lettura-recensione di Giuseppe Zuccarino)

***

La Biblioteca di RebStein (LXXXVII)

La Biblioteca di RebStein
LXXXVII. Settembre 2023

AA. VV.
(a cura di Giuseppe Zuccarino)

______________________________
Un seminario su Jacques Derrida
______________________________

***

Ritratti

Viana Conti

Per Benjamin, il ritratto aveva una funzione di frontiera tra l’arte cultuale, dotata di aura, e l’arte riproducibile, immessa nel sistema del mercato di massa1. Il pittore Valerio Adami ha eseguito, nel 1973, un ritratto di quel grande pensatore tedesco di origine ebraica. È un’opera-montaggio di suddivisioni, di cesure para-geometriche, nella quale la figura del soldato armato allude forse alle guardie di confine che presidiavano la frontiera franco-spagnola. Benjamin, nella sua fuga dai nazisti, a Port Bou era stato bloccato proprio da quelle guardie, e nel timore di essere consegnato alla Gestapo, aveva scelto di suicidarsi2.

Continua a leggere Ritratti