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Terra del secolo

René Char

     La terra di questo secolo, con i suoi volti abrasi, mette in mostra umori sempre nuovi. Che franano subito, ogni volta più grevi e schiumosi. Nemmeno il canto tutelare della resina riuscirebbe ad arginarne il degrado.

     Cosa dice la minaccia? Che tutto è nuovo, che niente è mai nuovo. Gli occhi che ci incrociano sono perennemente appagati. D’estate, solo lacrime cingono il fossato.      Nero più del nero, il cane spezza la catena e fugge via attraverso la breccia del canale.     La fonte si smussa all’avvicinarsi del labbro. Deviata dalla pietra messa lì di proposito. Più in basso, l’acqua sapiente destinata a perdersi.

Tratto da Effilage du sac de jute, 1978-79.
Traduzione di fm.

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Le Thor

René Char

     Dans le sentier aux herbes engourdies où nous nous étonnions, enfants, que la nuit se risquât à passer, les guêpes n’allaient plus aux ronces et les oiseaux aux branches. L’air ouvrait aux hôtes de la matinée sa turbulente immensité. Ce n’étaient que filaments d’ailes, tentation de crier, voltige entre lumière et transparence. Le Thor s’exaltait sur la lyre de ses pierres. Le mont Ventoux, miroir des aigles, était en vue. Dans le sentier aux herbes engourdies, la chimère d’un âge perdu souriait à nos jeunes larmes.

     Sul sentiero dalle erbe intorpidite dove noi, da ragazzi, ci stupivamo che la notte si arrischiasse a passare, le vespe non andavano più tra i rovi e gli uccelli sui rami. L’aria apriva agli ospiti del mattino la sua turbolenta immensità. Non erano che filamenti d’ali, voglia di gridare, volteggio tra luce e trasparenza. Le Thor esultava sulla lira delle sue pietre. Il monte Ventoux, specchio delle aquile, era in vista. Sul sentiero dalle erbe intorpidite, la chimera di un’età perduta sorrideva alle nostre giovani lacrime.

Tratto da Fureur et mystère, 1948.
Traduzione di fm.

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Tourterelle

a Y. B.

“Laisse-nous seuls, nos pieds en source…”

“Lasciaci soli, i piedi alla sorgente…”

“Mais j’avais vu grandir, écarlate, l’arrière-fleur aux doigts du ferronnier, bondir de son berceau l’eau dédiée à la nuit. Comme un lac de montagne avoisinant la neige et le hameau, j’avais vécu.”

“Ma io avevo visto espandersi, scarlatta, la seconda fioritura sotto le dita del mastro ferraio, e balzare dalla sua culla l’acqua consacrata alla notte. Avevo vissuto così, come un lago di montagna vicino alla neve e al borgo.”

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La mela di Newton

René Char

Volevo essere evento. Mi immaginavo partitura. Ero veramente impacciato. Il teschio che, contro la mia volontà, sostituiva la mela che spesso portavo alla bocca, era visibile solo a me. Mi mettevo in disparte per mordere con discrezione quella cosa. Poiché non si va in giro, poiché non si può fingere di amare con un frutto del genere tra i denti, decisi, quando avevo fame, di chiamarla mela. Finirono così le mie preoccupazioni. Solo più tardi l’oggetto del mio imbarazzo mi apparve nelle forme, gocciolanti e altrettanto ambigue, del poema. (1926)

Da Chants de la Balandrane, 1977.
Traduzione di fm.

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Sette prede dell’inverno

René Char

All’orizzonte della scrittura: l’incertezza, e la spinta di un’energia vincente. L’indice intorno al quale si avvolgerà la nebulosa concreta, va precisandosi. Una bocca, tra poco, sarà in grado di dire. Cosa? Non c’è niente di meno definito di una parola venuta dalla separatezza e dalla lontananza, che dovrà la sua salvezza solo alla velocità della sua corsa. Il caso, l’uso, un udito particolarmente addestrato, l’imprevedibile, il nonsenso, la biforcazione, il limite, anche la flessibile logica ancestrale, affidano questa parola, pur tra sollevamenti di sabbia, a vortici ampi e ostili così come a piacevoli accoglimenti. Però, che passo! Ce l’ha fatta… Mansuetudine.    

     Strizziamo gli occhi, tendiamo l’orecchio, affiniamo i sensi, sembra che laggiù la somma delle prove sia completata.

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Stasi di vento

René Char

Povera terra che stringi forte i tuoi verdeggianti propositi, come mi appari in quest’alba passata sotto la sferza, tra la fabbrica con i suoi mefitici scarichi di cui nessun vento disperde il fumo, e la luna piena, arida sputacchiera degli umani o specchio fangoso del sole, l’arrogante limatore tra poco al suo banco di lavoro. Il sole! Nell’oscuro del corpo un cifrario segreto si imprime. Questo evento inavvertito brillerà e si rifletterà sul fascio delle nostre vertebre fino alla diversione: un rilascio di gufi vermigli. Sigillato ma libero di lanciarsi in volo. Là ci disseta l’Amica che non ha orari e che è orgogliosa di noi.

(Vent tombé,
da Chants de la Balandrane, 1977).
Traduzione di fm.

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Il rumore del fiammifero

René Char

Sono stato cresciuto tra fuochi di legna, accanto a braci che non finivano mai in cenere. Alle mie spalle, l’orizzonte rotante di una finestra color zafferano riconciliava il pennacchio bruno dei giunchi con la placida palude. L’inverno ha agevolato il mio destino. I ceppi cadevano su questo fragile ordine tenuto in sospeso dall’alleanza tra l’assurdo e l’amore. A volte mi arrivava sul viso una fiammata, a volte un fumo acre. L’eroe malato mi sorrideva dal suo letto quando non teneva gli occhi chiusi per la sofferenza. Ho imparato da lui a tacere? A non sbarrare la strada a quel calore grigio? Ad affidare il legno del mio cuore alla fiamma che ne avrebbe fatto scintille sconosciute nelle isole del futuro? Le date sono scomparse e io non conosco le convulsioni del compromesso.

Non avendo altro che il respiro, mi dico che ritrovarsi più tardi accanto a un fuoco di legna tra le scintille, sarà difficile e improbabile, come su un sentiero d’ossa di stelle sventurate in questa notte bianca di brina.

(Le bruit de l’allumette,
da Chants de la Balandrane, 1977).
Traduzione di fm.

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I segni dell’inverno

“N’ayant que le souffle, je me dis qu’il sera aussi malaisé et incertain
de se retrouver plus tard au coin d’un feu de bois parmi les étincelles,
qu’en cette nuit degelée blanche, sur un sentier ossu d’étoiles infortunées.”

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Ponti e rive

René Char

(Erbe aromatiche cacciatrici)

ORIONE IROCHESE

     Davanti al quadrante distrutto dei nostri millenni, perché dovremmo soffrire? Un po’ di superstizione non nobilita forse? Orione, carpentiere dell’acciaio? Sì, sempre lui; e viene verso noi. La massa dell’umana vicenda, frantumata oggi, ricomposta stasera, passa sotto i nostri ponti giganti.

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PONTIERI

     Due rive occorrono alla verità: una per la nostra andata, l’altra per il suo ritorno. Strade che bevano le loro nebbie. Che conservino intatte le nostre risa felici. Che, interrotte, siano ancora salvezza per i giovani che nuotano in acque gelide.

(da qui)

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Orione

(da: L’itinerario di Orione in “Erbe aromatiche cacciatrici”)

“Orione è un gigante cacciatore, figlio di Euriale e di Poseidone, o di Ireo. Si dice anche che sia nato dalla Terra, come quasi tutti i Giganti. Da suo padre gli deriva il potere di camminare sul mare. Era di grande bellezza e di forza prodigiosa. Sposò dapprima Sida, così bella e così fiera della sua bellezza da pretendere di rivaleggiare con Era – cosa che indusse la dea a gettarla nel Tartaro. Privato della moglie, Orione si recò a Chio, forse chiamato da Enopio che gli chiese di liberare l’isola dalle bestie selvagge. Lì Orione si innamorò di Merope, figlia di Enopio, che si mostrò contrario al matrimonio. Qui le versioni differiscono. A volte si dice che Orione, ubriaco, volesse usare violenza a Merope, a volte che sia stato lo stesso Enopio a farlo ubriacare. In ogni caso, Enopio accecò Orione mentre dormiva sulla riva. Orione si recò allora nella fucina di Efesto e lì, preso un bambino, se lo mise sulle spalle e gli chiese di condurlo verso il sole nascente. Orione recuperò la vista […]. Poi l’Aurora si innamorò di Orione e lo portò con sé a Delo. Orione fu ucciso da Artemide, sia perché l’aveva incautamente sfidata in una gara di lancio del disco, sia perché aveva cercato di violentare una delle sue ancelle. Ma la storia della sua morte è la seguente: Orione aveva cercato di fare violenza ad Artemide stessa e la dea gli aveva mandato contro uno scorpione che lo aveva punto sul tallone. Per aver reso questo servizio ad Artemide, lo scorpione fu trasformato in una costellazione e Orione ebbe un destino simile. Ecco perché la costellazione di Orione fugge continuamente quella dello Scorpione.” (Pierre Grimal)

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