Archivi categoria: scritture

Il male degli astri

Lorenzo Pittaluga

Muoversi dal luogo per patire
l’assurdo della mano che non tocco
per partecipare al lutto ornato
del corpo sapido di familiarità.

*

Fermare l’immortalità che mi pencola
addosso e il Cristo monade che mi spaventa
riempie caselle e interstizi che mai mano
unì fra secoli di istante e di polvere.

*

Tendere le braccia all’assoluto
chiedendogli spiegazioni del dato
e delle figure come componendo
un’aria finita sulla fiammella.

*

Faccia a faccia sul come
dell’asceta che piglia
la sua ombra e la contrae
ridiventando cenere.

(La musa che resta. Inediti 1992-95,
“La Biblioteca di RebStein”,
vol. LXXXIX, aprile 2024)

***

Il tredicesimo invitato

Fernanda Romagnoli

Il tredicesimo invitato

Grazie – ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto qui come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano – lui ascolta.
Fra tante risa – cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori
si sente grato se alcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito «Sto per piangere!»
E all’improvviso capisce
che siede un’ombra al suo posto:
che – entrando – lui è rimasto fuori.

***

E’ questo il mondo

Nanni Cagnone

Colui che festoso
su trampoli, senza
mai pensarli fittizi,
lo ammetta: non c’è
grano di sabbia
prediletto; ceda
il segno dei mediocri,
la superbia; consideri
pochezza
le sue acclamate opere;
ricordi aver diritto
a un sepolcro, e sia
dal tacer fatto cortese.
Siano le allodole
a cantare, o mulinelli
d’acqua dolce, poi che
nella notte ancor ci culla
quel palpito, lontano
mostrarsi d’astri—
è questo il mondo,
noi siamo inferiori.

(Nanni Cagnone, Sterpi e fioriture,
Lavis (TN), La Finestra Editrice, 2021)

***

La carne dell’immagine

Giuseppe Zuccarino

1. L’ammirevole racconto di Balzac Le chef-d’œuvre inconnu ha avuto una gestazione complessa, essendo passato attraverso tre diverse stesure. Appare una prima volta nella rivista «L’Artiste» nel 1831; la seconda versione, con modifiche al testo, viene pubblicata lo stesso anno nella raccolta Romans et contes philosophiques, mentre la terza, molto ampliata, si legge in Études philosophiques nel 1837, come pure nell’omonima sezione della Comédie humaine nel 18451. Nel racconto agiscono sia personaggi storicamente esistiti – gli artisti François Porbus (si tratta del fiammingo Frans Pourbus il Giovane) e Nicolas Poussin –, sia personaggi di fantasia, come il pittore Frenhofer, cui spetta il ruolo di maggior rilievo.

Continua a leggere La carne dell’immagine

L’altro dentro di noi

Marco Ercolani

La tua domanda mi tormenta fin dall’inizio del nostro colloquio. Essere schiavi è l’inizio di tutto il dolore umano. Quando si è asserviti a teorie o a persone, si comincia a impazzire, proprio per combattere quelle prigioni. Da qui l’istinto di fuggire, l’ossessione del nomadismo. Ascoltare sì, ma non assentire al mondo come se ne fossimo solo gli specchi. Vivere da monaci in esilio, fuori dal mondo non per troppo tempo, solo per il tempo che siano noi a decidere. Mi chiedi se si può guarire dalla follia: non hai trovato medici competenti per risponderti? Ne deduco che ti fidi di me come psichiatra. Non so se fai bene, ma ho letto Freud e Binswanger, e ho capito che sono malinconico. La malinconia non è un’entità clinica ma il necessario riposo da tutte le malattie psichiche. L’uomo è una scia non richiusa. Torni in quella scia quando entri in una casa abbandonata e non trovi nulla: sono tutti corridoi, lunghi corridoi immersi dentro una nebbia; apri le porte, una per una, e se non trovi niente, pazienza; dietro quelle porte ci sono altri piani da salire, e se sopra non vedrai nulla, slànciati per altre scale, canta, sorridi. Finché non smetti di salire non smettono di esserci i gradini sotto i tuoi piedi. Niente chiude il viaggio. Ma bisogna fare attenzione alla fine della luce, ai muri freddi e improvvisi. Lì vedrai il limite, lì si spegnerà l’istinto nomade: e ti spaventerà la morte. (pp. 19-20)

Marco Ercolani, L’altro dentro di noi,
Verona, Anterem Edizioni / CierreGrafica,
“Piccola Biblioteca Anterem”, 2024.

***

“Amori ac silentio sacrum”

Elisabetta Brizio

LIBERTÀ – «Libertà» è una parola magniloquente e impegnativa: a che tende l’esortazione di De Bosis «operare, soffrire, amare, combattere» (si confronti d’Annunzio, nel vitalismo di Maia: «Volontà, Voluttà, / Orgoglio, Istinto»), a conclusione della Prefazione a Amori ac silentio? Qual è lo scopo reale di questa spinta ad agire in nome della libertà? Un falso scopo che scherma un’assenza di finalità e che si risolve come inizio e termine del discorso, o qualcosa di più, qualcosa di effettivo? È un po’ il limite dell’estetismo, del quale già Croce indicava la genericità degli assunti, riconducibili a un contegno, emotivo e intellettuale, verbalistico, intemperante, narcisistico. Una «fabbrica del vuoto», un movimento senza obiettivi – scevro com’era di reali o giustificabili motivazioni all’infuori di una smaniosa ed esaltata insofferenza, di un «dilettantismo di sensazioni» – e votato pertanto a perseguire null’altro che «una parvenza di scopo». L’estetismo non si concretizzava né in una reazione alle estenuazioni romantiche, giacché a liquidare certe forme epigoniche del romanticismo aveva già provveduto la restaurazione carducciana; né, in un Paese qual è il nostro, dalla salda e per certi aspetti retriva tradizione umanistica e classicistica, aveva molto senso (malgrado le pesantezze e la rigidità deterministiche e mimetiche, già lamentate da d’Annunzio a proposito di certo verismo) temere istanze positivistiche avverse alla purezza e all’autonomia del fatto artistico. (…)

Tratto da Lemmi simbolisti e progressivi in
“Amori ac silentio sacrum” di Adolfo De Bosis
,
ora in “Quaderni delle Officine”,
vol. CXXXIII, gennaio 2024.

***

Animale senza nome

Paolo Rou

  Ho appreso dell’esistenza di questo animale dalla viva voce del Dr. Sanchez Ruiz de Esteban, che a dispetto del suo cognome è nato e vissuto in Africa. Tempo fa, prima che il mondo cambiasse e l’uomo diventasse meno ragionevole della natura, Sanchez si trovava in Mali, alla direzione di un autentico avamposto sanitario, un pronto soccorso al limitare della savana chiamata Yayardè: contadini aggrediti dalle jene e gestanti ingoiate tutte intere da pitoni. In questo nulla stipato di emergenze inverosimili, il dottore aveva il suo da fare nel purgare gli adolescenti dediti alla masticazione di radici psicotrope, o nel limitare le scorribande contagiose delle puttane di passaggio. Fu lì, mi ha raccontato anni dopo, che si imbatté nell’esistenza di un misterioso animale.

Continua a leggere Animale senza nome

L’innumerevole esistenza

Elisabetta Brizio

Qualche nota su Maschere e figure di Paolo Ruffilli

Se Ruffilli non avesse scritto, a conclusione del Prologo di Maschere e figure. Repertorio dei tipi letterari (Il ramo e la foglia, Roma 2023), che le opere narrative da lui messe in campo giungono fino alla metà del Novecento e non oltre, si sarebbe tentati di includere nel repertorio dei tipi il protagonista del suo romanzo del 2011, L’isola e il sogno. Ma sotto quale voce classificarlo? L’insoddisfazione di Ippolito, la sua erranza mentale alla ricerca d’altro, di un nesso tra esperienza e sogno, suggerirebbero un modello di irresoluto, di nichilista, comunque non estraneo alle vicende della realtà attiva e storica. Ma che si perde in un galleggiamento esistenziale nell’isola che fa da scenario al maturare del nucleo drammatico del suo pensiero ipertrofico – e isola è emblema di instabilità e vaticinio di sparizione. «Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile», Sgalambro scriveva in Teoria della Sicilia. Che si sperde in una fluttuazione («Più la nave si avvicinava alla costa e di meno si coglieva l’insieme») congiunta allo sforzo di dare un nome e un senso agli indizi trattenuti dai paesaggi, quel lasciarsi andare al trascinamento del ricordo, che per Ippolito è presidio e consolazione: «le sue felicissime avventure della testa». E nel flusso profondo del sogno, dove «sogno» ha qui ben poco a che vedere con le rappresentazioni inconsce di un io onirico, con una materia pregnante e simbolica da interpretare. Così come con l’idea di una evasione verso universi fittizi. Sogno è condizione tanto appagante da sembrare infattibile, e tale sarà il folgorante rapporto amoroso di Ippolito. In particolare, il sogno è l’accesso privilegiato al farsi altro dell’apparenza.

Continua a leggere L’innumerevole esistenza