Archivi categoria: narrativa

Animale senza nome

Paolo Rou

  Ho appreso dell’esistenza di questo animale dalla viva voce del Dr. Sanchez Ruiz de Esteban, che a dispetto del suo cognome è nato e vissuto in Africa. Tempo fa, prima che il mondo cambiasse e l’uomo diventasse meno ragionevole della natura, Sanchez si trovava in Mali, alla direzione di un autentico avamposto sanitario, un pronto soccorso al limitare della savana chiamata Yayardè: contadini aggrediti dalle jene e gestanti ingoiate tutte intere da pitoni. In questo nulla stipato di emergenze inverosimili, il dottore aveva il suo da fare nel purgare gli adolescenti dediti alla masticazione di radici psicotrope, o nel limitare le scorribande contagiose delle puttane di passaggio. Fu lì, mi ha raccontato anni dopo, che si imbatté nell’esistenza di un misterioso animale.

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Lisbona, sabato pomeriggio, Tabucchi

Paolo Rou

Caro Tabucchi,

da questo cimitero dos Prazeres, che neanche so se esista davvero o non sia un’immaginazione di Pessoa, Le scrivo dopo aver riletto ancora una volta I pomeriggi del sabato. Riletto con affanno, con l’ansia di ritrovarmi in un inganno imbastito con le mie stesse mani. Avrei potuto scriverLe da Pisa, dove ho cercato inutilmente Sue tracce prima di giungere qui. Ma Pisa è cruda, nelle anse dell’Arno si consuma tutt’al più qualche delitto passionale, non ci sono rovesci di realtà a ingarbugliare le percezioni dei turisti.

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I soldi degli altri

Mirco Dondi

Seconda opera narrativa di Mirco Dondi dopo I Malriusciti (Elliot 2012), I soldi degli altri (Vallecchi 2023) è un romanzo a trama finanziaria che mira a riflettere sulle verità scomode, sull’arte manipolatoria dei media e sui riti assolutori. La vicenda si snoda attorno a un comico che nel suo show denuncia uno scandalo finanziario, ma la banca che è coinvolta nell’affare si vendica contro di lui riducendolo in prigionia in un hotel nel sud della Francia. 

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Il mito della coscienza incorporea. Derrida e Valéry

Giuseppe Zuccarino

1. Uno degli autori con cui Jacques Derrida si è confrontato a più riprese è Paul Valéry. Nel suo dialogo con questo importante poeta, narratore e saggista, un primo testo da prendere in esame è Qual Quelle. Les sources de Valéry[1]. Già il titolo richiede dei chiarimenti. Qual Quelle, pronunciato alla maniera francese, allude fonicamente a Tel quel, un’opera dello stesso Valéry[2]. Tuttavia, nel caso specifico, la formula va letta in tedesco, lingua in cui Qual equivale a «pena, strazio, tormento» e Quelle a «sorgente, fonte». C’è qui un rinvio a certe considerazioni hegeliane, che Derrida richiama nel corso del suo saggio. Hegel scriveva fra l’altro: «Egli [Jakob Böhme] sostiene che “l’unico è differenziato ad opera della pena, del tormento [Qual]”. Donde deriva la nozione di rampollare, di scaturigine [Quellen]: un arguto gioco di parole; la “pena” è la negatività in se stessa; con “rampollare” egli intende la vitalità e l’attività, che collega con la natura, la sostanza, la qualità [Qualität[3]. In effetti Böhme, mistico tedesco vissuto tra il XVI e il XVII secolo, metteva in relazione fra loro le varie parole citate, come spiega una studiosa della sua opera, Cecilia Muratori: «Secondo il gioco delle “etimologie sonore” create da Böhme, Qualität è collegata ai verbi quellen e quallen: il primo significa sgorgare, ad indicare il fatto che una qualità è qualcosa che sfocia all’esterno, cioè che produce un effetto analogo a quello di una sorgente (Quelle) […]. Una qualità ha almeno due modi per sgorgare o zampillare, vale a dire in accordo con la forza celeste di Dio o con la forza rabbiosa del Demonio: nel primo caso sarà una sorgente di vita, mentre nel secondo caso da Quelle diventerà Qual, cioè tormento o tortura poiché al posto della gioia farà scaturire solo sentimenti di angoscia»[4].

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Clandestinamente

Il Foglio clandestino è un aperiodico ad apparizione aleatoria. Vuol dire che appare quando è ora di apparire.
Senza scadenze precise.
Perché le scadenze sono delle bollette, dei compiti assegnati dalle maestre e cose del genere.
Le scadenze (giustamente!) si temono.
Un libro, o in questo caso una rivista, invece, si apre con la stessa curiosità con la quale si incontra uno sconosciuto per la prima volta.
Il Foglio clandestino Nr. 86/87 è dedicato al racconto breve. Si possono leggere, ed è questo che rende il numero speciale, racconti di autori viventi, poco o per niente conosciuti e autori noti di tutti i tempi e continenti.
Il dialogo che si intreccia tra gli uni e gli altri – tutti attenti osservatori di ciò che succede dentro e intorno a loro – è insolito e proprio per questo particolarmente stimolante: per quanto il tono, l’ambientazione, l’epoca, il modo di interpretare le cose ed il proprio ruolo di scrittore siano diversi, i redattori della rivista sono riusciti ad accostare i testi in modo da renderli comunicanti tra di loro: intorno a un tavolo rotondo immaginario che nessuno presiede.
Una comunicazione tra pari, lontana da ogni forma di competizione tra conosciuti e meno conosciuti.

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Polifonia narrativa

Giuseppe Zuccarino

Polifonia narrativa

Il primo libro pubblicato da Louis-René des Forêts è un romanzo, Les Mendiants[1]. Faranno poi seguito varie opere di rilievo, ma in esse l’autore non tenterà più di raggiungere l’ampiezza del volume d’esordio. Scrittore molto esigente, des Forêts motiverà questa sua particolarità nei termini seguenti: «Una prima opera non è un trampolino per la seconda, né la seconda per la terza, ecc. Proprio al contrario, le prime costituiscono, di per sé, dei seri ostacoli all’elaborazione della seguente. Ed è tanto più difficile trionfare sulle difficoltà che si presentano alla soglia dell’ultima in quanto lo spirito critico si sviluppa continuamente, irridendo, dissuadendo, asserendo con ardore che, se non si è riusciti a condurre a perfezione un’attività creativa fin dai primi tentativi, ci sono poche possibilità di riuscirci quest’altra volta»[2]. Egli è di norma severo con se stesso, dunque le sue parole non devono indurci a credere che, ad esempio, il romanzo breve Le Bavard o i racconti di La Chambre des enfants siano meno validi rispetto a Les Mendiants[3]. Di fatto, però, la difficoltà di esprimersi in maniera soddisfacente verrà da lui ribadita con sempre maggiore insistenza.

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Dalla vita di un fauno

Negli anni dal 1939 al 1944 l’impiegato Düring lavora per gli uffici del circondario di Fallingbostel, nella Brughiera di Luneburgo. Incatenato alla rupe di Prometeo delle sue mansioni, e costretto a dividere la propria vita tra le atmosfere naziste e una segreta rivolta dell’intelligenza, coltiva idee di fuga dalla famiglia – partecipe anch’essa dell’ipnosi collettiva – e dalla macchina dello Stato. Il «vedente» Düring, che deve suo malgrado «partecipare al gioco della mosca cieca», ottiene dal Landrat l’incarico di allestire un archivio storico per il circondario. È così che egli può tornare alla sua passione per i dati e le cifre, a cavallo di una bicicletta verso gli archivi di paesi e chiese, raggiungendo in questo modo la distanza apogea dal pianeta concentrazionario.

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La storia dei due gemelli

Hans Henny Jahnn

La storia dei due gemelli

     Nacquero due gemelli. Uno dopo l’altro abbandonarono in fretta il grembo materno. E si mostrò che erano più somiglianti di due oggetti della stessa forma. Crebbero. A distanza di una decina d’anni erano ancora più simili. Si assomigliavano come acqua limpida attinta secchio dopo secchio dallo stesso stagno. Avevano dato loro nomi dissimili. I nomi non erano riusciti a separarli. Il loro corpo aveva un unico scopo: emulare l’altro nelle sembianze. Poiché gli sforzi dell’uno e dell’altro si equivalevano, e il testimone passava da uno all’altro, nessuno dei due acquisiva un vantaggio. E giorno dopo giorno tutto concorreva ad un’uguaglianza sempre maggiore. Se uno si ammalava, l’altro non riusciva ad allontanarsi dal suo letto. Coloro che gli erano vicini presto compresero che le sostanze radunatesi per la crescita di una persona si erano scisse già nel grembo materno per versarsi nei due. Ma pochi anni dopo accaddero cose straordinarie. Sui banchi di scuola l’insegnante non riusciva a distinguerli. Li confondeva. Infatti era dotato solo di occhi e orecchie. Per strada li chiamavano col nome sbagliato. Si rassegnarono a rispondere anche al nome dell’altro.

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Klossowski, o dell’ostinata singolarità

Giuseppe Zuccarino

Se nel Novecento francese c’è un autore che mostra con estrema chiarezza come l’intensità del sentire debba necessariamente tradursi in opere inconsuete (tanto per il pensiero in esse espresso, quanto per le tecniche espressive adottate) e in uno stile di vita particolare, si tratta senz’altro di Pierre Klossowski. Nato a Parigi nel 1905 in una famiglia di artisti, ha la fortuna di essere guidato, nei suoi primi passi, da uno scrittore importante, André Gide. Verso il 1930, si interessa alla psicoanalisi e alle opere di Sade. Pochi anni dopo conosce Georges Bataille, col quale partecipa ad esperienze collettive come il gruppo di militanza antifascista «Contre-Attaque», la rivista «Acéphale» (e l’omonima società segreta), il Collège de Sociologie. Nella prima metà degli anni Quaranta, attraversa un periodo di febbrile ricerca religiosa, che lo porta a compiere studi di teologia e ad entrare come novizio in monasteri benedettini e domenicani, poi a convertirsi, ma solo per un breve periodo, al protestantesimo.

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Le interviste (im)possibili

“Sono quell’uno che vi ha capiti, il primo che ha colto la vostra definizione essenziale: siete gli esseri eterni in attesa della Perfezione, ridotti quotidianamente a semplici elogiatori della rilegatura, costretti dalla frustrazione, uno dopo l’altro, giorno dopo giorno, del poema, del romanzo, del libro; siete i soli che amate e concepite la Perfezione; gli scrittori tutt’altro, pubblicatori di brutte copie, di libri dettati dalla fretta, dall’opportunismo, dall’euforia. La Perfezione giungerà un giorno o l’altro in un libro, proprio come l’avete giustamente attesa e concepita: fino a ora non si è vista Perfezione alcuna se non nella grazia e nel potere morale di alcuni uomini e donne che noi tutti arriviamo a conoscere, prima o poi, e che non raggiungeranno mai una notorietà storica né quotidiana. Eppure fate bene ad aspettare e sono sicuro che il giorno in cui apparirà in Libro applaudirete tutti insieme, infinitamente grati.”

Macedonio Fernandez, Lettera ai critici

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