
Una ragazza conversa con Muratov, amico di Anna Politkovskaia, fatta ammazzare da Putin, il Pavone del Kremlino.
Sulle pareti, le foto dei giornalisti fatti ammazzare per ordine o semplice desiderio del Pavone.
La ragazza ha lo sguardo di Grushenka, Sonia, la Signora col cagnolino di Cechov.
Le unghie delle sue dita potrebbero essere smaltate di blu, come quelle della donna che amava tenersi bella, dal suo cadavere rattrappito, vengono fuori tre dita pittate, che sono la trinità del Tempo, della Corsa Paralizzata della Giovinezza, dello Sguardo in Amore, al mattino.
Dall’altro lato del tavolo, la ragazza che ama Dostoewskij, le Anime morte, il divano di Oblomov, la Donna di Picche di Puskin, cerca di capire, è in ascolto, più inquieta della storia di Dio, ma anche razionale, ironica, calma.
La conversazione è quasi senza aggettivi.
Muratov, anche lui cerca di capire, parlando. La Russia che si respira nella stanza è la tenebra di Stalker, il film di Tarkowski, ma è anche la luce disperata delle parole mai asservite, mai morte.
La ragazza e Muratov si ascoltano. Nessuna vanità, neanche quella dello sgomento.
Chi pronuncia la parola “guerra” rischia fino a dodici anni di carcere. La Russia Necrofora s’imbelletta di Verità come una Troia.
Giudici, poliziotti, cartomanti del Pavone, si lavano i denti ogni mattina.