
(a Massimiliano Damaggio, che sta traducendo Monogramma di Odysseas Elytis, a Yves Bergeret e a Francesco Marotta, che amano la poesia di Elytis)
οί βάρκες πού έκρουσαν γλυκά le barche che sbattevano dolcemente
e tutto il canto d’amore di Monogramma – rileggere Elytis, ri-tradurlo è sempre urgente, sempre necessario. Che sia pace o che sia guerra non importa. Il mare e la luce e la lingua greca.
Era Elytis stesso a ripeterlo: quella in lingua greca è, forse, l’unica tradizione poetica del pianeta ininterrotta nei millenni.
E per me le barche, come levitanti nell’acqua trasparente del porto, sono fascino ininterrotto fin dall’infanzia: a Castro, a Otranto, a Gallipoli le guardavo galleggiare movendosi piano, qualche volta appena urtandosi o urtando l’orlo del molo – vengo da una terra greca, greca d’Occidente e il canto del cretese Elytis mi tocca e mi commuove come pochi altri.
Conosco la pietra bianca abbagliata dal sole e l’olivo, sacra pianta, conosco il termine di ogni intrapreso cammino: il mare.