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Bienu
(da: “La Foce e la Sorgente” – Quaderni, III)
«Ascolta bene quello che cantano in questo momento, aggiunge Alabouri. Parlano di un uomo che arriva adesso al villaggio, che ritorna regolarmente al villaggio, che ama il villaggio e ne è riamato. Ascolta bene questa parola che lei canta: Bienu. È il nome di quest’uomo. È il nome di un vecchio saggio Dogon, vissuto in tempi antichissimi. Loro e noi abbiamo deciso di farti dono di questo nome». Così si legge ne Le trait qui nomme di Yves Bergeret. Il nome, in realtà, è sempre una parola donata. Che dunque appartiene al destinatario del dono e da quel momento in poi l’accompagna, è una parte di lui, ma è nel contempo il suono che racconta un legame. È un filo, il nostro nome, in cui fa nodo la memoria di quel gesto iniziale, rendendo – ogni volta che viene pronunciato – presente il donatore, conservandone ‒ nella sua forma, nel suo movimento ‒ l’eco, l’ombra: è il segno di quella vita, anche quando quella vita chissà dove è nascosta, anche quando quella vita è finita.
(Luigi Sasso, Il quaderno dei nomi)
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Chi è che guarda?
La Montagna d’Aurouze
In memoria di Alguima Guindo
Lo sguardo che ascolta
Un uomo senza ombra
Una carena e le ragioni dell’antifascismo
Dure paroi / Ardua parete
La montagna guarda
Le lointain / Il lontano
Yves Bergeret
Tratto da Carnet de la langue-espace.
Traduzione di Francesco Marotta.
Un pas puis l’autre
le lointain n’hésite pas ;
les chiens hurlent,
est-ce de joie ?
Les marées rapprochent écartent les montagnes
que tant de violence intimide
harcèle le jour la nuit.
Et si le lointain à pas sûrs s’approche encore
on sait coudre le cuir des montagnes :
tes doigts, le dur buis, le fil de la parole.
*
Condivisione
Eschilo e la lingua-spazio
Genesi
Alla luce della roccia
L’affresco di Maraden
Una carena infinita
Yves Bergeret
Parle la montagne
Tratto da Carnet de la langue-espace.
Versione di Francesco Marotta.
*
La tua vita: sedimenti, argille, sabbie.
Io sono la barca che puoi tirare a riva.
Rifletti.
Io sono una carena infinita.
Sono il rimbalzo di mille
fossili e utopie masticate.
Mettimi nella tua bocca.
Saprò sedurti.
Farò di te un’ancora.
Marosi e bruma svaniranno.
Sarai granito.
Chi vuole salire ascolta.
Sente il bordone millenario.
Lo protrae per mille anni ancòra.
*
Dimore
(da qui)
Le torrent met l’espace dans son lit.
L’espace met l’homme dans le lit du torrent.
Le torrent porte à l’océan l’homme allongé.
Debout voyage l’étranger
qui met l’espace dans sa gorge et le chante.
Il torrente depone lo spazio nel suo letto.
Lo spazio adagia l’uomo nel letto del torrente.
Il torrente porta l’uomo disteso verso il mare.
In piedi viaggia lo straniero
che accoglie lo spazio nella sua gola e lo canta.
*
Immensa materna montagna
Yves Bergeret
Parle qui grimpe
Tratto da Carnet de la langue-espace.
Versione di Francesco Marotta.
Tendo il braccio sinistro
fino alla grotta dove nasce il vento.
Tendo il braccio destro fino al letto
dove mia madre mi ha partorito.
Serro le dita.
Mi tiro su, sulla parete.
Ne spingo via la notte.
Ne sciolgo i chiodi di sofferenza.
Mi arrampico.
Le altre montagne intorno si abbassano
e io salgo.
Le mie dita cercano i gradini opposti,
mi aggrappo e salgo.