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Gianni Rodari: ci sono cose


Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
 

Ci sono cose da far di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
 

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.

Claribel Alegría: ars poetica


Ars poética

Yo,
poeta de oficio,
condenada tantas veces
a ser cuervo
jamás me cambiaría
por la Venus de Milo:
mientras reina en el Louvre
y se muere de tedio
y junta polvo
yo descubro el sol
todos los días
y entre valles
volcanes
y despojos de guerra
avizoro la tierra prometida.

*

Ars poetica

Io,
poeta di mestiere,
condannata tante volte
ad essere corvo,
mai vorrei fare scambio
con la Venere di Milo:
mentre lei regna nel Louvre
annoiandosi a morte
e coprendosi di polvere
io scopro il sole
tutti i giorni
attraverso valli
vulcani
e macerie di guerra
nell’attesa della terra promessa.

(Traduzione di Susanne Detering
Il quadro è di Max Kaus)

Dulce María Loynaz : la ballata del tardo amore


La balada del amor tardío

Amor que llegas tarde,
tráeme al menos la paz:
Amor de atardecer, ¿por qué extraviado
camino llegas a mi soledad?

Amor que me has buscado sin buscarte,
no sé qué vale más:
la palabra que vas a decirme
o la que yo no digo ya…

Amor… ¿No sientes frío? Soy la luna:
Tengo la muerte blanca y la verdad
lejana… – No me des tus rosas frescas;
soy grave para rosas. Dame el mar…

Amor que llegas tarde, no me viste
ayer cuando cantaba en el trigal…
Amor de mi silencio y mi cansancio,
hoy no me hagas llorar.

*

La ballata del tardo amore

Amore che sei arrivato tardi,
portami almeno la pace:
Amore di tramonto, su quale
strada sbagliata sei arrivato alla mia solitudine?

Amore che mi hai cercato senza che io ti cercassi,
non so cosa vale di più:
la parola che tu mi dirai
o quella che io non dirò più…

Amore… Non senti freddo? Sono la luna:
Tengo la morte bianca e la verità
lontana… Non darmi le tue fresche rose,
le rose non sono più per me. Dammi il mare…

Amore che sei arrivato tardi, non mi hai visto
quando ieri cantavo nel campo di grano…
Amore del mio silenzio e della mia stanchezza,
non farmi piangere oggi.


Traduzione di Susanne Detering
Il quadro è di Max Kaus

Per una lettura di “Perdite”

Chiara Catapano legge Perdite (Puntoacapo Editrice) di Bartolomeo Bellanova.

 

Quale incendio indomabile si prepara nei fondali!” (Dispaccio da Vieste

Ho voluto iniziare da questa profezia, quell’indomabile incendio che illumina e purifica, di cui Bellanova percepisce il propagarsi nei fondali: un incendio che si innesca dalle profondità oscure, da luoghi impensabili, per ossimoro. In fin dei conti, mi sono detta, questo è un libro di profezie che si stanno avverando mentre si scrivono. E’ come l’incontro tra due mari, tra due sostanze identiche ma provenienti da diversi luoghi; è il momento in cui il futuro annunciato e il passato veggente si salutano, generando immagini. Continua a leggere Per una lettura di “Perdite”

Erich Fried: Chi è l’uomo? / Domande

Erich Fried

Fragen nach dem Menschen

für E.B.

Und wurde die Liebe gelehrt?
Ja, aber schlecht und heimlich.
Und wurde der Tod gelehrt?
Ja, aber nur zum Teil.

Wieso zum Teil?
Es wurde nur Töten gelehrt,
gelehrt und geübt,
und das Sterben totgeschwiegen.

Und wurde der Hass gelehrt?
Ja. Gelehrt und geschürt, aber nur
auf den, der Feind genannt wurde,
und nicht auf das eigene Unglück.

Und was taten sie mit ihrem Leben?
Fast alle nur das,
was zu erwarten war,
nach einer solchen Lehrzeit.

*

Continua a leggere Erich Fried: Chi è l’uomo? / Domande

Nel martello del cervello: su “Ludwig” di Andrea Leone

         Anche questa volta si pensa al Manfred incarnato da Carmelo Bene, agli spasmodici recitativi del Tristan und Isolde di Wagner, alle affermazioni vertiginose di assoluto del Prinz von Homburg di Kleist mentre si leggono le sequenze di Ludwig di Andrea Leone (Fallone Editore, Taranto 2022) che ripete le altezze e le sontuosità del dire già raggiunte in Hohenstaufen e in Kleist – e si ha l’impressione di essere davanti a una “trilogia tedesca” nella quale si compie il miracolo di poter leggere in italiano sequenze di testi che, se fossero scritti in tedesco, avrebbero la stessa forza espressiva e concettuale, il medesimo ritmo antiretorico eppure sapientemente condotto secondo l’arte del dire e dell’argomentare.  [continua a leggere su Via Lepsius]

Miguel Hernández: Guerra

 

Guerra

La vejez de los pueblos.
El corazón sin dueño.
El amor sin objeto.
La hierba, el polvo, el cuervo.
¿Y la juventud?
 
En el ataúd.
 
El árbol solo y seco.
La mujer como un leño
de viudez sobre el lecho.
El odio sin remedio.
¿Y la juventud?
 
En el ataúd.
 
 
Guerra
 
La vecchiaia dei popoli.
Il cuore senza padrone.
L’amore senza scopo.
L'erba, la polvere, il corvo.
E la giovinezza?
 
Nella bara.
 
L'albero solo e secco.
La donna come legna
di vedovanza sul letto.
L’odio senza rimedio.
E la giovinezza?
 
Nella bara.

Traduzione di Susanne Detering

Erich Fried: Al ritorno da Delphi

Erich Fried

Heimweg von Delphi
 
Wie groß ich war
meine Kleinheit zu erkennen
Wie stark ich war
meine Schwäche zu gestehen
Wie klug ich bin
nun wieder schnell zu vergessen
wie klein und schwach
und dumm und vergesslich ich bin

*

Al ritorno da Delphi

Ero assai grande
per riconoscere la mia pochezza
Ero assai forte
per ammettere la mia debolezza
Sono assai saggio
per dimenticare subito
la mia pochezza, debolezza
stupidità, smemoratezza

*

Da “Ludwig” di Andrea Leone

 

Andrea Leone     Ludwig     Fallone Editore 2022

La stanza azzurra della mia testa - 
gli infiniti 
gli inflessibili 
incidenti delle mie menti -
la galleria di specchi dei miei cervelli -
l'autore drammatico che mi ha creato -
il mattino che allestisco
in tutto il libro violentssimo - 

Tu sei la pura 
partitura che mi esegue,
tu sei esattamente
la lente 
delle spietatezze,
tu sei l'implacabile
sole di sangue nelle stanze,
tu sei il delitto che dirigo,
tu sei il pericolo che indico.

Tu mio altro
tu mio inaspettato
attentato matematico. 

Mio creato dal crollo.
Mio contemporaneo del canto.
Mio coetaneo dell'entusiasmo.

Scritto 81

IL MARTELLO DI YOSHIMASU GOZO

Il martello apre la parola: percuotendola la fa risuonare e la scheggia | la fessura | la spacca | la slabbra | la ferisce

Il martello inchioda oppure appiattisce o piega oppure ritma un tempo di lavoro o di canto

Il martello prolunga il palmo e le dita e il braccio

Un martello può uccidere

Ma il SUO martello estrae voce  suono e vibrazioni e poesia che è pensiero diventato vento

Questo vento martella le tempie e il libro.

Questo martello – brandito alto nell’aria – abbattendosi ristabilisce la presenza

Amo la castità del ballatoio (di Rocco Brindisi)

Amo la castità del ballatoio.

La ragazza di ieri era un’altra.

L’ho vista di sfuggita: bruna, prosperosa, assente.

Era lì che spazzava.

Non l’ho invitata per il caffè: avrei dovuto rifarlo.

Né mi commuove non avere desideri.

E quando mi ha guardato, un istante, ho sperato non venisse 
                                                         [sfiorata dalla mia infelicità,

che non è tenue, al mattino.

[Rocco Brindisi]

La lingua in poesia, la comunità, la vista nuda – su “Ponti sdarrupatu” di Alfredo Panetta

Alfredo Panetta scrive un libro, Ponti sdarrupatu. Il crollo del ponte (Passigli Editori, Bagno a Ripoli 2021), che unisce in sé la potenza espressiva del dialetto calabrese, la tensione etica del discorso che si esplicita di verso in verso e nell’impianto generale dell’opera, la partecipazione umana (mai retorica, mai banale) alle storie delle vittime del crollo del Ponte Morandi di Genova.  Continua a leggere La lingua in poesia, la comunità, la vista nuda – su “Ponti sdarrupatu” di Alfredo Panetta

Luigi Medri, Poesie

Riceviamo e pubblichiamo da Edizioni del Foglio Clandestino


Luigi Medri, Poesie
A cura di Athos Geminiani e Gilberto Gavioli

Note di Simonetta Medri, Giulio Franceschi, Paolo Lezziero, Roberto Marchi, Giorgio Oldrini, Cinzia Polino e Vasco Pasqualini


Jorge Luis Borges, citando l’editore Franco Maria Ricci, scriveva: «Pubblichiamo per non passare la vita a correggere i manoscritti». Potrebbe essere questa una delle ragioni per la nascita di questo libro, frutto dell’infinita perseveranza del poeta, e della dedizione di alcuni suoi amici-lettori. Un libro che mancava, un libro atteso, felice, che stupirà coloro che tra le pagine incontreranno un nuovo poeta. Un poeta che avrebbe cent’anni e che di molti secoli e parole si è nutrito.

Il destino della poesia è di essere mutevole, anche tra le mani dei suoi autori. Chi la asseconda, deve lavorare, lavorare con la penna o la matita e cercare senza sosta. Anche se muove o cancella soltanto una virgola, questo segno delicato e svolazzante, leggero ma con la forza e la capacità di mutare un intero periodo, di rompere il blocco di una situazione, di stabilire le pause di un dialogo, di una vita. Come ben scriveva con rara arguzia Paolo Lezziero, poeta e anch’egli animatore culturale della nostra città.

Le poesie di Medri nascono e rinascono più volte, non c’è mai il tempo di battezzarle perché muoiono in parte e poi di nuovo rinascono arricchite o semplicemente modificate. Non più o meno belle, la base è sempre quella di un lavoro alto, di un collaudo sempre più efficace.

Perché una virgola spostata può cambiare il mondo, sicuramente quello interiore del poeta […]. È una mania? Una fissazione? No. È il culto del bello ricercato attraverso la parola mai sufficiente a rendere l’idea interiore.

Il libro raccoglie tutte le poesie di Medri, nella loro versione finale, per quanto possa essere definitivo un testo in poesia. Questo lavoro affettuoso e preciso consente ai lettori di scoprire un poeta, che rinasce ora e torna a camminare per le nostre strade; un poeta che ci tocca il braccio, delicatamente, invitandoci a conversare con lui, a guardare per qualche istante lo stesso suo orizzonte. Una occasione da non trascurare. Oltre 100 poesie divise nelle sezioni pensate da Luigi Medri, nelle raccolte che videro solo nei sogni la loro realizzazione. E che ora prendono forma, forza e precisione, nella stampa, attraverso la voce dei nuovi lettori: la vostra voce.

*

Insonnia

Morirò un giorno, così, come tutti,
ma perché ancor mi sorprendo
d’ognuno che muore, non so;
né so perché un bimbo in giardino
dà agli alberi un nome e gli parla
come ad amici nel gioco,
mentre più in là nelle strade
o lungo il fiume tra gli orti
soldati in eterno cammino
gettano un telo sui morti.

Non posso chiudere gli occhi, e le storie
m’arrivano come
sospese memorie
di campi, di sole, di giostre, di grano,
di ciminiere di fumo,
di corti assolate,
e un infinito mormorìo di gente
che m’accompagna per via
verso la terra del niente.

Ad un antico 25 aprile

E ci svegliammo in quel mattino chiaro
ad abbracciare il sole nelle strade.
Come passeri nati dopo il gelo
o cavallini appena sciolti al prato
noi quel mattino conoscemmo il cielo.

Rami di vento, musica di foglie
non mi chiamate con il vecchio nome:
più non rivedo sulle nuove soglie
l’albero nato coi germogli d’oro.

Nudi commiati che parlarne duole
noi ci lasciammo ad un diverso come
sopra una terra già percossa d’ira
che barcollando si rigira al sole.

*

Luigi Medri (Gigi) nato nel 1922 a Sesto San Giovanni e qui scomparso il 3 agosto 2018. È stato tra gli animatori della cultura sestese nell’immediato dopoguerra e fino agli anni ’70. In particolare è stato condirettore, con Pietro Lincoln Cadioli, del primo giornale «L’Incontro» e tra i fondatori, dimenticato, della Biblioteca Civica di Sesto San Giovanni. Aggiunge alle raccolte di poesia (La solitudine del giorno; Intermezzo; Le ultime mosche; L’impero del vento; E arcane voci e parole) due opere in prosa: Una storia piccola (1983) e L’ipicì (1988). Nel 1999, a cura della redazione dell’aperiodico «Il Foglio Clandestino», è stata pubblicata la raccolta poetica Antologia personale, seguita nel 2004 dalla Seconda antologia personale, in occasione degli ottant’anni del poeta. L’opera omnia ora realizzata è stata condotta dai curatori sulla base delle ultime revisioni dei testi curate dall’autore fino al 2017.

Per l’acquisto in anteprima, scontato, scrivere alle Edizioni del Foglio Clandestino: redazione@edizionidelfoglioclandestino.it

Il mosaico dei ciechi, Una lettura dell’inedito “Colono 22” di Chiara Catapano

Non so dove sia il boschetto in cui Sofocle fa morire Edipo. Oggi Colonòs è il campo di sterminio degli alberi, l’insulto all’equilibrio della natura, che è poi l’unico vero “splendore” umano, il suo incespicare, il suo cadere, il suo niente.

E nel niente di tutto ciò che si spegne, ed era, nel niente di quel bosco in cui Edipo finisce di vivere – e inizia a respirare, finalmente, spegnendosi –, in questo vuoto saccheggiato si apre, silenziosa, la corolla della memoria. Intorno, all’improvviso, si fabbrica il silenzio del petalo.

Per irrompere nell’orrore di telefoni, metro, uffici e bar, basta una lacrima che, da sola, ha “divelto il giorno”. Questa lacrima che ha “divelto il giorno” mi ha aperto il sentiero in questa scrittura.

In una specie di discesa nel silenzio, quando fuori degli occhi un mondo rotto si accatasta deforme su sé stesso, nel fondo di qualcosa – che potremmo essere noi stessi – avviene un altro mondo, che si costruisce, o si ricostruisce inseguendo un equilibrio.

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Emilio Coco, Inediti da “La casa”

Nella zona più buia della casa
dove le tapparelle sono sempre abbassate
e le luci del grande lampadario
in falso stile inglese vittoriano
è da anni che si sono fulminate
e nessuno si è preso mai la briga
di sostituire con le nuove a led
le nere lampadine a tortiglione
troneggianti sui bracci con doratura a foglia
che farebbero gola
ai fanatici amanti del vintage.

In questa stanza di quaranta metri
che funge ancora da salotto e studio
anche se ormai non v’entra più nessuno
si aggira traballante un uomo solo
cercando compagnia tra i vecchi libri
che piangono l’assenza di una mano
sul dorso o tra le pagine.
Quasi a chiedere scusa, allunga le sue dita
a tastare la pelle raggrinzita
dei classici Aguilar, li sfiora a uno a uno,
quei corpi inerti, che più non sobbalzano
alle folli lanciate del cavaliere errante.

Senza profferire una parola
accosta il petto allo scaffale e cinge
in un unico abbraccio incontenibile
tutti e trenta i volumi.
Resta così finché viene distratto
da un brusio di passi alle sue spalle,
volge lo sguardo e scorge Dulcinea
splendente come rosa,
in abito di schiuma vaporosa
coi capelli che indorano
la sua svelta figura.

Un’alchimia di luci e di colori
riempie la sala mentre la donzella
stringe il suo cavaliere contro il seno.
Si spengono le luci e nuovamente il buio
ogni cosa ricopre col suo velo
nella mia stanza triste di poeta.

Continua a leggere Emilio Coco, Inediti da “La casa”