Archivi categoria: antonio devicienti

Conversazione a Roca Vecchia (da “Iuncturae”)

È un buon luogo, questo, per ritrovarsi a conversare: il mare invernale, lasciato finalmente solo, si dà in tutta la sua austera significanza ed è parca, commovente la sua bellezza priva dei facili trionfi dell’estate.

«Ho sempre amato questi luoghi del passaggio, questi approdi momentanei da cui ripartire».

Accosta il pollice, l’indice e il medio (tra i quali è accesa una sigaretta) alla tempia destra e con l’anulare dell’altra mano percorre più volte l’orlo del bicchiere.

«Sì, capisco e qui il passaggio tra una sponda e l’altra è stretto, i nomi si richiamano tra una riva e l’altra e pure gli dèi (e i demoni) non sono stranieri gli uni agli altri».

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Opus tessellatum / 2 (da “Iuncturae”)

LA REGINA DI SABA (Parla il  Re Salomone che, nel mosaico otrantino, le siede di fronte, ma in un altro medaglione)

«Signora del viaggio, mente che avida contempla la mia città, ti sono grato del dono che porgi a me pur non-sapiente – ma sapienza (sappilo) è cercare sapienza. Il tuo viaggio t’ha edotta, tu già sul sentiero per la sapienza nel momento in cui decidesti e apparecchiasti la partenza.

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Friedrich Hölderlin, La veduta (dalle “Nature indivisibili”)

LA VEDUTA

Quando la vita abitante degli umani si avvia nella lontananza,
là dove s’illumina lontanando il tempo delle vigne,
le è contemporaneo anche il campo vuoto dell’estate,
il bosco si profila con la sua oscura figura;
che la natura completa l’immagine dei tempi,
ch’essa dura, quelli scivolano via veloci,
è cosa che accade per perfezione, l’altezza del cielo sfolgora
allora sull’essere umano, come la fioritura incorona gli alberi.

Con umiltà
Scardanelli
24 maggio 1748

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Opus tessellatum / 1 (da “Iuncturae”)

(parla la creatura che regge sulla testa la scacchiera)

«Chi adesso scrivendo mi dà la parola lo ricordo bambino entrare in questo grande spazio figurato, camminare su questo tappeto di mosaico e, nella fascinazione del suo non capire, immergersi negli enigmi che mai gli si sarebbero dissolti, ma proprio per questo ancora restano luminosi e fascinanti.

Nell’animalità delle mie quattro zampe, nell’umanità del mio volto, nel sapiente trifoglio che, trino e germogliante, è figura della parola, reggo quest’enorme scacchiera e mostro così la geometria del vivere e del morire, dell’andare e del restare, squaderno la corrispondenza perfetta tra le speculazioni della mente e l’universo indagato e interrogato.

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L’eternità a Lourmarin (dalle “Nature indivisibili”)

Non esiste più né linea diretta né strada illuminata che mi leghino a colui che mi ha appena lasciato. Contro che cosa va a stordirsi il mio affetto? Cerchio dopo cerchio, s’egli s’avvicina è per subito allontanarsi. Talvolta il suo viso viene ad appoggiarsi al mio: e suscita soltanto un gelido lampo. Non esiste più da nessuna parte la giornata che prolungava la felicità tra lui e me. Ogni parcella – quasi in eccesso – della sua presenza si è all’improvviso dispersa. Abitudine della mia vigilanza… Tuttavia quest’essere venuto meno perdura in un qualcosa di rigido, di deserto, d’essenziale in me, dove i millenni vissuti insieme formano soltanto lo spessore d’una palpebra chiusa.
Ho smesso di parlare con colui che amo – eppure non è il silenzio. Che cos’è allora? Lo so, o credo di saperlo. Ma soltanto quando il passato, che ha un significato, s’apre per lasciarlo passare. Eccolo alla mia altezza, poi lontano, davanti.
Nell’ora nuovamente raccoltasi – allorché interrogo tutto il peso dell’enigma – all’improvviso comincia il dolore, quello del compagno per il compagno, che l’arciere, stavolta, non sa trapassare.

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Nel martello del cervello: su “Ludwig” di Andrea Leone

         Anche questa volta si pensa al Manfred incarnato da Carmelo Bene, agli spasmodici recitativi del Tristan und Isolde di Wagner, alle affermazioni vertiginose di assoluto del Prinz von Homburg di Kleist mentre si leggono le sequenze di Ludwig di Andrea Leone (Fallone Editore, Taranto 2022) che ripete le altezze e le sontuosità del dire già raggiunte in Hohenstaufen e in Kleist – e si ha l’impressione di essere davanti a una “trilogia tedesca” nella quale si compie il miracolo di poter leggere in italiano sequenze di testi che, se fossero scritti in tedesco, avrebbero la stessa forza espressiva e concettuale, il medesimo ritmo antiretorico eppure sapientemente condotto secondo l’arte del dire e dell’argomentare.  [continua a leggere su Via Lepsius]

La fioritura dell’agnocasto / 1

Bellissimo, poi, per l’altezza e l’ombrosità è l’agnocasto che essendo al culmine della fioritura rende il luogo più profumato che mai (Socrate conversando con Fedro)

(dedicato a Francesco Marotta)     universa universis patavina libertas ● mi ripeto spesso il motto dell’Università patavina e ogni volta mi emoziona ● c’è un’installazione di Kounellis nel cortile principale di Palazzo Bo fatta di travi di legno consumate dal tempo e scheggiate ● l’artista le raccolse nella periferia della città, le pensò come segni materici della resistenza al nazifascismo ● e quelle travi alludono anche alla cattedra di Galileo, il perseguitato ● il cielo di Padova che si profila sulle cupole e sui minareti bizantini e orientali della Basilica ha una profondità che commuove ● i vetri della Specola riflettono ancora la vertigine della scoperta ● Padova è città d’acque e di cieli, andare e andare sotto i suoi portici è lasciar risuonare nella mente passi che pensano, che meditano

Naufragi nella selva oscura: su “Ostrakon” di Alessandro Ghignoli

         Prenderei avvio dall’endiadi zanzottiana “oltranza oltraggio” per riflettere sul libro di Alessandro Ghignoli Ostrakon (Anterem Edizioni / Cierre Grafica, Verona 2022) e questa volta, diversamente dalla mia prassi di lettura abituale, non “attraverserò” Ostrakon perché esso, semplicemente, resiste a un tale tentativo e lo vanifica, ma, appunto, dispiegherò una serie di riflessioni e di ipotesi.

          Sia chiaro da subito che, a mio giudizio, siamo davanti a un’opera di straordinaria e rara forza espressiva, concettuale e artistica e mi permetto di aggiungere che ho l’impressione di trovarmi non davanti a un volume a stampa, ma innanzi a un oggetto-spazio, a una scatola colma di enigmi e di sfide e di insidie, a un libro che rinnega sé stesso pur avendo, tra le mani che lo aprono per la prima volta, la tradizionale, rassicurante apparenza del libro.      Continua a leggere su Via Lepsius

Scritto 81

IL MARTELLO DI YOSHIMASU GOZO

Il martello apre la parola: percuotendola la fa risuonare e la scheggia | la fessura | la spacca | la slabbra | la ferisce

Il martello inchioda oppure appiattisce o piega oppure ritma un tempo di lavoro o di canto

Il martello prolunga il palmo e le dita e il braccio

Un martello può uccidere

Ma il SUO martello estrae voce  suono e vibrazioni e poesia che è pensiero diventato vento

Questo vento martella le tempie e il libro.

Questo martello – brandito alto nell’aria – abbattendosi ristabilisce la presenza

Per Cristina Campo (sul “Primo Amore”)

L’elegante volumetto dedicato a Cristina Campo (che già al tempo della sua prima apparizione Domenico Brancale ebbe a definire “una stella cometa sul suo cammino”) invita ad approfondire una figura che, assai legittimamente, sta conquistandosi sempre più interesse e, spero, lettori.  [da qui]

Flugblatt 8 / L’altro orizzonte della scrittura (esperimenti asemici di Antonio Devicienti)

28  Uheln+¢ trh (mercato del carbone), angolo Perlov+íIl termine tedesco Flugblatt significa “volantino” (alla lettera “foglio volante”) e ha nei paesi di lingua tedesca una storia assai interessante e gloriosa che risale almeno al XV secolo quando i “Flugblätter” (plurale di “Flugblatt”) venivano venduti (e a prezzi non sempre modici) durante i mercati, le fiere e altrove; i loro contenuti erano i più diversi e i Flugblätter ebbero un ruolo importante nel dibattito politico e culturale già ai tempi della Riforma luterana e nei secoli successivi.

La foto di copertina è di Francesco Jappelli (Un’altra Praga) e ritrae il Mercato del carbone nella Città Vecchia.

Buona lettura/visione. [A. D.]

Flugblatt 8_ L’altro orizzonte della scrittura

Domenicale suggerimento

Mi permetto di suggerire sia a chi legge che a chi commenta di dare un’occhiata ANCHE ai “tag” dei miei “post” – forse le mie intenzioni risultano in tal modo più chiare; in ogni caso tengo a SOTTOLINEARE che per me la scrittura è qualcosa di molto serio (e, anche, gioioso: è un atto di libertà), totalmente svincolato da qualcosa che possa chiamarsi “successo”, “visibilità”, “editoria main stream”.  [A. D.]

Scrittura d’acqua (sul “Primo Amore”)

Dovunque acqua sia voce raccoglie (meglio: accoglie) e riscrive molti testi più o meno recenti, molti percorsi di scrittura e di pensiero sempre caratterizzati da quella tensione intellettuale e psichica mai pacificata, sempre sull’orlo del precipizio, sempre interrogante che vivifica tutti i libri di Domenico Brancale dal momento che l’acqua richiama direttamente l’interrogazione intorno all’origine, agli stati della pre-nascita per inoltrarsi nello stare-nel-mondo sempre condizionato (talvolta dolorante) a causa di questa separazione originaria.

[da qui]

Splendori

Splendori e fasti di quei libri che si autogenerano, titoli diversi, eguali sempre contenuti e stile (stile?), vampireschi, onanistici, imperdonabilmente noiosi.

Fasti e splendori dei libri in serie, luci di natale in plastica, dolciastri rassicuranti.

Ospitati, reclamizzati, recensiti, mai letti (nemmeno da’ lor recensori). Ah, almen non fosser stati mai scritti! 

Primati

Caro amico e/o cara amica, pubblichi (almeno) un libro all’anno (talvolta anche due, tre).  Sono felice per te, perché sicuramente hai trovato la formula magica per dilatare la durata della giornata in modo da poter studiare, meditare, scrivere, correggere, tornare a studiare, riscrivere…

E poi ci sono le prosaiche incombenze: fare la spesa, mettere sotto carica il computer, lavare i panni, fare una passeggiata, incontrare gli amici, sbrigare la corrispondenza, mangiare, fare l’amore.

Sono ammirato.

La lingua in poesia, la comunità, la vista nuda – su “Ponti sdarrupatu” di Alfredo Panetta

Alfredo Panetta scrive un libro, Ponti sdarrupatu. Il crollo del ponte (Passigli Editori, Bagno a Ripoli 2021), che unisce in sé la potenza espressiva del dialetto calabrese, la tensione etica del discorso che si esplicita di verso in verso e nell’impianto generale dell’opera, la partecipazione umana (mai retorica, mai banale) alle storie delle vittime del crollo del Ponte Morandi di Genova.  Continua a leggere La lingua in poesia, la comunità, la vista nuda – su “Ponti sdarrupatu” di Alfredo Panetta

Scritto 78

(Per Ettore Spalletti

Il colore non è accessorio, ma è la LUCE ed è il SILENZIO. Impensabile (impercepibile) lo SPAZIO senza il colore. L’immersione nel colore è nascita, muoversi nel colore è rinnovata nascita genesi. Strato su strato il silenzio addensa il sostare nell’esistere: lèggere il limite bianco dell’azzurro, ascoltare la cubicità e la conicità della luce. Spazio:moto:incessante: superfici di levigate materie (eppure porose, tessiture delle vernici, microscopici avvallamenti e rughe) di concepite distanze – goniogenesi. Oftalmogenesi. Così lo sguardo nasce a sé stesso diventando e si fa spazio     :     colore.