Gli alberi di Argan

Maurizio Mattiuzza
Francesco Tomada

Il friulano Maurizio Mattiuzza giunge con Gli alberi di Argan (La Vita Felice) alla sua terza raccolta poetica, dopo La Cjase su l’ôr (1997) e L’inutile necessità(t) (2004); si tratta dunque del frutto di un percorso che prosegue da molti anni, anche attraverso una intensa attività di paroliere – ha lavorato con Lino Straulino e Renzo Stefanutti –, spoken poetry, stesura di racconti. Le collaborazioni in ambito musicale immagino che siano state fondamentali nella maturazione di Mattiuzza, in quanto la sua poesia si contraddistingue già ad una prima lettura per una metrica cadenzata e per un attento gioco di assonanze e rime, che caratterizzano quasi sempre la chiusa dei testi conferendogli una forza fonetica ed emotiva di grande spessore. Così a colpire non è tanto la forma in sé, né l’alternanza dell’italiano, del friulano, del dialetto della Valsugana, quanto la capacità di padroneggiare tutto ciò, di adattarlo con una grandissima naturalezza all’andamento delle composizioni, aspetto che spicca ancora di più ascoltando Mattiuzza leggere dal vivo.
La bellezza della poesia però non deriva dalla cura formale, ma dal suo contenuto di verità, e Gli alberi di Argan è un libro riempito di verità. La poesia di Mattiuzza sa essere civile e intima, spietata e dolcissima; sa guardare all’amore con fiducia ma anche con disillusione; conosce il valore sacro del lavoro, della fatica, del senso della famiglia. Mattiuzza, mi sembra di poter dire, è un uomo – prima che un autore – con i piedi ben piantati nel Friuli contadino di nonni e genitori, e la testa attenta al progresso di oggi. In questo spazio che è spesso distacco il suo sguardo riafferma, con forza e con dolore, la sacralità della vita e ne cerca i segni, che sono alberi e radici ma anche valigie, partenze e ritorni. Prende forma così una intensissima poesia che può essere definita popolare nel senso migliore del termine, perché si esprime nella lingua e nei temi comuni e ricorda, proseguendo nel parallelo con la musica, lo spirito profondo dei lavori dei grandi cantautori, primo fra tutti quel Fabrizio De Andrè che non a caso viene citato nella raccolta.
La scorsa settimana, mentre Maurizio Mattiuzza leggeva le sue poesie, uno spettatore lo ha interrotto dicendo: dovresti farle leggere alle persone del pubblico, perché sono di tutti.
Appunto.

Maurizio Mattiuzza, Gli alberi di Argan
Prefazione di Gabriela Fantato
Milano, Edizioni La Vita Felice, 2011

Testi

GLI ALBERI DI ARGAN

La fatica degli alberi di qui
noi non la sappiamo
eppure sembra la stessa
degli uomini che hanno
radici dove non c’è acqua
e vengono su così
col tronco irrobustito dalla sete
e queste lingue vecchie
come il sale
senza spreco
di parole
in cui ogni saluto
ogni stretta di mano
sembra dirti
fidati del mondo
ma stai attento

che la vita la capisci solo camminando
controvento

(In Marocco, on the road, con Nadia e Silvio, settembre 2007).

LA GJEOGRAFIE DI UN AMÔR

Lis tignive adun la pôre dai vecjos
di vueris e cjaristie
une fadie ch’a je pazienze
braure di vê sudât fint insomp
ogni esperienze
dutis chês pieris ch’a jerin
lis nestris cjasis plenis
di un pôc durât mil agns
e sledrosât intun minût
dut pierdût
fradis e fîs
paîs, lavôr
la gjeografie di ogni om
il sens dal so amôr
dulà jeristu Signôr
cuant che dut ’l è lât in nuie
e la nestre lenghe dolce
di lissandrins (1)
a no bastave plui a clamâti
a preâti e maladî l’unfier
di un vivi fruiât tant che i bleons
là che o vin durmît par secui
tignint cont di ogni fruçon
di ogni franc sparagnât in Svuizare,
in Belgjio, in miniere
ti impensistu Gjò
dal cjalt di chê sere
di nô che ti cirivin cu la vite in man
cence plui tiere di strenzi
di tibiâ
ma vin sgarfât fin sot Sâstu
plui jù ch’a si podeve
metro par metro
trâf par trâf
jù e ancjemò jù
simpri plui in jù
tai ricuarts, tes fotos
tai scansei dal nestri profont
strenzintsi a l’anime
dal mont

(1) Si riferisce qui alla probabile origine paleocristiana di rito alessandrino di alcuni canti e tradizioni friulane studiata da Don Gilberto Pressacco. (G. Pressacco, Viaggio nella notte della chiesa di Aquileia, Udine, Gaspari Editore, 2002).

[LA GEOGRAFIA DI UN AMORE: Le teneva assieme la paura dei vecchi / di guerre e carestia / una fatica che è pazienza / orgoglio di aver sudato fino in fondo / ogni esperienza / tutte quelle pietre che erano / le nostre case piene / di un poco durato mille anni / e sradicato in minuto / tutto perduto / fratelli e figli / paesi, lavoro / la geografia di ogni uomo /il senso del suo amore / dov’eri Signore / quanto tutto è caduto a pezzi / e la nostra lingua dolce / di alessandrini / non bastava più a chiamarti / a pregarti e maledire l’inferno / di una vivere liso come le lenzuola / in cui abbiamo dormito per secoli / conservando ogni briciola / ogni soldo risparmiato in Svizzera, / in Belgio, in miniera / ti ricordi Dio / del caldo di quella sera / di noi che ti cercavamo con la vita in mano / senza più terra da stringere, / da calpestare / ma abbiamo scavato fin sotto Sai? / più che si poteva / metro per metro / trave per trave / giù e ancora giù / sempre più in giù / nei ricordi, tra le foto / nei cassetti del nostro profondo / stringendoci all’anima / del mondo]

*

Ce confusion de nuot
vegnen ducj a cjatâme

(Federico Tavan)

Ce meracul ch’a je
l’albe
la strade ch’a stralûs
ch’a puarte vie lis vôs
di chei che ai sumiât
fradis cu la machine gnove
i cjavei sui voi, la muse
di vuê
che jo no sai plui
ce muse ch’a je e dopo
mascaris su mascaris
ridadis, un carnavâl
une fieste di famee
finide mâl
cjati mê none
l’om ch’a ti strenzeve
prime di me
sin in undis cuintri undis,
me pari e mê mari
di la da rêt a cuistionin un pôc
tabain dai fats lôr
ju cjali e piert il moment bon
stopi la bale masse sot
mi mangji il gôl
no soi mai stât
cussì bessôl

[Che confusione di notte
vengono tutti a trovarmi

(Federico Tavan)
Che miracolo è / l’alba / la strada che riluce / che porta via le voci / di quelli che ho sognato / fratelli con la macchina nuova / i capelli sugli occhi, la faccia / di oggi / che io non so più / che faccia è, poi / maschere su maschere / risate, un carnevale / una festa in famiglia / finita male / incontro mia nonna / l’uomo che ti abbracciava / prima di me / siamo undici contro undici, / mio padre e mia madre / oltre la recinzione litigano un po’ / parlano dei fatti loro / li guardo e perdo l’attimo buono / stoppo la palla troppo sotto / mi mangio un gol / non sono stato mai / così solo]

IL RIENTRO DELLE BARCHE

Sono pescatori che
rientrano in porto con le reti piene
di fatica, i giorni in cui un amore
sembra sul punto
di finire, parole corte, gesti
misurati e un novembre diffuso
tra le cose della casa, dentro
le lenzuola, nella tua stanza
non c’è più
la mia foto, solo il ticchettare
delle ore, campi e strade
fino al mare, alle partenze
delle vele
bisognerebbe avere
la sapienza della terra
quei suoi riposi, le fioriture
l’insistere di schiuma delle onde
contro la forza fonda degli scafi
delle rotte millenarie
che abbracciano le rive mescolando
i cieli, contrabbandando il sale
sapere che ogni buio si risolve in luce
sa andare in niente
appena un sole nuovo sbuca
dal suo oriente

LA NESTRE CUSINE

La nestre cusine
l’aiar celest da buinore
mi strenzin a te, ancje cuant
che il mont a si slargje
si fàs imens
e restìn ognun
bessôi denant dal flum
des robis che àn pierdût il sens
ch’a no vin capît mai
il gno destin, comò lo sai
al è chi, al è cun te
ce ch’o impari
ce ch’o vuei
l’anime blonde dai toi cjavei
un arbul ch’al ven sù
sfidant content il blu dal cîl
sicu un canai, eco, provarai
a jessi cussì
un rôl, un cjastenâr
une barcje ch’a ten il mâr
e scuvierç une tiere gnove
pene plui in là di chest desideri di sei om
ch’a mi cjamine dongje vie pe gnot
cuant che i insiums a si dispierdin
a van lontan
e ai dome chescj toi flancs di mari
a cjolimi par man

[LA NOSTRA CUCINA: La nostra cucina / la brezza azzurra del mattino / mi stringono a te, anche quando / il mondo si allarga / si fa immenso / e restiamo ciascuno / soli davanti al fiume / delle cose che hanno perduto il senso / che non abbiamo capito mai / il mio destino, adesso lo so / è qui, è con te / quello che imparo / ciò che desidero / l’anima bionda dei tuoi capelli /un albero che viene su / sfidando felice il blu del cielo / come un bambino, ecco, proverò / ad essere cosi/ una quercia, un castagno / una barca che tiene il mare / e scopre una terra nuova / appena un po’ più in là di quel desiderio d’esser uomo / che mi cammina accanto durante la notte / quando i sogni si disperdono / vanno lontano / e ho solo questi tuoi fianchi di madre / a prendermi per mano]

***

14 pensieri riguardo “Gli alberi di Argan”

  1. Ringrazio Francesco per il fatto di ospitare qui traccia del libro di Maurizio, che è un libro importante e spero ottenga l’attenzione che merita. Segnalo anche che tempo fa erano già stati pubblicati nella Dimora altri brani che poi sono confluiti nella raccolta.

    Francesco t.

  2. L’ombra e la luce dei confini, dell’incrociarsi in un solo uomo di tante diverse lingue e culture: da qui l’ansia di andare oltre senza dimenticare, di parlare a tutti (anche) con la lingua, le lingue dei pochi, degli ultimi. Grazie e auguri, tantissimi.

  3. Ce tant bielis lis tôs poesiis!Chês par talian ma soredut chês in furlan, meraveose “La gjegrafie di un amôr” e tenare e comovent “La nestre cusine”! Sepimi a dî cuant che farasâs la presentazion, sâstu? Mandi poete! Giuliana

  4. Una poesia che racconta la vena più semplice, la più visibile per chi sa ascoltare la profondità della terra.

    Poesia luminosa.

    Grazie a Francesco Tomada, che conferma ogni volta il suo percorso anche attraverso le voci di autori che, come lui, amano la verità che sta nelle cose più semplici, che descrivono l’umiltà delle cose attraverso la necessaria umiltà di se stessi.

  5. Ciao Iole, ben ritrovata, è un piacere rileggerti da queste parti.

    Concedimi una piccola chiosa al tuo commento: so, e ne ho le prove, che esistono persone “umili” anche tra coloro che prediligono – perché quella è la loro “voce” – altri stili, altre scritture, altri temi, altri percorsi…

    fm

  6. Gli alberi di argan in fila camminano tenaci. Indicano resistenza e direzione. Nelle molte lingue di questa processione, nelle soste e nelle partenze, il punto di osservazione singolo diventa plurale.
    Grazie e ciao, Cristina M.

  7. Grazie di cuore a Francesco Tomada per queste sue parole che m’inaugurano un nuovo viaggio, a Francesco Marotta per l’attenzione e l’ospitalità e a tutti voi, che avete letto e commentato condividendo idee ed emozioni. Ogni ben e arbui. A prest :-) Mandi. Maurizio Mattiuzza

  8. Io arrivo sempre in ritardo. Ho scoperto Mattiuzza venti minuti fa. Da quello che leggo qui direi che è fra i migliori poeti italiani di sempre. Tale limpidezza, tale voce che gonfia le pagine io raramente l’ho trovata altrove. E forse, a mio modo di vedere, non è italiano. E questo, per la mia mente contorta, equivale a un complimento e a un abbraccio. Non è italiano perché la sua è un’altra lingua, e quindi un modo altro di vedere le cose.

    Francesco, che ha scritto una nota bellissima, ha fatto bene a concludere con quello stralcio di vera vita di una poesia, o di un poeta. Se la poesia abbia o meno una vita in mezzo agli “altri”, e cioè il 99% dei nostri vicini, non lo so. Ma sono sicuro che lo avrebbe se fosse fatta della stessa pasta di vento e terra, come quella di Mattiuzza.

    Quando mi capita di essere sfiorato da tanta bellezza, piango.

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