Prati/Pelouses – di Andrea INGLESE

Testi tratti da: Prati/Pelouses, edizione bilingue, traduzioni in francese di Magali Amougou, Éric Houser, Laurent Grisel, Roma, La Camera Verde, Collana “Felix”, 2007.

Prato n. 3 (puntasecca)

Succede prima o poi di avvicinarsi al prato. Non direttamente, come se uno ci camminasse sopra (o dentro). Ma per una mediazione, di cui è responsabile una persona. Un individuo incontrato per caso, più vecchio di te, che finisce con l’invitarti a casa sua, e non te ne parla subito, ma tu alla fine lo capisci, mentre ti rovescia un po’ di vino nel bicchiere, lui dipinge prati .E ovunque, per l’appartamento, poggiano su tavoli, comò, librerie, contro pareti e armadi, piccole tele, a volte solo carte, neppure colorate, ma solo attraversate da tratti di china. Sono prati neri, nervosi, come una tempesta di aghi, senza nient’altro che appaia, rischiari, interrompa il formicolio dei tratti. Il prato è quindi concepibile nel suo isolamento, come una cosa evidente, solitaria, apparentemente semplice, ma che può cominciare a sfuggire, a chi lo dipinga o disegni più di una volta, come angustiato, e ci ritorni poi, a completare il lavoro, o almeno così lui pensa, all’inizio, ma dopo il lavoro non si completa, si apre a un disordine ansioso, il prato rimane ancora e sempre da fare, alcuni tratti non sono mai quelli elementari, semplici, sono di nuovo forzature, testarde forzature, segnali di prato, non parti buone di prato.

Prato n. 18 (olio su tela)

Il prato non sorprende. Ma i suoi confini sono di difficile determinazione. Puoi cominciare da un’immagine. Una delle «immagini interne». Quelle che si presume tu custodisca nella testa. Un buon residuo di tanti ricordi, ad esempio, traversato da sovrapposizioni, angoli o sfondi, che appartengono invece ai sogni. (Ma forse hai solo sogni di praterie, o di sabbia, o di rocce con qualche cespuglio spinoso.) (Forse hai pochissimi ricordi, solo quelli che non hai potuto cancellare, e non sedimentano immagini di prato, ma di pavimenti: piastrelle o marmo o legno. Pavimenti con confini precisi, muri intorno e porte, solitamente chiuse.) Servirebbe un’immagine, prima che ad avvicinarlo sia la parola. Oppure una fotografia, di cui sia facile amputare la sagoma o l’ambiente umani, per conservare una striscia breve, di sola erba, di erba su erba, un cominciamento di prato. A mediare ancora un personaggio, stavolta una donna se l’altro, il precedente, era uomo. Che ti accompagna ancora a fissare la stessa stanza, tenuta contro la parete da due puntine di metallo. E’ una riproduzione dell’Annunciazione di Beato Angelico. Lei dice che non guarda mai le due figure umane, l’angelo e la vergine. Dice che non le ha ancora mai guardate, e neppure l’interno della loggia. Dice ogni volta, tenendoti per il polso, che solo l’erba le interessa, «questo lembo di prato, vedi? – ti ripete – come s’infila sotto la palizzata, quante specie di fiori ed erbe tu ci vedi?». E pretende una risposta, che tu non sai darle, che non vuoi darle, e che lei, comunque, non vorrebbe sentire. E’ del suo stupore che si tratta, non dell’enumerazione precisa ed erudita delle specie.

Prato n° 37 (acquarello su cartoncino)

Il prato è logorabile? È una concentrazione di forze. Di forze a bassissima intensità. Come una luce soffocata, tenue, diffusa. Se ci cammini accanto, il prato non impensierisce. Non lo guardi, lo hai di lato. Pensi ad altro, l’erba non fa ostacolo, l’insieme delle erbe, tutte quante, la superficie intera delle erbe, non rallenta i tuoi pensieri, non li devia, non li assorbe. Puoi pensare ad altro. Puoi non pensare. Per poco. Guardando il prato, smetti di pensare. Il prato costeggiato d’alberi, si dice. Il prato costeggiato di pioppi, no, di filari di pioppi. Come un movimento, una fila in moto, lo scorrimento degli alberi, per forza adunati lungo un asse, una serie, ossia dei simili, degli individui simili, alberi, pioppi, che scivolano lungo un lato del prato, come sospinti su di una rotaia, un solco, fino allo schianto, ma non avviene. Diversi i lati, cambiano i sensi dello scorrimento. Il prato fiancheggiato di palazzi. Il prato fiancheggiato di pecore. Il prato fiancheggiato di uomini armati. Il prato fiancheggiato di stufe nere di ghisa. L’unico luogo sgombro, vario, senza righe, rotaie, serie. Il loglio, la margherita, la sulla, l’andatura variegata, sparsa, rada, delle erbe, come a infittire vanamente su una superficie brulla, lo strato terroso di sotto, il fondo di sassi, ghiaia ed argilla. Viene un uomo, da solo, con un libro. Gira come ubriaco, guardando fisso a terra, spostando a scatti i piedi. Quando è convinto, si sdraia. Dapprima si mette in ginocchio, e poi si lascia cadere di lato e si stende sulla schiena. Aspetta solo che le formiche comincino a camminargli sul dorso delle mani, o nel collo, o sulla fronte. Allora apre il suo libro, e si mette a leggere quei racconti lenti, dove si narra sempre di uno scrittore che raggiunge una locanda in periferia, d’inverno. E quando entra, nel tepore dei locali affumicati dai sigari e dalle sigarette cattive, comincia descrivere le proprie minime sensazioni.

Prato n. 111 (Pellicola cinematografica, giornali, ciuffo d’erba)

Tutto deve scomparire e Sono morti mentre stavano pregando. La stagione non presenta colpi di scena. Rami si muovono adagio, le sedie oscillano. Una telecamera per chilometro quadrato, ma anche meno. Nonostante la generale agitazione, Pauline era calma. Le rimanevano molte occasioni di morte accidentale e violenta da vivere. Le mancavano quaranta o cinquant’anni prima di risolversi a una morte naturale. Nonostante le apparenze, Pauline desiderava guadagnare grosse somme di denaro, e non ci teneva ad avere i bambini vicini. Insopportabile Paul Newman, appare tutto il tempo con lo stesso completo grigio e Cade dal balcone con la bibbia in mano. Il marito di Pauline continuava a raccontarle di operazioni commerciali scomode, di licenziamenti da tenere segreti. I due uomini dalla testa di pesce che si presentarono alla porta, non erano catalogati come entità biologiche modificate. Nonostante le apparenze, Pauline non preferiva i quadrupedi ai volatili, e desiderava fara l’amore con persone di età diversa. (I suoi capezzoli tremano appena azionano il martello pneumatico.) Ancora piccole meduse nella vasca e Perde la testa durante la processione. Gli sconosciuti rovesciarono pollo in gelatina per la casa. Nonostante il continuo inseguimento, Pauline teneva in mente la lista della spesa. Il marito di Pauline cadde in una trappola destinata ad un meticoloso terrorista sessuale. Gli sconosciuti presero in ostaggio le cassiere del supermercato. (Le si crea un vuoto allo stomaco, quando interrompono i canti al piano di sopra.) Pauline si vide costretta a rinnegare il giorno in cui perse la verginità. Nonostante le apparenze, gli uomini dalle teste di pesce nuotavano goffamente. Alpigiano parla con accento preistorico e Annega per recuperare la catenina col crocefisso. Il marito di Pauline fu defenestrato per un’incomprensione tra i due agenti di sicurezza. Pauline si lasciò sfiorare con la lingua, ma comprò ugualmente zucchero e sale. Gli sconosciuti cominciarono a perdere aria dalle branchie. (Sente un prurito sotto le ascelle, quando la sala da pranzo prende fuoco.) Nonostante le apparenze, gli uomini dalle teste di pesce sapevano sparare a casaccio sulla folla. Pauline chiuse con gran delicatezza quel periodo ambiguo della sua vita. Andò a vomitare sul prato. (Le lacrime le scorrono sulle guance, quando l’erba rimane immobile, non agitata dal vento né da minuscoli animali.)

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Note

nel contatto sempre ripreso-lasciato che Andrea Inglese inventa tra narrazione in levare e prosa (anti)lirica, la superficie di passaggio, il punto o meglio la fascia entro cui i generi si sfiorano e si differenziano confondendosi, sembra assomigliare proprio a ciò che riempie questo libro: prati.

un’entità di transito fra terra e aria, ben piantata nel reale, grounded, e ben inafferrabile e oscillante – oltre che plurale: non stelo ma steli

e il segno del transito e del plurale non è quello dell’incertezza (lo stile si vigila troppo per permetterlo) ma semmai quello onesto della visione del bilico, del non-finito (o sfinito) umano e letterario: «il prato rimane ancora e sempre da fare». è la vi(s)ta de/signata, risignificata, messa a tremare dentro il prisma – a farsi falciare come tutto, come scrivere.

i prati qui arrivano e vanno – e talvolta appena compaiono – da/a/in costellazioni di eventi e figure che un’iperdefinizione da scena o schermo (sia Beckett o Buñuel) paradossalmente smonta. tanto il dicibile è accumulato ed elencato e insomma detto, tanto il mondo viene sottratto e polverizzato – sganciato dal già noto. come nelle migliori tradizioni (nei dif/ferenti Novarina, Tarkos, Suchère) accade: la strategia, felicissima, è: disperione per ossessione.

di qui, una riconoscibilità di “cose” e “vicende” – nel prisma. non un realismo.

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(Dalle note di copertina)

5 pensieri riguardo “Prati/Pelouses – di Andrea INGLESE”

  1. Ho perso il conto delle volte incui son ripassata a leggere. Li trovo semplicemente bellissimi. Affascinanti nella prosa “denarrata”.
    Ho provato a cercare ma non riesco a capire dove o come poter comprare il libro, mi farebbe piacere avere qualche informazione.
    grazie
    lisa

  2. Lisa, ti lascio tutti i recapiti in mio possesso, non dovrebbe essere difficile procurarsi una copia del libro (o pescare qualche altra chicca dal loro “catalogo”)

    Centro Culturale “La Camera Verde” di Giovanni Andrea Semeraro

    Via Giovanni Miani, 20, 20a, 20b 00154 Roma
    tel/fax 06-5745085
    cellulare 340-5263877

    e-mail: lacameraverde@tiscalinet.it

    sito (in ristrutturazione): http://web.tiscali.it/lacameraverde/

    Un caro saluto.

    fm

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