Bum! Morto

Stefano Maldini

Recentemente sono stati pubblicati, ed hanno ottenuto un ottimo riscontro presso il pubblico, diversi libri che trattano l’argomento dei portatori di handicap – mi ostino a non chiamarli “diversamente abili”, mi sembrerebbe sono un inutile giro di parole per rivestire una amara verità – . Al di là del loro valore, che è diverso da caso a caso, si tratta di un fenomeno positivo: piuttosto che i cento colpi di spazzola, ben vengano volumi che affrontano problematiche complesse, se possono aiutare alla formazione di una coscienza che è più corretto definire umana prima ancora che sociale o civile.
Su questo tema c’è però un libro straordinario che non è ancora stato pubblicato: si tratta di Bum! Morto di Stefano Maldini. Uso la parola straordinario non a caso, perché Maldini ha saputo raccontare cosa significhi vivere e confrontarsi con un fratello disabile con una dose di verità che è difficile trovare altrove. Bum! Morto è un libro in prosa costituito da una serie di fotogrammi che non seguono un rigoroso ordine cronologico, ma alternano quadri di vita quotidiana, referti medici, ricordi, andando così a comporre un mosaico in cui si delineano due figure: Andrea, il fratello maggiore portatore di handicap a causa di un problema cerebrale, e Stefano, il fratello minore “normale” che nella sua crescita deve fare i conti con la sua ingombrante figura. Senza falsi pietismi né commiserazione, Bum! Morto racconta in modo diretto – talvolta crudo, talvolta invece pieno di poesia – non soltanto come si vive con un portatore di handicap, ma anche (forse soprattutto) come si cresce assieme ad un portatore di handicap, con quanta difficoltà lo si accetta e si accetta se stessi, sapendo che gli spazi sono diversi da una famiglia normale, che la madre “vuole più bene a lui”, che l’affetto fraterno si nutre di un rapporto che è stato, e forse ancora è, di amore e odio insieme.
     Bum! Morto è un diario livido, pieno di coraggio e di speranza al tempo stesso. Ne proponiamo in seguito alcuni brani scelti dall’autore, sperando di poterlo presto leggere per intero. (ft)

BUM, MORTO!

     Bum, morto! Sotto il treno!
Andrea oggi è in buona, mi ha fatto morire in quattro e quattr’otto, senza inutili sofferenze. Non ha strepitato, non ha fatto i soliti melodrammi per il pubblico condominiale, non si è picchiato sul volto fino a farsi sanguinare il naso. Mi ha accolto augurandomi la morte secca, e per di più una volta sola. Il minimo sindacale, giusto per chiarire come stanno le cose. D’altronde, anch’io ho le mie colpe: sono andato a trovare lui, mio padre e mia madre senza neppure avvisare. Non ha avuto neanche il tempo di preparare una strategia efficace, di elaborare la solita difesa preventiva, volta ad evitare l’incontro col nemico. Sono riuscito a stare sulla soglia di casa quasi cinque minuti, rassicurandolo che stavo già andando via, in pratica ero già fuori dal portone. Dai, alla fine è andata bene…

IN CIELO CON LA SCALA

     Togliamoci subito il dente. Mia madre vuole più bene ad Andrea. L’ho sempre saputo e quindi ho cercato sin da piccolo di farmene una ragione. Non è il bene del cuore, per quello il cuore di ogni madre è talmente grande che può contenere il mondo. E nel cuore di mia madre io occupo uno spazio speciale, molto in alto, molto vicino a Dio. È il bene del tempo, che a differenza di quanto continuo a pensare non è elastico, ha dei limiti fisiologici. In questo senso mia madre vuole più bene ad Andrea: gli dedica più tempo perché lui ha bisogno di più tempo, ne ha avuto bisogno e sempre ne avrà.
E se un giorno scomparisse, morisse, e rimanessimo solo noi tre? Impossibile. Andrea ha già stabilito la data sul calendario: nel 2030 lui, il babbo e la mamma se ne voleranno tutti e tre insieme in cielo. Anzi, per essere precisi, ci saliranno con una scala. “E la piadina? E la pizza?” – chiede ogni volta mio fratello quasi disperato. In cielo non c’è bisogno di mangiare, continuiamo a rassicurarlo. Comunque, vivi o morti, per lui fa lo stesso: l’importante è che io sia fuori dalle scatole, che lui si possa godere in santa pace suo papà e sua mamma. E da lassù, forse, si prodigherebbe pure per assicurarmi una vita lunghissima, persino eterna! Qui sulla terra, s’intende…

11º MESE DOPO L’INTERVENTO

Metto bene in rilievo questa cosa che forse bisognerebbe osservare direttamente: l’istinto di aggredire è ancora presente ma, come per una interruzione, ha una intensità minore. Teme la nostra reazione, di essere punito e di andare in castigo. L’arma del castigo ci ha aiutato molto per fargli capire le cose che non doveva fare assolutamente; infatti attuando questo sistema Andrea aveva uno sfogo di pianto, ma un pianto di sentimento che non avevamo mai notato. Gli dispiace di fare ad esempio male al fratellino e come per scusarsi incomincia a baciarlo e ad abbracciarlo.

Ha iniziato a frequentare l’asilo. Per spiegare come si comporta in questo ambiente le riporto la frase tipica delle sue maestre: “se Andrea continua così non lo conosco più!”. Entra nell’asilo, va all’armadio, prende fogli e matite e si immerge nel disegno con molto impegno e con ottimi risultati.

DA VAN GOGH AL FUTURISMO

     Il percorso creativo di Andrea, come quello di tutti i grandi virtuosi, da Picasso a Van Gogh, al quale in alcune foto rassomiglia vagamente, può essere suddiviso in diversi periodi. Ogni stagione è caratterizzata da profonde passioni esplorative, anche se, ovviamente, alcuni grandi temi restano costanti in tutto l’arco della “carriera”. È il caso della predilezione per il soggetto dei bambini piccoli, a cui si accosta con passo felpato e con viso incuriosito ovunque essi si trovino, per strada, in spiaggia, in un parco o in un ristorante. Sono davvero per lui una fonte di ispirazione inesauribile ma, dopo averli vezzeggiati e ammirati nel loro passeggino, il suo istinto gli comanda di misurare il loro grado di realtà: con gesto fulmineo toglie infatti il ciuccio per vedere se fanno come il Cicciobello, il mitico bambolotto degli anni Ottanta che appunto cominciava a piangere appena rimaneva senza ciuccio. Nel caso in cui il bimbo rimanga silenzioso, un’espressione scioccata lo coglie come davanti a un fenomeno naturale inspiegabile, a un’opera d’arte destinata a rimanere per sempre incompiuta.
Uno dei periodi più avvincenti del suo percorso è stato senza dubbio quello, durante l’adolescenza, dei lampadari. La possibilità di offrire oscillazioni continue se opportunamente sollecitati, creando bellissime immagini in movimento, ha sempre acceso le ali della sua fantasia. Così, senza dare troppo nell’occhio, capitava sovente che si arrampicasse su qualche sedia o su qualche tavolo per raggiungere l’oggetto dei suoi desideri e imprimergli la spinta necessaria all’oscillazione, rimanendo poi con gli occhi accesi ad ammirarlo. Ma il clou era raggiunto con il lampadario della camera da letto: i salti sul materasso erano un ottimo metodo di avvicinamento e la scena di Andrea inebriato e del lampadario che volava era degna di un ritratto futurista di un Balla o di un Boccioni. Purtroppo questa fase estremamente fertile soprattutto per gli elettricisti, spesso costretti a intervenire per sistemare i danni, è stata interrotta dai miei genitori che, insensibili alle ragioni dell’arte, hanno sostituito tutti i lampadari di casa con delle plafoniere inattaccabili.
Ma Andrea è molto duttile e, sulla scia dei maestri impressionisti, ha intrapreso in seguito un’indagine su tutto ciò che riflette o rifrange la luce: quadri, specchi, finestre e soprattutto occhiali. Quando vi incontra e ne indossate un paio, la prima cosa che vi chiede è di toglierli e di ripetere il gesto una seconda volta, mentre lui sorride infervorato dal mutamento dei tratti del volto causato da quell’elemento artificiale. Vi studia come vi dovesse fare un primo piano, poi vi lascia andare attratto da qualche altro evento. Ma c’è stato un tempo in cui li afferrava velocemente e con un gesto di puro dadaismo li lanciava verso il pavimento mandandoli in frantumi. Detestava ogni vetro in cui si imbatteva: forse non amava il suo esserci e non esserci, voleva carpirne la vera natura. Sta di fatto che, per farla breve, li rompeva tutti, utilizzando in particolare un colpo secco col palmo della mano, ma riuscendo incredibilmente a non farsi neanche un graffio. Questo è il motivo per cui a casa nostra tutti i quadri appesi hanno solo le cornici e non il vetro davanti o perché tutti i componenti della famiglia portano occhiali con lenti rigorosamente infrangibili: le spese affrontate per ovviare ai danni perpetrati – spesso anche a sconosciuti che avevano avuto il solo torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento dell’ispirazione – erano davvero diventate troppe!
Bisogna scusarlo, però. La ricerca di ogni artista, in fondo, è mossa sempre da ossessioni molto personali. Mai parola è stata forse più azzeccata di questa…

17º MESE DOPO L’INTERVENTO

In questo periodo Andrea è riuscito ad acquisire un notevole senso dell’equilibrio, riuscendo ad imparare ad andare in bicicletta senza le rotelline aggiuntive.
Ci siamo commossi moltissimo come pure tutti i nostri conoscenti, segno evidente che Andrea continua a migliorare, salvo la parentesi della pertosse, in ogni campo.

Il comportamento di Andrea si è stabilizzato; è calmo, riflessivo, discorre con logica e articola bene le frasi e le richieste.

SENZA PAROLE

     Ogitsac ni omaittem it ovittac li iaf es! Ogitsac ni omaittem it ovittac li iaf es! Ci sono voluti anni per decifrare le parole sconclusionate che Andrea ululava ai quattro venti nei momenti di angoscia o di rabbia, percuotendosi con le mani il viso e il naso, spesso in ambienti pubblici, lasciandoci nel panico e incapaci di interloquire con lui. Dottori, amici, logopedisti non riuscivano a risolvere l’enigma. Finché un giorno Elisa, la sua adorata insegnante di sostegno alle scuole elementari, improvvisamente capì, lasciandoci tutti letteralmente senza parole: Andrea continuava a ripetere le frasi che non accettava, solo che non lo faceva nell’ordine consueto, ma dalla fine all’inizio! Comportati bene se vuoi fare una gita! oppure Il babbo e la mamma non sono contenti che urli sempre! diventavano in un battibaleno Atig anu eraf iouv es eneb itatropmoc! Erpmes ilru ehc itnetnoc onos non ammam al e obbab li! Tornava indietro per cancellarle, ributtarle in quelle boccacce malefiche che avevano osato pronunciarle: come uno sciamano balzato fuori da un universo arcaico, pronunciava semplicemente il suo incantesimo al contrario.
La scoperta fu al centro degli interessi di tutti quei medici, amici, logopedisti che prima non cavavano un ragno dal buco confinando il comportamento di Andrea alla categoria della stramberia e adesso, invece, iniziavano tra sorriseti ammiccanti a scorgere in lui indiscutibili virtù creative… In effetti non si può dire che Andrea al riguardo manchi di fantasia. Oggi, la sua evoluzione lo ha persino condotto a differenziare le tecniche e ad avvalersi di fidi aiutanti, mio padre e mia madre in primis, ma anche chi, malauguratamente, osi pronunciare una qualche parola fuori posto. Sono loro oggi, e non lui, a dover effettuare l’operazione di inversione: torna indietro, torna indietro, ulula allarmato… E i sacerdoti del rito devono ripetere a rovescio la frase per più volte, così che Andrea sia sicuro che, tornando da dove sono venute, quelle parole siano davvero scomparse dalla faccia della terra. A volte, di fronte a catene sillabiche lunghe e complesse, costringe i suoi interlocutori a scrivere le parole su un foglio di carta, così da non rischiare di ascoltare banali errori di costruzione che scatenerebbero ulteriormente le sue ire.
Se questa tecnica agisce a livello fonico, un’altra variante del rito invece colpisce visivamente il nemico: è la cancellazione attraverso la distruzione fisica. Una volta udito l’impronunciabile, Andrea esige che gli vengano portati due fogli bianchi e una penna, con cui lui trascrive per innumerevoli volte la frase sul fronte e sul retro, senza spaziature e senza punteggiatura, in un continuum di vaga ascendenza medievale. Poi consegna i fogli in sacrificio a mio padre, che li deve leggere dall’inizio alla fine, così che la magia si compia, e che poi li deve frammentare in tanti pezzetti di piccole dimensioni. I pezzetti vengono poi riconsegnati al sacerdote supremo, il quale conclude la sacra cerimonia gettando i frammenti nel bidone dell’immondizia.
Andrea, lo avrete capito, ha compreso nel profondo il valore magico della lingua: come ogni vero sciamano, insomma, sa che le parole non sono solo meri strumenti, ma veri e propri fatti che accadono e generano vita. A volte, mentre si afferra da solo le dita, lo si può scorgere assorto in misteriosi calcoli e considerazioni, da cui esce intonando una litania di date – i compleanni di tutti i suoi conoscenti – o annunciando in una formula alquanto originale il numero delle lettere che compongono una determinata parola, che viene poi collegata con uno strano salto metaforico a un’altra di medesima lunghezza: gamba cinque lettere come vetro…
Se però restasse ancora qualche dubbio riguardo i suoi evidenti poteri misterici, basterebbe rivolgersi a quei vicini di ombrellone che, vedendolo triste e accigliato per il tempo uggioso e le gocce che cominciavano a turbare la giornata di mare, un giorno per distrarlo lo hanno scherzosamente invitato a chiamare il sole. Sole, sole, torna da noi! si è messo a intonare Andrea rivolto verso il cielo. E in men che non si dica, l’odiata pioggia è scomparsa e il sole è ritornato a fare capolino sullo zenith. I vicini di ombrellone sono ancora lì a guardarsi l’un con l’altro negli occhi, intimiditi e confusi…

VISIONI

     Ci sono dolori che uno vorrebbe togliere dalle spalle di un altro e portarli con sé, risparmiandoli a chi si ama. Se mia madre ha avuto il merito di proteggere Andrea dai mille soprusi che senza di lei avrebbe ricevuto, è stato senza dubbio il demone della ricerca di nuovi scenari quello che ha guidato l’anima di mio padre, anche a costo di assumersi rischi rilevanti. Un atteggiamento dettato in parte dall’esasperazione, ma in parte anche da una fiducia misteriosa in un futuro migliore.

In questo periodo avevamo dei dubbi circa la vista e siamo andati da un oculista il quale ha diagnosticato “la vista monoculare” senza però precludere che possa imparare a leggere e a scrivere, mentre avrà difficoltà a guidare l’auto.

     Non ho mai provato tanta tenerezza per mio padre come quando ho letto queste sue righe. Andrea era piccolo, aveva 9 anni, e ancora i pensieri di mio padre erano aperti a molte ipotesi positive, che cominciavano a incrinarsi. Andrea l’ho visto leggere e scrivere tanto nella sua vita, ma che ci fosse una sola possibilità che un giorno guidasse, io non l’ho pensato mai. È molto duro dirlo, ma forse non c’era bisogno di un oculista per saperlo. Oppure, ma è lo stesso, ed è più dolce dirlo, mio padre guardava Andrea con altri occhi, che solo chi ama conosce.

ODI ET AMO

     Quando mi fermo un attimo e penso a chi sarei io senza Andrea, sono ancora assalito da sentimenti pieni di conflitti. Ho sempre cercato di immaginarmi senza di lui, e ho quindi costruito degli immensi scenari in cui ci fosse abbastanza spazio anche per me. Ma lui si è infilato nelle profondità dei miei pensieri, tenendomi legato con un filo sottile alla mia casa anche quando cercavo un’altra vita nei silenzi della Siberia o nella notte luminosa di capo Nord.
Allora ho cambiato strategia: ho provato a fermarmi e a guardarlo da tutti gli angoli, poi con gli occhi di tutti, infine ho provato a guardare il mondo coi suoi occhi. Ne è nato questo libro, e mentre lo scrivevo pensavo che a seconda dei momenti della mia vita io Andrea a volte l’avrei ammazzato o almeno tenuto nascosto, altre volte l’avrei protetto da chiunque o avrei fatto qualsiasi guerra per lui.
Ultimamente, invece, mi capita spesso di andarlo a trovare, poi di sedermi sul divano accanto a lui. E succede così, mentre scorrono i ricordi della nostra famiglia, che cominciano a diffondersi nell’aria, accanto ai silenzi e ai pensieri di ieri, anche gli echi nuovi e leggeri di qualche allegra e sonora risata.

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Stefano Maldini – Bum! Morto (2013)

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10 pensieri riguardo “Bum! Morto”

  1. “Se non considero mia madre e mio padre, tu solo mi guardi senza un briciolo di pietà”.
    Non ricevetti mai un grazie simile a questo. Ed era quasi una dichiarazione d’amore.

    Un inchino a Stefano Maldini.

  2. Qualche piccola riserva, qua e là, per una scrittura potente, libera e attenta, ma ancora potenzialmente tutta da scoprire.
    Per il resto, un grazie per la preziosa condivisione.

  3. Una lettura che mi ha commossa profondamente proprio per la mancanza di commiserazione e pietismo.
    Complimenti a Stefano Maldini per il sentimento vero che traspare dalle sue parole.

  4. Un libro bellissimo, dove misura e ironia si accompagnano al dolore, senza inutili commiserazioni. Un libro a cui, come Gianni, auguro la pubblicazione con tutto il cuore.
    M

  5. La poesia è più nobile. Il dubbio di aver compreso bene ciò che intendi trasmettere con quelle poche, scarne parole riempie di meraviglia ma può lasciare il lettore ad una certa distanza: ammirato, ma in disparte (“io, fin lì, non ci arrivo”). Qui sei estremamente diretto, chi ti legge sente tutto, gode e soffre con te e conosce Andrea, lo vede, in virtù del tuo bellissimo ritratto. Grazie per tutto ciò che condividi con chi ti legge.
    Stefano

  6. Non riesco a trovare le parole, scrivo e cancello ….. hai esattamente fatto il punto della situazione, hai centrato il problema.. e’ per cio’ che hai magistralmente descritto nel tuo libro, che io voglio fortemente portare avanti il mio progetto ambizioso su “Dare Voce ai Fratelli” – Mi scoppia il cuore per l’emozione provata, in quanto attraverso i tuoi occhi, io ho “rivisto” frammenti della mia vita difficile di madre di due figli, entrambi bisognosi di attenzioni e affetto.

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