Trattative (∆ιαπραγματευσεις): Spyros L. Vrettos e la memoria del suono

Ringraziamo di cuore Chiara Catapano per questo contributo che ha voluto donare alla Dimora. E’ uno scritto di altissima qualità; per la scrittura in sé, per l’autore di cui tratta e per le traduzioni. Poter pubblicare cose di questo livello, colme di tanta “semplice” partecipazione per questa cosa che chiamiamo poesia, è un’emozione.

Il libro “Trattative / Διαπραγματεύσεις“, di Spyros Vrettòs, tradotto e curato da Chiara Catapano, pubblicato da Puntoacapo, ha da poco ricevuto il “premio della critica” al premio San Domenichino.


Quando leggiamo poesia non abbiamo dubbi che quel che stiamo leggendo sia poesia. Non esistono formule logico-matematiche, non c’è computer che ci possa regalare risposte: ci affidiamo a qualcosa di più grande di noi, che potremmo far coincidere con un’intuizione. Perché la poesia abita chi vuole, non scegliamo noi di essere poeti. Come non scegliamo il colore dei nostri occhi, l’altezza, la costellazione di nei sulla nostra pelle.

Essere poeta non è nulla di speciale. Sta nell’ordine delle cose, ed è la cosa più distante dall’uomo e la più vicina alla natura. Gli antichi lo sapevano, o meglio, lo vivevano. Elytis lo ha espresso benissimo, dicendo che sulla loro pelle (degli antichi, e dei poeti antichi in particolare) non c’erano rughe. Ed è così che Saffo ha scritto uno dei versi eterni, senza rughe:

il prato delle cavalle è in fiore

Poi ci siamo allontanati dal prato e dalle cavalle, ma era così che doveva andare, evidentemente.

Allora oggi salutiamo con riconoscenza il poeta, se abbiamo la sensibilità di riconoscerlo nella folla degli scrivani, per quel suo risalire il tempo (che non esiste), bucare ogni relatività, e intessere un legame con qualcosa di cui abbiamo perso memoria. Possiamo allora ricordarci di aver dimenticato, e per ora è questo che ci permette ancora di riconoscerci umani, che significa riconoscerci esseri naturali.

Quando Spyros Vrettos mi recapitò alcuni suoi libri, non ebbi alcun dubbio che ciò che stavo leggendo fosse poesia. Esiste, nel testo che tende al poetico, una sorta di pellicola trasparente, un distanziatore che non ci consente di toccare la verità della (nostra) vita. Ma la poesia (che si badi bene, non è fatta esclusivamente con e attraverso la parola) buca quella pellicola e ci fa sanguinare. Ci riporta alla sostanza: ci brucia, come da bambini il ginocchio sbucciato giocando a pallone.
Fu, ricevere i suoi versi, un tutt’uno con quella meraviglia che personalmente mi invade ogni volta che sento pulsare la vita in un verso. Meraviglia sempre uguale e sempre nuova (come il bacio, per citare ancora una volta Elytis). Tanto più, per questo mio tradurre che amo e ancora amo, quando si tratta di poesia.

È uscita a gennaio di quest’anno in Italia l’ultima raccolta di Vrettòs, “Trattative” per Puntoacapo edizioni. Nella nota alla traduzione, scrivo:

“Le poesie di Vrettòs sono ciottoli antichi, memoria resa liscia dal tempo. E torna a me un pensiero intorno alla ricerca estenuata della poesia degli ultimi decenni, quel bisogno di dire con originalità: la lingua greca, e i custodi della sua memoria, i poeti, ci insegnano ancora e ancora che originale significa tornare all’origine, saperci donare il mondo come terra appena bagnata dalla pioggia di primavera.”

E ancora, scrissi della sua poesia:

“Quando Spyros L. Vrettòs mi recapitò i suoi libri, in pochi minuti mi ci ritrovai immersa. Trovai qui una casa, trovai un paesaggio. È questo un dato forse molto personale, perché la vena d’oro della sua percezione nel sentire i sensi, nel portarli altrove, nel riversarli sulla pagina battezzati di luce nuova, è ciò che più cerco in poesia. Mi stupii che questo incontro non fosse avvenuto prima. E sempre con stupore, pagina dopo pagina, emergevano immagini legate alla sua poesia da un’invisibilità palpabile di migliaia d’anni. Sentii risuonare i passi del Coro dell’Antigone di Sofocle, accolsi come rinnovate le parole della Sentinella, nel prologo dell’Agamennone di Eschilo: l’alto canto e il più umano canto. Il silenzio del tragico, di contro allo strepito con cui oggi tendiamo a urlare quanto non siamo più capaci di comprendere. Le parole del pensiero e del sentire. Le parole di tutti, che in pochi san pronunciare.”

Trovai casa, trovai un paesaggio. E trovai molti spazi, in controcanto al pieno che riempie ogni momento nelle nostre vite: un pieno fatto di rumore e voci che non possono dire. Che si interpongono tra noi e il paesaggio, tra noi e la vita. Così Vrettòs si fa strada attraverso il tempo, e grazie alla lingua in cui scrive, i tempi diventano un solo tempo che s’arrotola e srotola, diviene un tutto che accade, contemporaneamente. Perché il greco conserva questa qualità, negata alle lingue che si sono trasformate, che sono diventate nel tempo altre lingue.
Nelle raccolte precedenti, Vrettòs ha dato voce alle figure del mito, le ha fatte scivolare sulla superficie del tempo, le ha sovrapposte ad altre, partecipi del nostro quotidiano. Ed è riuscito ad avvicinare ciò che chiamiamo passato con il nostro presente. Ha cantato il presente con la voce gorgogliante fresca dell’origine.

In questa sua ultima raccolta, di quel rithmòs antico palpita l’eco del suono, la memoria del suono dentro il segno della parola. Così sublimato vive il mito, come racconto dell’uomo e della memoria, senz’altro riferimento se non il suono e il segno, riverbero costante, superficie liquida increspata da un soffio appena. Qui ancora la storia piccola si mescola, emerge e viene riassorbita dalla Storia grande, ma lo fa attraverso protagonisti eterni del nostro presente: un uomo e una donna, il loro rapporto, un “fatto” accaduto ma mai definito, una guerra, e le trattative per la svendita di un paese (quando stava scrivendo e sviluppando la raccolta, la Grecia viveva i neri momenti delle trattative e dei memorandum, le umiliazioni dei suoi politici davanti all’Europa e del suo popolo davanti alla classe politica che guidava il paese).

In ogni epoca ci sono stati cantori del proprio tempo. Non è facile riuscire a dire il presente restando ancorati alla radice della vita. Significa per noi poter leggere, oggi, un qualsiasi poeta del passato e riconoscere nell’ordine che lui dà alle cose, secondo la lettura che la sua epoca fa del mondo, l’universale che tutto ciò contiene.

Quando un verso è qui, accanto a noi, abita nelle nostre stanze, si illumina quando accendiamo la luce, e allo stesso tempo ci sussurra che qualcosa abbiamo dimenticato, che qualcosa dobbiamo ricercare – in un nuvola, nel vibrare verde del vento tra i rami, nel profilo di un animale – allora torniamo a casa.

Chiara Catapano


Trattative per il prestito di un paese

I
(il rappresentante dei creditori)

Pian pianino dunque e con la serietà che bisogna.
Senza fretta escono le nostre parole
soffrano infine di molto equilibrio e studio.
Non si vedrà la sconfitta di nessuno.
Non si vedrà che qualcuno ha perso dalle trattative.

Tuttavia – a pensarla meglio –
pensateci a noi i potenti.
Non deve apparire che in nessun modo siamo arretrati.
Sia allora vostra una sconfitta.
Una sconfitta della parte debole,
ma non così lontano da un buon
un certo buon compromesso,
è ben tollerata dal mercato,
il denaro schizzerà alle stelle.

Poiché le nostre parole bisognerà che le consegniamo dopo,
noi vendiamole ai mercati e ai popoli,
voi incidetele profondamente in bocca, mentre le dite,
sia vostra la sconfitta, allora.
Sempre in bocca una sconfitta meglio si registra.
Siate voi gli esistenzialisti
– il più valido per voi documento –
e rimaniamo noi semplicemente i forti
– è questa la nostra ritirata.

E per quanto riguarda la “crisi umanitaria”
– ciò che volete entri a tutti i costi dentro il testo –
preferiamo in sua vece le parole “parte del popolo”.
Perché anche noi in un modo o nell’altro ricordiamo il senso.

Διαπραγματεύσεις για το Δάνειο μιας χώρας

Ι
(ο εκπρόσωπος των δανειστών)

Σιγά σιγά λοιπόν και µε τη σοβαρότητα που πρέπει.
Χωρίς βιασύνη οι λέξεις µας να βγουν
κι ας πάσχουν τελικά από πολλή ισορροπία και µελέτη.
∆εν θα φανεί η ήττα κανενός.
∆εν θα φανεί πως κάποιος έχασε απ’ τις διαπραγµατεύσεις.

Όµως – καθώς το σκέφτοµαι καλύτερα –
σκεφτείτε µας κι εµάς τους δυνατούς.
∆εν πρέπει να φανεί πως οπισθοχωρήσαµε καθόλου.
Ας είναι λοιπόν δική σας µια ήττα.
Μια ήττα της αδύναµης πλευράς,
αλλ’ όχι και τόσο µακριά από έναν καλό,
κάπως καλό συµβιβασµό,
είναι καλοδεχούµενη στις αγορές,
τα χρήµατα πετάγονται στα ύψη.

Αφού τις λέξεις µας θα πρέπει να τις δώσουµε µετά,
εµείς να τις πουλήσουµε στις αγορές και στους λαούς,
εσείς να τις χαράξετε βαθιά στο σώµα, καθώς λέτε,
έστω µια ήττα σας λοιπόν.
Πάντα µια ήττα εγγράφεται καλύτερα στο σώµα.
Ας είστε εσείς οι υπαρξιακοί
– το πλέον ισχυρό για σας χαρτί –
κι ας µείνουµε εµείς απλώς οι δυνατοί
– είναι η δική µας υποχώρηση αυτή.

Κι όσο για «κρίση ανθρωπιστική»
– αυτό που θέλετε οπωσδήποτε στο κείμενο να μπει –
αντί γι’ αυτό προτείνουµε τις λέξεις «µέρος του λαού».
Γιατί κι εµείς κάπως θυµόµαστε την έννοια.

*

Dialogo

Perché mi ha mandato a trovarti? le dice.
Perché non sapevo se esisto, gli risponde.

Queste le loro parole
quella mattina.
Fino a quell’attimo
lui si rigirava sudato
come acqua e senza carne.
Gli era sfuggito tutto
gli era caduto per strada cercando,
e neppure per un momento domandò
– a se stesso cioè –
perché andarla a cercare
visto che lei era lì,
lei glielo aveva ordinato,
“forza” disse “trovami,
cerca bene nei luoghi
trascorsi come anni”.

E lui perché mettersi a cercarla
poiché sapeva che non esisteva;
non lei
ma lui.

Διάλογος

Γιατί µε έστειλες να σε βρω; της λέει.
Γιατί δεν ήξερα εάν υπάρχω, του απαντάει.

Αυτά ήταν τα λόγια τους
εκείνο το πρωί.
Μέχρι εκείνη τη στιγµή
αυτός γυρνούσε ιδρωµένος
σαν νερό και δίχως σάρκα.
Όλα τού φεύγανε
τού πέφτανε στους δρόµους ψάχνοντας,
κι ούτε στιγµή δεν ρώτησε
– τον εαυτό του δηλαδή –
γιατί να ψάχνει να την βρει
αφού αυτή εκεί βρισκόταν,
αυτή του έδωσε την εντολή,
«άντε» του είπε «να µε βρεις,
ψάξε καλά στα µέρη π
ου περάσανε σαν χρόνια.»

Κι αυτός γιατί να ψάχνει να την βρει
αφού το ήξερε πως δεν υπήρχε΄
όχι αυτή
αλλά αυτός.

*

Lo scultore e la sua pietra

La luce come foglie cade su di lui
e lo ridesta.
Lo sveglia la luce, lo svegliano le foglie.
Si sveglia, e come marchio cade la luce sopra la pietra.
Ombre che di fianco s’allungano
accentuano la pietra scolpita
e l’ostinata formica rivelano
quando anche lei si desta dalla sua crepa,
tutto in luce,
con un’ombra come di dieci corpi.

Ed ecco, il falco ghermisce il passero
sulla spina più alta della ginestra.
A cinque metri da lui.

Ed ecco, la scintilla della pietra
dal colpo del martello.
A mezzo centimetro dall’occhio
la pietra si spacca.

Colpisce dolcemente la pietra
come a volerla lusingare.
Colpisce con forza la pietra
perché da lì uscirà ciò ch’è nascosto.
Colpisce più in là di dove avrebbe voluto
per evitare la formica.
Un po’ sghembo verrà fuori il naso
un po’ storta la bocca
un po’ singolare la parola
parlata dalla statua.

Ed ecco, il falco di nuovo s’avventa
per prendergli la pietra.

Ed ecco, lui trattiene a sé la pietra.
La sgrossa.
La brucia con la scintilla.
“Col fuoco imbeccherà il falco i suoi piccoli?”

S’avvicina di nuovo al muro a secco.
Mille forme di pietre scolpite.
Quale scegliere per il sacrificio?

Ο γλύπτης και η πέτρα του

Το φως σαν φύλλα πέφτει επάνω του
και τον εγείρει.
Ξυπνά από φως, ξυπνά από φύλλα.
Ξυπνά κι είναι σαν στίγµατα το φως πάνω στην πέτρα.
Σκιές που µεγαλώνουν πλάγια
τονίζουν την πέτρα τη γλυπτή
και το επίµονο µυρµήγκι φανερώνουν
καθώς από την τρύπα του εγείρεται κι αυτό,
όλο στο φως,
µε µια σκιά σαν δέκα σώµατα.

Και να, το γεράκι γραπώνει το σπουργίτι
στο ψηλότερο αγκάθι του ασπάλαθου.
Στα πέντε µέτρα από αυτόν.

Και να, ο σπινθήρας της πέτρας
απ’ του σφυριού του το χτύπηµα.
Στο µισό εκατοστό από το µάτι του
η πέτρα που σπάει.

Χτυπάει την πέτρα απαλά
ότι την καλοπιάνει.
Χτυπάει την πέτρα σκληρά
ότι από εκεί θα βγει το κρυµµένο.
Χτυπάει πιο κει απ’ όπου ήθελε
για να αποφύγει το µυρµήγκι.
Λίγο λοξή λοιπόν θα βγει η µύτη
λίγο λοξό το στόµα
λίγο αλλιώτικος ο λόγος
που το γλυπτό θα µιλήσει.

Και να, το γεράκι και πάλι ορµά
για να του πάρει την πέτρα.

Και να, αυτός κρατάει την πέτρα του.
Την πελεκά.
Με τον σπινθήρα την καίει.
«Φωτιά θα ταΐσει το γεράκι τα παιδιά του;»

Πηγαίνει πάλι στην ξερολιθιά.
Χίλιες γλυπτές πέτρες µορφές.
Ποια να διαλέξει για θυσία;

*

L’essere umano è donna

Il paesaggio ove incedi diviene alle volte un essere umano che ti guarda. L’essere umano è una donna. Comprendi a fondo tutta la catena montuosa. Appuri che montagna non esiste e la donna è la catena montuosa. Lei è l’intero paesaggio. Dinnanzi a lei, lì dove normalmente dovresti esserci tu, nulla sussiste. E allora chi è colei che ha ingoiato il paesaggio e chi sei tu che hai immaginato la donna nell’irreale profondità? Ripieghi in mezzo al nulla. Ti giri e guardi indietro, lì ov’è il grande specchio. Quello da cui sei uscito. Nello specchio vedi la donna e non dubiti della sua realtà.

Perché m’hai spedito a cercarti? le dici.
Perché non so se esisto, ti risponde.
Allora sei certo che lo specchio si trovi dall’altra parte.

Ο άνθρωπος είναι γυναίκα

Γίνεται καµιά φορά το τοπίο όπου προχωράς άνθρωπος που σε κοιτά. Ο άνθρωπος είναι γυναίκα. Καταλαµβάνει όλη την οροσειρά στο βάθος. ∆ιαπιστώνεις πως βουνό δεν υπάρχει και η γυναίκα είναι η οροσειρά. Αυτή είναι το τοπίο ολόκληρο. Μπροστά της, εκεί που κανονικά θα έπρεπε να είσαι εσύ, τίποτα δεν υπάρχει. Και τότε ποια είναι αυτή που κατάπιε το τοπίο και ποιος είσαι εσύ που φαντάστηκες τη γυναίκα στο ανύπαρκτο βάθος; Οπισθοχωρείς µέσα στο τίποτα. Γυρίζεις και κοιτάς προς τα πίσω, εκεί όπου είναι ο µεγάλος καθρέφτης. Αυτός απ’ τον οποίο βγήκες. Στον καθρέφτη βλέπεις τη γυναίκα και δεν αµφιβάλλεις για την αλήθεια της.

Γιατί µε έστειλες να σε βρω; της λες.
Γιατί δεν ξέρω εάν υπάρχω, σου απαντάει.
Τότε βεβαιώνεσαι πως ο καθρέφτης είναι από την άλλη µεριά.


Spyros L. Vrettòs (Lefkada 1960) ha studiato legge ad Atene. Vive e lavora come avvocato a Patrasso. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, un’antologia, tre saggi e un libro di racconti. Le prime cinque raccolte sono state tradotte in inglese da Philip Ramp (Collected Poems, Shoestring Press, 2000). In Italia è comparsa un’antologia con traduzione di Massimo Cazzulo (Il postscriptum della storia, Atelier, 2005). Le sue poesie sono tradotte in molte lingue. Dal capitolo “Medea” della raccolta Accade è stato realizzato il lavoro teatrale Medea di Màros Galani. Dal libro di racconti “Ένας αόριστος άνθρωπος” (Un uomo qualunque, Gavriilidis, 2016) è nato uno spettacolo teatrale, per la regia di Artèmidos Grybla (Θέατρο act 2018). È membro della Società degli Scrittori e del Circolo dei Poeti.

Chiara Catapano nasce a Trieste nel 1975. “L’aria natia tormentosa” ne influenzò di certo carattere e scelte: il sapore inizi ‘900 della città, il cui orologio s’era fermato e che pareva una parentesi tra Balcani ed Europa, le ha dato la possibilità di crescere sentendo parlare per le strade e nelle botteghe tedesco, croato, serbo, greco. Dopo il Liceo studia Filologia Bizantina e Neo greco presso l’Ateneo tergestino, con intermezzo di un anno trascorso ad Atene per la preparazione della tesi di laurea. Traduttrice e poetessa, ha pubblicato due raccolte poetiche (Thauma ed.). Suoi articoli, racconti e poesie sono comparsi in riviste italiane ed internazionali e tradotti in diverse lingue. Ha organizzato assieme ad prof. Andrea Aveto dell’Università di Genova la riedizione dei “Discorsi militari” di Giovanni Boine, curando in particolare l’antologizzazione dell’epistolario boiniano e la ricerca nelle emeroteche di Bologna e Roma. Il volume è stato pubblicato dalla Fondazione del Museo Storico del Trentino. Collabora in modo continuativo con la rivista internazionale “Traduzionetradizione” – http://www.traduzionetradizione.com/, con la rivista Poetarum Silva – https://poetarumsilva.com/, con l’Università di Atene, con diversi poeti greci di cui cura l’opera in maniera continuativa o sporadica: Ioulita Iliopoulou, Athinà Papadaki, Spyros L. Vrettòs, Liana Sakelliou, Christos Toumanidis, Sotirios Pastakas, e altri. In Italia collabora con Paola Minucci, Letizia Leone, Franca Mancinelli e altri. Studia presso la scuola di “Animologia Immaginale” di Trieste. È giurato e traduttrice per il Festival e Concorso Internazionale del Castello di Duino. Ama tradurre. Ama il greco. E forse questo è ciò che conta, nella sua biografia.

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