La corsa dei fuochi – di Ida TRAVI

“Lo sguardo della donna di terracotta
che compare in copertina
è lo sguardo di chi guarda il mondo
nella memoria d’un canto.”

Da: Ida Travi, La corsa dei fuochi – Poesie per la musica, Bergamo, Moretti & Vitali, 2007.
(Il libro contiene Cd audio con tre poesie cantate. Musica di Andrea Mannucci. Voce cantante Patrizia Simone.)

«Si tratta di dare alle parole,
più o meno, l’importanza che hanno nei sogni.
»
Antonin Artaud
(Il teatro e il suo doppio)

«… rimedio nell’attesa: trattare gli uomini come uno spettacolo.»
Simone Weil
(Quaderni, Volume primo)

La corsa dei fuochi
(Estratto dalla nota dell’autrice)

Il titolo rimanda alla scena d’apertura dell’Orestea di Eschilo: è notte.
Sullo sfondo campeggia la facciata della reggia di Agamennone con la sua grande porta scura; da un lato c’è una porta più piccola che conduce al gineceo, dall’altro un’altra porta immette nelle stanze degli ospiti. In alto, sulla parte più alta della reggia, c’è una sentinella accovacciata, con il viso rivolto a oriente… Lassù, accucciata come un cane, la sentinella è stanca e ci sta dicendo che di notte ha solo il canto come rimedio contro il sonno… Poi si alza di scatto e salta di gioia. Ha finalmente scorto i fuochi che uno dopo l’altro si accendono sui monti per annunciare che Troia è caduta, e deve darne notizia alla regina: evviva!

Ma subito, alla luce di quei fuochi, la sentinella si pente di quel che ha detto, e aggiunge che di solito canta, sì, ma che ora si deve zittire perché ha «un bove sulla lingua».
Niente altro vuole dire, anzi, chiude il discorso con una frase misteriosa ed entra nella reggia fatale: «A chi sa io parlo volentieri, a chi non sa io taccio».

Quando, ancora bambina, accucciata in un angolo della casa lessi l’Orestea, rimasi a bocca aperta, e anch’io mi alzai di scatto dicendo a me stessa: parla, sì, ma con chi? È lì, da sola. in una tragedia… Compresi dunque cos’è il teatro.
«… a chi sa io parlo volentieri, a chi non sa io taccio». Su quel parlare e su quel tacere corsi a scrivere la prima poesia, ma adesso so che voleva essere un canto.

La corsa dei fuochi comprende poesie scritte nella nostalgia d’un canto, forse d’un canto mancato. Sono mosse da un dire senza recita, (1) da un parlare e da un tacere che ha sede nel buio d’un luogo interiore.

Là sotto, nasce la poesia. In quel luogo interiore, gli esseri umani si muovono come nel sonno di una sentinella. O di un bambino. Sentinella e bambino parlano da soli, vanno trasognati e hanno gli occhi puntati nel fondo della notte. Eppure sono al centro di una realtà.

Cosa c’è nella visione d’una realtà? C’è una tazza, una culla, ci sono uccelli in volo, un albero, un fiume, un padrone, un martello. Un vecchio, un padre, una madre. Ci sono i resti d’una civiltà Si vedono i fuochi in corsa.
Chi li riaccende continuamente?
È come se noi che guardiamo, qui e ora, nel tempo cosmico e per un soffio, fossimo ancora noi “gli antichi”. (2)

[(1) Sul rapporto di Ida Travi con l’antichità cfr. Diotima e la suonatrice di flauto, atto tragico, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004.
(2) Cfr. Ida Travi, L’aspetto orale della poesia, Anterem Edizioni, Verona, 2000]

Testi

(sali sulla piccola altura)

Sali sulla piccola altura, e dimmi chi vedi salire.

Vedo un cuore strisciare sui gomiti, per terra.
Ci sono tre stanze, intorno a un cortile di pietra.

Ma dimmi chi vedi salire.

Vedo il contadino che esce dal suo secolo
e piano fa ruotare il suo mantello,
porta il lume.

Tu fingi di guardare e io ci credo,
voi del mondo siete tutti pazzi, voi del sogno
fate sempre così.

*

(campana, ascoltami)

Campana, ascoltami, i popoli di sotto vogliono venire su da te,
chiedono di entrare in casa tua

Io non parlo per me, parlo per loro

Loro hanno un messaggio per i morti. E vogliono portarlo
su alla torre. Campana dei morti, campana dei fratelli, rispondete
i popoli di sotto sono tutti esangui

Io non parlo per me, parlo per loro

Campana dei morti, campana dei cugini rispondete!

Come canta, come canta la voce nella sera, la donna è in mezzo
al campo, e chiama, chiama.

*

(la corsa dei fuochi)

La corsa dei fuochi muove la polvere a ruota

Chi ti ha medicato le ferite?

È il martello del giudice

È il martello del giudice che batte nella notte

Stanno lì – fermi – a discutere

Nella casa il bambino aspetta, aspetta.

*

(il padre fiume)

Il padre fiume non tornerà mai più alla cima del letto
d’una volta, il padre fiume non tornerà mai più
alle porte dell’inizio

Non imprecare al cielo se il fiume ti ha lasciato

Il padre va dicendo: la legge martella sull’acqua,
la legge martella sull’acqua ogni volta che può
e il fiume è il cimitero, il fiume è il cimitero
dei pesci d’acqua dolce.

*

(vengono a mangiare)

Vengono a mangiare con la benda nera,
dicono – buono – dicono – cattivo –

I calchi imperatori spalancano la bocca, guai
se portassero la spada

Lei è la padrona della casa

La casa è una reggia governata, chiusa
La casa è una casa chiusa.

*

(salta all’occhio)

Guarda, salta all’occhio uno schizzo di sangue
tu non puoi lasciare bianco il mondo

Tieni in mano un martello trasparente

Abbassa quel martello trasparente

Tu sei soltanto un fiume senza cuore,
sei solo un corso d’acqua, senza il cuore.

*

(il sangue azzurro)

Il sangue azzurro della foglia caduta rende la terra umana
Il sangue rosso della fragola in bocca rende la bocca umana

L’albero dice: vivo fin qui

Quelli lasciati soli davanti al ramo rialzano la testa
spalancano le braccia in croce

C’è un’aria mattutina nella notte, un’aria
che sorpassa il nostro calcolo.

*

(il bambino piange nella culla)

Il bambino piange nella culla, ha un sasso in pugno
per questo ha una ferita nella mano. Io lo vedo e lui lo sa
com’è sporca l’acqua nel bicchiere
com’è dura la neve sulla porta

Il bello mi fa orrore, il brutto mi spaventa

La tempia è il martelletto delle ore
il freddo martelletto delle ore:
porta il bambino al collo, quando te ne vai
tienigli su la testa fino al ramo.

[I testi, poi confluiti nel volume La corsa dei fuochi, sono apparsi originariamente in Anterem n° 64, giugno 2002 e n°67, dicembre 2003.]

*

Da: L’ARENA, 2 marzo 2008 /Spettacoli

LA CORSA DEI FUOCHIopera senza cornice
poesia e regia: Ida Travi

voce e azione scenica: Daria Anfelli
coreografia e danza: Giuliana Urciuoli
musica originale: Andrea Mannucci
voce cantante: Patrizia Simone
disegno luci: Vittoria Coccia

(Da: La corsa dei fuochi, Moretti & Vitali, 2007)

Teatro Camploy, 26 e 27 febbraio 2008.

Una ‘Corsa’ ricca di poesia e tutta al femminile
(Simone Azzoni)

Operazione difficile il teatro poesia: è la spazializzazione della parola lirica, la carnalità e la temporalità del presente dei versi. Più facile se è il “femminile” a costruire le sponde entro le quali la narrazione si fonde alla poesia; il femminile che rimbalza dalla platea al palco del Camploy per sostenere LA CORSA DEI FUOCHI scritto e diretto da Ida Travi. La sua poesia dell’ascolto, dell’oralità, dell’evocazione si fa apertura ad altri linguaggi nelle coreografie di Giuliana Urciuoli e nella voce di Daria Anfelli. E’ respiro ampio la loro unità costruita su una sottile, impalpabile struttura che dice della fragilità dell’anima e delle sue vibrazioni.
La parola della Travi che soffia il rapporto tra uomo e natura, le lacerazioni della solitudine, i microcosmi del gesto quotidiano si raffina ulteriormente nei paesaggi disegnati dal corpo e dalla parola.
Le calibratissime Anfelli e Urciuoli diventano il doppio, il testo non scritto, la sottolineatura visibile del silenzio pieno che irrompe negli spazi lasciati dal testo. E’ comunicazione degli spazi bianchi, comunicazione del doppio e delle rifrazioni tra il buio e il colore delle luci disegnate da Vittoria Coccia.
Proposta elegante sostenuta dalla musica ‘einaudiana’ di Andrea Mannucci, La corsa dei fuochi occupa lo spazio intermedio
lasciato libero dal sogno e dal tempo.
Usa l’immobilità, le dilatazioni, la spezzettatura del gesto e la sua ricomposizione, usa il sussurro ampio che cerca rigore, centro, unità e senso nelle terre di nessuno, nelle terre abbandonate dalla logica consequenziale e causale. Usa l’assenza e la fuga, l’imprecisione e la diagonale, la circolarità.
E’ un lavoro che si prende sul serio, da proteggere nelle pieghe del femminile e che segna finalmente una possibilità nuova a tanto teatro di poesia fatto tristemente al leggio.

*

6 pensieri riguardo “La corsa dei fuochi – di Ida TRAVI”

  1. Ricchezza di fonti e chiaro progetto distinguono Ida Travi, che non teme di espandere il suo discorso in note di accompagnmento ai testi.
    Ne ‘la corsa dei fuochi’ c’è una voce narrante che arde di nostalgia e che spesso chiede notizie del mondo. Il suo interlocutore però è un sonnambulo, scarsamente attendibile, ma in pratica unico, necessario testimone.
    La scrittura ha la struggente bellezza dell’anima che la detta, di chi vuole ritentare il canto.

    Antonio

  2. La poesia di Ida Travi mi ha sempre colpito. L’ho sentita leggere un paio di volte.
    Non bisogna perdersela. C’è qualcosa di antico e di misterioso, non so spiegarlo
    l’effetto che produce.

  3. Cara Ida scrivi davvero poesie bellissime. Come se non importasse il senso ma solo il suono e la suggestione. Mi sembrano immagini fotografiche in bianco e nero di scene avvenute in luoghi dove abitava gente che ora non c’è più.
    Dario

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