La parola data – di Giovanni NUSCIS

laparoladata

Solo minuscole zanzare.
Ma la mano picchia
forte sulla carne.
Bianca farina
cade e ti ricopre
mentre a mezz’aria
salutano la terra i piedi.
Non sai pensarti
in nessuna direzione
senza calciare inquieto.
Eppure anche da fermo
chiuso in un barile
disegni traiettorie
luminose.

Dalla Prefazione di Roberto Rossi Testa.

[…] In un accorto amalgama di poetese, lingua quotidiana e gerghi tecnici che smonta e rivolta di continuo i luoghi comuni, Nuscis racconta storie per fotogrammi solo apparentemente enigmatici, e che anzi non di rado sanciscono uno scarto minimo dalla realtà ictu oculi; basterebbe cioè avere l’impertinenza di chiamare le cose col loro nome comune, e ognuna potrebbe riprendere il suo aspetto ordinario e consueto. Ma anche il suo aspetto più limitato; perciò lasciamo pure il tutto agli spazi vasti e multidimensionali della poesia, ed alle sue alternanze di trobar clus e di trobar leu (che in questa raccolta si trovano, grosso modo, rispettivamente nella prima e nella seconda sezione).

[…] La poesia di Nuscis cerca assiduamente il punto di incontro e congiunzione tra visione e visionarietà, sia quest’ultima profetica o più concretamente civile. Attenzione, tutti hanno scritto poesia che prima o poi si è potuto leggere come civile; nello stesso modo in cui ogni poesia è d’occasione, anche se poi, luzianamente, la materia del ricordo sfuma, lasciando il ricordo stagliarsi nella sua nuda esemplarità.
Ora, la particolare coloritura che questo approccio assume nel lavoro di Nuscis è quella della resistenzialità.
Già nella precedente raccolta, In terza persona (la sua seconda, dopo Il tempo invisibile), si trovavano versi che andavano in tale senso, con affermazioni ed assunzioni d’impegno della più alta significatività: ad esempio “Resisteremo al nero e pure al grigio”, dove pare d’intendere che l’impegno assunto (La parola data?) non è contingente bensì esteso ad ogni evenienza e momento dell’avventura umana; oppure “E basta pronunciarla, la parola/perché tremi la lingua:/noi, la tana in cui la bestia /entra, esce, resta/ a testa bassa”, in cui, con una curiosa inversione della celebre formula montaliana, il poeta pare riassumere le regole e addirittura tracciare i limiti fisici dello scontro che vita e poesia comportano. Il tutto, dal momento che à la guerre comme à la guerre, senza preoccuparsi troppo degli strumenti che in tale scontro possono risultare efficaci, ossia “davanti alla sequenza di sintagmi /strani, assemblati in tante file/né corte né lunghe, né prosa né versicoli”, né tantomeno farsi spaventare dal “drago della non-poesia”, peraltro “sfinito ora in un angolo”.
E la presente raccolta si conferma in pieno nel solco di tale tendenza. Una tendenza la cui stessa onestà le fa assumere dei rischi, certo superati nel modo migliore, ma che fino alla fine lasciano col fiato sospeso.

[…] E qui si viene all’ultimo punto: alla distinzione spinosa, che tuttavia non è possibile eludere, tra poesia d’intervento e poesia di “pronto” intervento. Con una drastica e forse scontata semplificazione si può dire in proposito che quest’ultima, certo con la massima buona volontà e le migliori intenzioni, suona le sue sirene e i suoi pifferi, secondo le necessità dell’ora alle quali minutamente aderisce; mentre la prima, puntando all’immagine piuttosto che all’ideologia, sa svariare per giungere poi sempre a bomba nei modi più impensabili e implacabili. […] Ad ogni modo, la poesia di Nuscis mi sembra, fortunatamente per lui e per noi, appartenere al primo tipo, proprio in forza della continuità, della moderazione e della complessità medesima del suo dettato. E dico fortunatamente perché, ribadisco estremizzando, credo che la poesia debba assomigliare all’orologio fermo che due volte al giorno segna l’ora esatta per l’eternità, piuttosto che segnare concitatamente un tempo ed esaurirsi in quella bisogna; specie oggi, che esistono ben altri mezzi per essere connessi e operativi in tempo reale; o per averne la pia illusione. […]

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[Da: Giovanni Nuscis, La parola data, prefazione di Roberto Rossi Testa, Forlì, Editrice L’Arcolaio, collana “I Codici de ‘900”, 2009.]

Testi

Dal muro bucato la notte
ti vedi andare via leggero.
Ritrovi all’alba sul tuo letto
un ubriaco che ti legge la vita;
gli ruotano gli occhi e la testa
nella veglia allucinata
nel ludo di parole in sella
ad un ronzare di cellule.

*

Ti scorpori
a poco a poco
e ogni incontro è più breve.
Cominci a vedere
la città che non era
e che sarà
quel delirio d’aria
che ti avvicina di un morso
ogni giorno
all’osso del tramonto.

Il tempo è appeso alla tua gola
le lancette dal quadrante
vi si figgono e ritrovi
dell’ora più ferita
sulla carta una parola.

Il passato lo si trova ormai
pressato in pochi bytes
lo apri e da un chicco
di grano ti esplode
una nube di talco
sugli occhi.

*

Cade in una nicchia
e tace. Dalla parete
vitrea d’una nursery
se non tu, altri
lo attendono nuovo
lo sconosciuto che
dopo un poco
a qualcuno somiglia.

*

Nei giorni di festa ci si conta.
Ridenti carri armati
che ogni lasciata è persa.
Ligi alla ricorrenza
che così è, e pazienza.
Infermi e sofferenti.

Restano gli appartati per scelta
nell’ombra ad osservare
dal maxi schermo ombelicale
lo spettacolo che scorre
in apparenza senza loro
paganti senza sconto.

*

Volo nell’oceano d’erba secca
del Campidano verso
le città fenicie dei migranti
che si son fermati;
sguardo lento nel viso di carrubo
testa d’orcio facile
a riempirsi di storie
e assenze tra agavi e pietre.

Rivedo le tombe degli avi
nell’ora più calda d’agosto;
il vento dal Sinis non brucia
il cuore in ombra delle case,
tra ingresso e cortile.
Polvere e odore di legna
arsa. Impasto di verde marino
e trachite. Un tempo
sospeso. Nube di ossa
che inspiriamo al passaggio
senza saperlo.

*

Tu scrivi in un angolo
e io ti leggo e commento
e come coscienza remota
t’affioro e tu mi ascolti.
Hai dunque conferma che esisti
che dal tuo avamposto resisti
paradiso inferno palestra
dove mai impareremo
a capirci a bastarci.

*

Rivoluzioni tra la
calma e il
sopore di
anni senza
tracciati né aiuole.
Potresti adesso dire tuoni
o voci senza trasalire.
Nuotare in un bicchiere
giurando il mondo
d’averlo visto tutto.

*

Un lago freddo
e fermo
e folaghe scansate
dal rostro di un battello.
Foglie ancora gialle
nell’ippocastano oltre la riva
che un fulmine divora
con morsi di fuoco.
L’acqua adagio pilota
un suono verso
la memoria d’uno scoglio.

*

Non la parola che salva
o muove ma la puntura di un’argia.
Febbre e agitazione
da una mandorla dolcissima.
Dal giardino di piante inaudite
una mano di terra
sotto un piede di cielo.
Queste basse radici dove inciampi:
la cronaca
gli immancabili morti
le esclamazioni che fai
mentre sbadigli.

*

Se fossimo uniti
i pochi condomini che siamo
sarebbe una battaglia vinta.
Ma non c’è grido che si somiglia.
Un’auto abbandonata nel cortile.
Le ruote, prima, poi il motore
rubati, spartiti. Rimane
la carcassa, da anni, ad arrugginire
tra proteste continue.
Nessuno che chiami un carro attrezzi
cerchi il proprietario, l’amministrato-
re, spariti chissà dove.

*

Si è smorzata la musica
di anni ritenuti straordinari.
Ogni tempo ha la sua e quella
s’era allargata a dismisura
col suo stuolo di cantanti
e rockettari a riempire la casa.
Non c’era gesto, parola o pensiero
che non fosse accompagnato da una nota:
il loro tempo sul nostro.
Quale vento una notte
ha riaccordato le foglie,
schiuso il sipario dell’afa
a una musica nuova.

*

Ne rompono il sigillo di lumaca da ogni dove
ma l’occhio come il mondo è franto in pixel acini,
pigiati per vino non bevuto per sangue non buono.

C’è un diritto nel rovescio a cui non giova
l’inverabile contrario. Si distruggono case si nega
il cemento
in cui fuma e s’invagina una pozza d’acqua lurida.

Il sole per facce di bronzo ha un solo occhio
chiuso, sorride ai belli ai figli di cani che rispondono,
Giani, mentre guaiscono alla luna.

Una riga bianca in mezzo segna il senso
di marcia finché un bue non la cavalca tra urla
e sangue di passanti sbattuti gli uni contro gli altri.

Una Pasqua verrà e s’apriranno uova
senza sorprese né fiocchi e
ne usciremo nuovi, forse più sciocchi ed assenti.

*

Sapere che sei e che resisti sul limo dei giorni
nell’abbraccio d’aria scommesso
in una santa partita senza punti e rivincite.

Nato freddo monolite o porcospino
nella distanza che non figge la carne che bacia
assetato una tazza rovente sciogliendo.

Quell’Uno che fummo, dici, è ora istinto
alla fusione. Cronaca fitta di sogni assassini
di ingressi a quell’uno impediti con pietra tombale.

Tenia del bicchiere mezzo vuoto
contendi l’altro mezzo con la sete
di un angelo invisibile e coppiere.

*

Ragazzi, incontravamo bambole
senza testa. Non ridevamo.
Piccole madri le tenevano strette.

Noi si affondava sull’erba.
Le cicale di notte facevano il verso
ai poeti caduti in fossati di vinile.

*

Carte di umbratili segni
di vite in fieri. Volute nere
nel cielo pergamena.

Dalla penna-tastiera l’inchiostro
si vena di resina dolce
su stagni di alba riflessa.

Poche anime di vento
fanno casa. Li lasci andare
soffiando sul greve carico.

*

La festa di chi è vivo non ostante.
La festa di un potere bardato
di nomi e di speranze d’altri.

Cambiare un dado a una macchina ferma
è roba di leggi e anni e molte mani
e convegni e scritti e sangue e rabbia.

Andremmo tutti volentieri a piedi
come si va infatti anche se è lunga
la strada e piove e ci si bagna e affama.

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Qui altri testi di Giovanni Nuscis.
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16 pensieri riguardo “La parola data – di Giovanni NUSCIS”

  1. Sia i testi che la prefazione mi sembrano densi e compatti, di grande forza e spessore… attendo che si plachino gli impegni, diventati ancora più gravosi per il caldo di questi giorni, per leggere il libro, che mi sembra richiedere un lettore vigile e partecipe.

    Per intanto ringrazio Francesco per questo assaggio, e faccio i miei complimenti a Giovanni e a Roberto.

    E un grande in bocca al lupo di cuore per il libro.

  2. Una poesia matura, profondamente onesta, che mantiene alta la parola. Originale e molto argomentata la prefazione di Rossi Testa.
    Un mio discorso sulla raccolta è comparso su Viadellebelledonne (chi lo desidera lo può leggere a questo link

    Giovanni Nuscis, La parola data

    Un saluto e un abbraccio a Giovanni e a Francesco
    Antonio

  3. Vi ringrazio e vi consiglio vivamente di leggere il libro.

    Antonio, avevo già letto e apprezzato la tua nota. Grazie per il link.

    Un caro saluto.

    fm

  4. Ringrazio Giorgio, Nadia, Antonio per le parole di apprezzamento; e Francesco, per la sensibilità, l’accoglienza e la visibilità che ha voluto dare al mio libro.
    Un caro saluto a tutti.
    Giovanni

  5. E’ un libro che leggerò.
    I testi che proponi qui, Francesco, mi sembrano molto pieni e maturi; direi in linea con le precedenti pubblicazioni di Fabbri, senza per questo voler fare un confronto, ma soltanto apprezzare scelte editoriali coerenti.
    In bocca al lupo a Giovanni, e un caro saluto al padrone di casa.

    Francesco t.

  6. In attesa di leggere il libro,esprimo sincera gratitudine all’autore, che mi ha fatto penetrare il suo mondo,fatto a volte di sensazioni disegnate come un sogno ad occhi aperti. Leggendo i versi mi e’ capitato di incontrare cio’ che dev’essere la vita per Giovanni,un insieme di colori forti che lui mescola sulla tavolozza dell’anima guardando l’orizzonte del mondo. La sua spiaggia nasconde il desiderio a volte latente di compiere il viaggio all’incontrario, leggendo se stesso attraveso le sue parole
    Grazie AnnaMaria

  7. Carissimo Giovanni,
    ti avevo espresso già il mio in bocca al lupo, te lo rinnovo perchè dai testi letti credo proprio che il tuo, sia uno di quei libri da tenere sempre sotto mano.

    un forte abbraccio a te e a Francesco esteso anche al prefatore.
    jolanda

    P.S.

    Chiedo all’editore se i libri de L’Arcolaio si possono trovare a R.C.

  8. Arrivo un po’ in ritardo e chiedo scusa all’ospite, il carissimo amico Francesco, che, come di consueto, regala ai libri della mia casa editrice un’accoglienza generosa. Saluto tutti gli amici qui intervenuti; li saluto davvero con affetto. A Jolanda ripondo che ancora non ho una libreria fiduciaria a Reggio Calabria. Ne approfitto per chiedere alla nostra amica qualche negozio con cui mettermi in contatto. Conto, entro i primi mesi del prossimo anno, di avere almeno una libreria in ogni capoluogo di provincia. Comunque, è comodo anche l’acquisto attraverso il sito.
    Grazie a tutti.

  9. Grazie Francesco T, Annamaria e Jolanda per le buone parole sul libro. E grazie ancora a Francesco e al mio editore gentilissimo.
    Un caro saluto a tutti.
    Giovanni

  10. Un saluto e un grazie a voi per essere qui.

    A Gianfranco l’augurio di continuare, a questi livelli, il suo lavoro.

    fm

  11. grandi versi – il canto fermo di una fedeltà

    c’è dentro il grando moralismo di Volponi, Fortini, Roversi, GFCiabatti, con una voce altra, originale, potente

    mi piace questo voler elevare in solennità il quotidiano, il profano

    auguri e complimenti

    grazie FM e un saluto a NUscis

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