TUTTE LE VOCI (2005 – 2008)
“La notte è distante, oltre i rivi della
propria potenza
di sotterrare i vivi
nell’ombra di ogni storia,
di far riemergere i morti
come peso, misura, gloria”
(Paolo Volponi, Con testo a fronte)
“Mentre scrivo la terra è minacciata.
Forse aprono voragini nel fondo
mare, dall’abisso cadono sul mondo”
(Roberto Roversi, Dopo Campoformio)
…sarà colpa di Pietro Bembo
se a volte di notte
strepitano alle porte i volgari
piangono urlano tutti i dialetti
endogeni autoctoni particolari
incatramati sulla lingua autostradale
impeciati per piacere vittoriale
per il Grande Raccordo Anulare…
-oltre la parete la soglia il muro
nei silenzi infetti un suono puro-
vengono voci
in bollicine d’aria
rinvengono
dagli abissi
del Baltico
imprecazioni di soldati
foglietti scritti
biglietti ai cari
addii
imprigionati in sottomarini russi
incagliati sul fondo
assiderati
invocazioni suoni di corpi
avvoltolati nei ghiacciai
alpini andini himalayani
cacciatori mistici imbonitori
viaggiatori santi predicatori
esploratori eresiarchi pensatori
acciambellati in sconce stive
stipati
insaccati in suoli carsici
crivellati
vittime le vittime
agite agitate agapate ora e sempre
carnefici i caini le carneficine
i caligola i neroni le agrippine
nelle foibe titine nelle fosse
di Milòsevic alle Ardeatine
le voci
dissepolte alle torbiere del Donegal
catene di affogati al largo del Senegal
golette gondole galeoni galere
incagliate alle barriere coralline
voci indistinte adamantine
le voci
piantate in piantagioni
di tabacco coca caffè carioca
sepolte ai piedi dei faraoni
sacrificate su are capre agnelli
piatti d’argento vitelli d’oro
la Nina la Pinta l’Amistad
Andrea Doria Titanic Moby Prince
Trafalgar Waterloo Salamina
le voci
dei suicidi iberici
all’arrivo di Scipione l’Emiliano
falangi opliti fanti
imprigionate a Guantanamo
a Cuba nel gulag siberiano
al supercarcere di Fossombrone
sequestrate all’Aspromonte
rapite
nella Locride in Barbagia
presidenze prigioniere in una dacia
assediate a ferro e fuoco
a fame e sete
a Troia
a Micene
nel ghetto di Varsavia a Mostar
nella guerra dei cent’anni
le voci
degli eccidi d’Algeria
maciullate nella piazza di Pechino
bombardate nella notte Londra
Berlino Bagdad Montecassino
asfissiate al gas nervino
le voci
sedute imbalsamate nel cinema
di Mosca docciate a Mathausen
Auschwitz-Birkenau violentate
dai Kmer rossi di Pol-Pot
nelle risaie cinesi nei conventi
della piana di Navelli
nelle colonie inglesi
nei possedimenti francesi
mozzate recise attilate
dal Gran Chan Gengis-Chan
ingranaggi di Archimede ruote dentate
catapulte greche balestre perfezionate
per la prima guerra tecnologica
le voci
musulmane arginate
a Poitiers rintuzzate a Vienna
le voci arabe fermate a Lepanto
aste alabarde piccozze palafreni
asce sciabole scettri spade
olii bollenti picche palle infuocate
le voci
issate sulle croci
barbare
celtiche
romane
le voci
di vergini mondane
arse nelle piazze a ogni raduno
le voci di Giordano Bruno
infervorate folli scaramantiche
eretiche streghe lesbiche
giovanne d’arco canterine
pulzelle infanti saffiche puttane
le voci
drude strologhe diverse
le voci avverse controverse
le cassandre inascoltate
le pizie perse precipitate
centrifugate centripetate tutte le voci
urlate dette insufflate tutte le voci
resistenza
insistenza
desistenza
spalmate su tabulae rasae gommate
spiaccicate su terricci e ghiaini
tutte le voci di Pasolini
tutte le voci di Franco Fortini
tutte le voci di Paolo Volponi
legate
saltate
morte ammazzate
Falcone Moro Borsellino
la voce del bambino
nel pozzo artesiano
dal fondo a Vermicino
il piccolo Alfredino
Rampi
innocenza sventura destino
e sono spore spoglie mortali
fosse d’antiche lingue
glosse su soglie reali
rifugi bunkers trincee
spalti garitte assalti
fossati steccati fili spinati
urlano in tutti i volgari
le lingue mortevive
le voci
le voci più assertive
vengono come vengono
a ondate
estromesse
evacuate
migrate dette evocate
odi epòdi cori delle donne
ateniesi tebane talebane
battute battendo metacarpi
vocianti alle lapidazioni
osannanti ai napoleoni
inquietanti
per milioni di morti
imbarazzanti
grandeurs per troppi torti
laceranti
sulla corriera saltata
a Tel Aviv nelle case dei coloni
nei due milioni di Palestina
sotto la pioggia di pallottole
nei sei milioni d’Israele
sotto assedio e sassaiole
da Isacco
da Ismaele
Ira Olp Mossad
la Guerra dei Sei giorni
i feddain
i giornalisti libanesi di An-Hamar
trucidati
la strategia della tensione
i sindacalisti gambizzati
B.R.
NAR
Ordine Nuovo
le barricate a Milano
le Cinque Giornate
Solferino
il Maggio francese
la Primavera
di Praga
le molotov a Valle Giulia
tribù di talpe
i collettivi
gli Indiani urbani
devastate stagioni tacitate
le voci
precipitate alle Twin Towers
le compagne abbracciate sul boeing
come nei calchi di Ercolano
bruciacchiate nel petrolio del Kuwait
le voci
sottoterra dei curdi
senzaterra
le voci
sotto la neve
degli armeni le voci sotto sale
le voci sotto i lapilli di Pompei
le voci nei piloni dei cementi
le voci al napalm
le bombe intelligenti
le donne
a Zama
a Belgrado
a Plaza de Majo
le voci
sotto la cenere
di Hiroshima o Tzunami
chiamano
tornano
salgono
di satellite in satellite
rimbalzano dagli States
dal
braccio
della
morte
democratica
le voci ritorte
le voci
di Greenpeace per le foche
per le balene
per le ultime falene
assaltano la notte
del pensiero occidentale
navigano alle porte del veliero
di veleni vendette colpe
dell’antico Egitto
segnati i cardini
dati i contrordini
fronteggiando la sciagura
invocati gli dei
cantati i carmi
i cavalieri
l’armi
i lari
per la primogenitura
voci di cesura
voci di censura
voci di clausura
la voce estraniata di Caproni
la voce stralunata di Baldini
la voce della Rosselli più eversiva
la voce di Penna alternativa
la voce della Romagnoli risentita
la voce di Scataglini impercepita
la voce d’oltrelingua di Loi di Giacomini
la voce d’altralingua della Zoni e Bettarini
la voce d’interlingua di Bàino e di Nadiani
la voce materiale di Porta e Pagliarani
la voce laterale di Neri di Sereni
la voce di Roversi inagguerrita
la voce di Luzi
della vita
disarmata
volgari neo-volgari dialettali senza Koinè
le voci dei cari alla Tribù
tra quelle cui destinarono le Tavole
di stirpi nomadi stanziali
voci di esodi privazioni
dialetti
favole idioletti monadi esiziali
per la guerra a chi c’è c’è
chi no
esca dai canoni
lalie ecolalie antologie
deserti senza fiori
Sinài senza ginestre
le voci
alle balìe della marea
voci di discrimini
frontiera
voci nella incerta inchiostratura
alla memoria deficitaria
infutura…
***
La voce, detta, scritta, cantata, la voce che precipita negli abissi del tempo o resiste, reca con sé ancora messaggi da ciò che è stato verso ciò che sarà. Una ricchezza che stiamo perdendo o, forse, si trasforma in qualcosa che ancora non sappiamo immaginare.
Un testo vivo, molto diverso anche formalmente dagli altri di Manuel già presentati qui in passato. Un grido composto ma un grido, di compassione – mi viene da dire – nel suo stesso esistere, ed al tempo stesso di speranza perchè la memoria diventi presente e futura, cancellando quell'”in” dell’ultimo verso.
Un caro saluto a manuel e fm.
francesco t.
Ringrazio Ivan e Francesco.
Non so se Manuel, in questi giorni, ha la possibilità di seguire. In ogni caso, leggo questo “poemetto” in fieri come il diario mobile di una vocazione, di una “lunga fedeltà” alle radici etiche della poesia, alla sua naturale tensione a farsi prassi condivisa, mosaico di voci, pane elementare che per esistere ha bisogno di partirsi tra mille e mille mani.
fm
se da una parte c’è la disgregazione della ‘storia’, dei fatti, di tutto quelle rotture praticate dalla politica, dal quotidiano, dall’altra c’è la ricucitura della poesia, dei poeti citati che diventano scudo e forma per vivere il proprio quotidiano.
piace vedere come un poeta sappia ascoltare (ma è Manuel!!) e leggere gli “altri”, li sappia coinvolgere nel suo dire e nel suo fare.
mi sembra di trovare uno scarto, un cambiamento nella scrittura, rispetto a cose da me lette antecedentemente. è possibile?
un abbraccio
scusate, sbaglio anche a scrivere il mio nome! crisi d’identità?
abrazos
mosaico di confini
cancellati dai venti nuvole maree
e voci parole ululati che come spore si posano di nuovo su deserti cieli ombre
da poesia nasce poesia che canta popoli persone memorie futuro
grande manuel
c.
Bello!
un canto, un urlo, é diverso, si sente la coscienza civile, il dolore, la verità.
lascio poche parole.
n.
scusate il ritardo. Ho solo ora la possibilità di collegarmi. Ringrazio tutti i lettori di Rebstein, quanti mi hanno inviato mail private, e quanti sono intervenuti con le loro parole profonde, intelligenti e amiche. Devo dire un grazie particolare a Francesco Marotta, per l’ospitalità e pure per il coraggio della proposta… pensavo sinceramente che questo testo complicato fosse di non facile collocazione. Effettivamente, e rispondo a Francesco Tomada e Alessandro Ghignoli c’è diversità formale e scarto rispetto a altri testi apparsi proprio su Rebstein: io lo considero il mio controcanto, una corda che comunque ho sempre tenuta stretta, di memoria, di presenza, e pure, in qualche modo di sperimentazione informale. L’idea è comunque nel tentativo di restituire il testimone di una vicenda polifonica, in qualche modo corale, se non comune, come mi pare che Ghignoli e Ivan Crico abbiano colto. Un Grazie particolare a Carmine Vitale e Natàlia Castaldi che ne hanno colto un filo fondamentale. Grazie a Anna Lamberti Bocconi (ho perso la tua mail ho una cosa importante da comunicarti) e ancora a Francesco Marotta: quella ‘lunga fedeltà’ alle radici etiche della parola, è la cosa che più ci accomuna.
C’è un grido silenzioso di dolore e di compassione in questo lungo testo di Manuel, un grido silenzioso che deflagra nel silenzio di questa nostra “civiltà”, che sento mio, che lo sento avvolgermi la spina dorsale, annidarsi come una pietra ghiacciata dentro lo stomaco, denudare l’anima e portarla al cospetto della realtà, di fronte la sua pira, la sua piramide di follia.
Fabio F.
Bentornato, Manuel.
Un saluto a tutti e un benvenuta ad Anna.
fm
Grazie Francesco e grazie Fabio: quel grido è nel constatare che la storia non è che una infinita sequela di violenze sangue e soprusi. Quella che chiamiamo ‘civiltà’, non è altro, e qusi sempre, che la volontà di potenza dei vincitori sui vinti. E la memoria, purtroppo, è quasi sempre, la memoria dei vincitori.
Diceva René Char che la poesia non ha alternative: o si leva contro la memoria dei vincitori, o è uno strumento docile nelle mani del carnefice.
L’aut-aut vale oggi più di ieri: qualunque cosa si scriva.
fm