Chiara Catapano, Un paesaggio cresciuto dentro


Di quando Majakovskij in sogno ha letto una mia poesia

Considera questo: nulla di diverso
Solo una nota vagamente asprigna sull’amara radice.
La voce più tremenda della sua apparizione;
Le parole, scheletri di luce.
E lui seduto, terastico impassibile
Frusta l’aria dentro l’ugola russa.
Majakovskij non mi era mai venuto a trovare in precedenza;
L’ho considerato un gesto delicato
Compiuto senza troppi complimenti,
Alla sua maniera.

Ha raccolto i miei versi in grappoli metallici
Il succo lo premeva fuori
Schiacciando tra le mandorle
Dei denti, chicco dopo chicco
Il latte di un qualche arcaico sacrificio.
Ma poi com’era carico di senso il suo idioma
Una sorta di terra vergine tra il russo e il sogno;
Io dipingevo i suoni a doppia lama
Che non raggiungevano niente e nessuno
Ma che s’ incatenavano all’aria vibrante santità.
Il Dio ebbro della poesia non cercava più la sua morte,
E lui pareva contemplato dai cieli
Splendido, inarrivabile.
Il brusio della vita calato in quel fosco paradigma
Dentro l’ingranaggio dell’uditorio
Nel perfetto silenzio divaricato tra le parole.

*

Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 2017, quando Mani Kaul mi ha visitata in sogno

Oh Mani goccia goccia la tua affilata presenza
Nella mia foresta di segni
Impatta.
Ero sveglia nel sogno, sveglia e protesa:
Me, me cercavi nell’incavo infinito del sonno.
Sopra, con quasi severa identificazione
Indicavi un punto con occhi
Ch’erano mille volte i tuoi:
M’indicavi perché indicassi a Steven
Che la poesia è: mezza piramide illuminata.
Volteggiava astronave tra te, Mani, e me
Che senza capire capivo.

Quella barca di sogno cristallina
Realmente nella divaricazione del vero
Evocava di quando,
Nel sogno di Steven:
Dove ancora dalla tua bocca uscivano solo
Parole di luce che s’accendevano in aria
Tra le vostre coscienze.

Il mio tempo così dentro il tuo tempo
Assi verticali, cipressi sensi
Desti tutti, contemporaneamente.
Il mio tempo che non è tempo, il tuo
Ansa dell’unico eterno rifranto
Nei mille noi, gocce della tua affilata presenza.

*

Autunno d’Agosto
(2017-08-10)

Ti tengo nel mio utero cielo.
Ti tengo sollevato, dentro la terra.

Sole quadrupede acceso, un sole di resina, alza aghi di soffio, vento soffio su polvere accesa.
Ora vedi il sole d’agosto, sole agostano riverbero suono. In Piazza Vittorio gli alberi son tutti carcasse: vibrano in cima il riposo dell’ombra, lo zufolo-ombra s’acquatta nell’alto, ritira l’onda d’abbraccio, sbreccia l’opale ferroso di luce che agguanta la terra.
È pura solitudine il guanto che avvolge le cose.

E culla in via Castro Pretorio l’ermafrodita odoroso pianti d’ipsofillo, latte accartocciate d’abbandono. È un autunno d’agosto, stagione dentro stagione
– dici —
Piovono grappoli d’ombra senza più linfa, piovono secche radure. Frinire di linfa,
                                        crepita piano.
Un autunno d’agosto che vive sotto le chiome, che impazza dall’alba al tramonto e impenna la notte in rivoli-foglie,
in rivoli giallo-marrone,
in sacche d’asciutto vibrare.

Quaggiù è un autunno d’agosto, un lento soffrire di luce.
Osserva il silenzio del ramo: l’ala acuta, il protendersi ingenerato.
Non rami ma il loro protendersi:
di questo noi parliamo
quando parliamo degli alberi,

e il loro lento vibrare la luce, insinuarla al compianto dell’acqua.
Ora tutto è suono. Di seta e fuoco sotto le scarpe. Suono d’ancoramento, suono-fittone al ramo di retina,
dove tutto s’illumina il suono.
Dove tutto s’acquatta, diminuisce. E il risveglio lento fluisce dai muscoli al cuore, tutto l’essere contaminato di luce.
I suoni sono luce. Un concerto d’agosto. Un frinire di suono ingenerato.

. . .

Luce solida, polvere di carta.
Luce solida-attesa, fittile presenza. Ruspe in lontananza.
Polvere natante, plasma disgregato, sgorgato da una ferita di luce.
Le ruspe silenziano il paesaggio.
Alberi d’osso, pallidi dentro il passaggio silenziato dei motori,
ti agguanta fermo la luce, il suo suono immobile. Lievemente oscilla il suono occipitale,
la testa febbrile d’agosto cosparso di foglie secche acquattate,
di rintocchi feroci dalle chiese cinguettanti,
battenti nostalgie sbucciate nella breccia tra due suoni di luce.

Quattro sbuffi di nuvole inchiodate ai rami. Il ferro del chiodo nella docile carne del tronco, ombra luminosa in retina accesa.
La terra ribolle di polvere viola, polvere grigia-autunnale, polvere cicala frinire d’ascolto.
Verdeggia altrove il pensiero.
La nuvolaglia dei pensieri-ortiche.
È una notte di giorno il miracolo dell’insondato pensiero, snodato tra cielo e terra, suono riverberato e tattile. Il cuore autunnale nell’astro d’agosto che pompa luce alle periferie.
La notte non arriva, l’appena rugiada del giorno.
Silenzio completo tra i rami che coperchiano il fragile azzurro. Silenziano il fragile azzurro.
Dove nasce il pensiero?
Nasce sospeso. Non dove, ma chi.
                                                                                 Non chi, non quando.
Le valve del tempo nel tempo intimo, tra luce e suono.

Ed entra il giorno dentro la notte, penetra piano.
L’immagine sbriciola se stessa, niente è più come appare.
Un guado nel nuovo cammino, l’immagine ferma si attende.
L’aria sterile, aria fasciante di carta,
                                                                                     lassù un piccione.
Tutti francobolli ritagliati nel suono e nella luce.

*

KŌSHŪMISAKA SUIMEN
– Torii (
鳥居) –

A nord mi chiude la montagna, a sud il melograno.
Sono porte senza lucchetti, felicemente aperte.
Pure non procedo oltre il loro specchio,
architrave meraviglioso il cielo.
La chiave mia inutile attende.
Vento e luce scavalcano i guardiani inesistenti
attraverso le correnti della realtà fluttuante.
Cerco il mio volto riflesso nelle acque del lago Misaka,
ma non si apriranno a me le porte spalancate
finché non l’avrò colto, stupito, nel cuore delle onde.

*

L’albero che canta

È tempo di migrazione – L’albero canta
internamente, in una gola di buio: voci aperti lampi nella notte che cade.
Rami d’ali agitano il profilo dentro l’assenza di vento.
Intero
si scuote dal tronco
giù
                                           dalla terra al cielo
contraendosi cuore-intorno
silenzio di presenza assoluta.

*

13 Novembre 2017

Fuoriuscito dallo scavo d’un foglio bianco,
il vento zitto scavalca le nostre fronti
e le case
lievi-posate nello sguardo, di là dall’onda:
dove le linee fondono un punto mobile
ci penetra
assieme al paesaggio.
E ci ricama,
tirando con l’unghia un filo per volta.
Un filo-dritta pupilla, filo-storia,
il chiudersiaprirsi
della storia grande dentro la piccola.
Lo scrigno più piccolo è immenso!
Nuotiamo le sue acque, il suo varco di meraviglia,
contenitore d’infinito.


Chiara Catapano nasce a Trieste nel 1975. “L’aria natia tormentosa” ne influenzò di certo carattere e scelte: il sapore inizi ‘900 della città, il cui orologio s’era fermato e che pareva una parentesi tra Balcani ed Europa, le ha dato la possibilità di crescere sentendo parlare per le strade e nelle botteghe tedesco, croato, serbo, greco. Dopo il Liceo studia Filologia Bizantina e Neo greco presso l’Ateneo tergestino, con intermezzo di un anno trascorso ad Atene per la preparazione della tesi di laurea. Traduttrice e poetessa, ha pubblicato due raccolte poetiche (Thauma ed.). Suoi articoli, racconti e poesie sono comparsi in riviste italiane ed internazionali e tradotti in diverse lingue. Ha organizzato assieme ad prof. Andrea Aveto dell’Università di Genova la riedizione dei “Discorsi militari” di Giovanni Boine, curando in particolare l’antologizzazione dell’epistolario boiniano e la ricerca nelle emeroteche di Bologna e Roma. Il volume è stato pubblicato dalla Fondazione del Museo Storico del Trentino. Collabora in modo continuativo con la rivista internazionale “Traduzionetradizione” – http://www.traduzionetradizione.com/, con la rivista Poetarum Silva – https://poetarumsilva.com/, con l’Università di Atene, con diversi poeti greci di cui cura l’opera in maniera continuativa o sporadica: Ioulita Iliopoulou, Athinà Papadaki, Spyros L. Vrettòs, Liana Sakelliou, Christos Toumanidis, Sotirios Pastakas, e altri. In Italia collabora con Paola Minucci, Letizia Leone, Franca Mancinelli e altri. Studia presso la scuola di “Animologia Immaginale” di Trieste. È giurato e traduttrice per il Festival e Concorso Internazionale del Castello di Duino. Ama tradurre. Ama il greco. E forse questo è ciò che conta, nella sua biografia.

Copertina: Santiago Idáñez

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