Congiungere i lembi del passato

Maria Pia Quintavalla

Testi tratti da: Maria Pia Quintavalla, Selected Poems, introduzione di Andrea Zanzotto, traduzione di Isabella Canetta, New York, Gradiva Publications, 2009.

           Da   Cantare semplice, 1984

     Nessuna lingua

Nessuna lingua umana mi darà ragione
sono come sono, senza sottane d’oro
né bianche che solleva il vento
ma appoggio il mento e gli occhi
su un momento.

*

     Un idealismo- pensiero

Un idealismo-pensiero che mi delizia
ha la mia donna ideale, sogna
su tutte le pene delle altre donne
non sarà la cerniera dei corpi   la parola
ma lingua di rosa
come meteora venuta.

 

           Da   Lettere giovani, 1990

     Con un’amica
                                                    a Nadia Campana

Con un’amica niente più bianco
e nero, né morte
di nuovo dio piccolo
dio diffuso
tante piccole teste noi
e plurali sulla terra,
sui muri della schiena
incubi e infanzia da vedere.
Cantare le righe
le miglia di un’altra, scomparsa
non consumabile silenzio.
Con una nave niente più bianco
e nero,
solo dio piccolo
piccolo e diffuso.

*

     Lavoro

Userò, come tetra famiglia
userò come giogo
che lega questi anni di attesa
alla sua sorte,
non l’idolo non la scura
meraviglia – la sua statua sonora
non la veglia finita
del sospirato serpente
la sua lingua godiva.

*

     Io mi ritenni

Io mi ritenni una selvaggia
da chiunque distruggibile
lussuosamente persi il tempo grazioso
giovanile, ma risoluta promessa
si ripete una fiera sorgente.

*

     Movimento dell’immobilità

Cupo, senza scandagliare
cupo moto a restare
scoperti,
attraversare la boscaglia.
Apoteosi: accecata accecante
tu, piccolo angelo solo ne resti e muto.

 

           Da   Le Moradas, 1996

     Esiste la deliziosa

Esiste la deliziosa,
prossimità, non il perfetto amore.
E intanto
lunghi tragitti tratti
erosi da pianto, polvere
di sentieri assembrati angoli della mente che
stavano per sfollare e – sostano,
campi desertici
   trasferimento, letto come strada
silenzio non ancora pace.

*

     E la storia ripete

E la storia ripete
solitaria importanza, date e
date, stupita picchietta a morte
nel fortino sicuro della mente
lenti le svaniscono i domani
lodi ben tornite le sue mani.
C’è gloria nella storia nella
avvenuta avventura umana
con poche cose,
ora imparo
dal buio il ri abbraccio.

 

           Da   Estranea (canzone), 2000, Canto X

     Semplice suono

Semplice suono, semplicemente –
voci che rincorrono (un futuropassato)
nelle strade genealogie raccolte,
chiuse in sé strette
perché polle pozzi
giorni sepolti tra la vita, altrui
canzone, e l’oggi mobile
miraggio appeso esile, saputo e presto
nella piena e verde
e piazza (annuvolato).

*

     Allora grida e sortilegi

Allora grida e sortilegi, spinte della
vita con le spalle chine e le finestre
chiuse laggiù nell’ombra del
fiorito fiume, che a tratti buono
tutto blu e profondo le facevano
un vuoto (monito)
allora lei sentiva che poteva
e domenica rifarsi intatta
congiungere i due lembi
del passato, e due nel terzo
occhio dimoravano (felici).

 

           Da   Corpus solum, 2002

     Parmigiana

Tutti gli amori ti furono infelici perché ci credevi,
tutta vi aderivi, alle promesse
dell’essere – al suo centro, ti innamoravi della vita
del paradiso dalle palme lente e dolci
dell’amore improvviso nelle dita,
degli amanti napoletani della forza che
ti travolgeva ma di messi astrali, bianche
di una stella carnale
antiche passeggiate e dolci mani,
della vita sentivi lì la forza intatta infrangersi
stupita appartenente a corse, statue di gaggie
erano tonfi al cuore, desiderio e copule del mare.
Forti le braccia i baci le lusinghe,
per amore della vita che perdevi
e lenta nell’amore ti perdeva.

 

           Da   Album feriale, 2005

La piantina

I)

Sono in pericolo, da anni invece della cerca della luce,
clorofilla e verdi sali vedo una pianticella da  c u r a r e
il cui veleno proviene dal suo centro, dalla terra
un buco invalicabile e profondo – che
non dà spazio ad altro. Lo stesso buco alimenta
come acqua un pozzo – e spinge
radici povere che reggono la pianta,
io mi chino e ne bevo, la curo genufletto e
inculco suoi rituali – soli che si addicono alla pianta.
Essa prende me, lei non va via. Un male oscuro che
ghermisce inesplicabile ed io chinata, guardo e amo,
le dico: con oggi prenderemo un’altra medicina.
Lei è sepolta, ma con me alla luce rivivrà sicura!
E lei beve, beve  non è stanca mai.
Mi riaddormento a sera con minor fiducia.
Che sia lei o io, la più ammalata non mi curo:
so che il mio posto è di guardiana del malato e
lei l’ho già incontrata (e scruto) quante foglie fiori
saprebbe germogliare. Ignara,
ignoro non vi sia più vita e mi procura un crampo
stanco e duro, dolore al polso e poi silenzio, ma
le voci che invento, le canzoni o i bassi
assicurano parole e un bel giardino.

*

II)

La pianta guarda sogna, a volte sembra assorta:
finestre che riflettono un suo cielo senza stelle mani
la carezzano vorrebbero donarle un nome un volto, e
voce – amica. (Ma la pianta avvizzisce e piano si
protende verso il basso, il fusto grigio e secco
come un vento che non ha respiro). A volte migra,
noi riposiamo là vicino a lei che più non vedo.
Il cielo annotta tuona ma non può far nulla,
solo mani amorevoli le mie intendono prestarle volto – e suoni
si azzittiscono, il mio viso già assopito
s o g n a  di accendere una per una la fiamma
con cui bruciate dita riscaldano –
ed illuminano.

*

III)

La pianta tace sopra tutto il suo segreto
che è l’assenza di centro e sterno
vuoto al mondo da mostrare. Divide e intrica
con la sua secchezza il cielo ma
scruta dentro l’anima, vorace. E tace.
Tace di suoi algoritmi e voci che nel fondo
pre natali alla vita al tempo, al vivere
del mondo avevano attizzato fuochi lì
nel cuore, e morso l’aria
     giacimenti interi e intanto voci –
anche di bambini che dall’erba
suggeriscono preghiere, e le dicono lascia,
lascia tuo padre – madre, tuo fratello in terra
di sepoltura antica, tu foriera
di indiane corse di colori che
dal cielo fumano – il suo Sole.
E’ là nel corso amico della storia
che vorrei tornare,
precipitare in corsa prender quota – camminare.
C’è un paese amico che mi segue e chiama,
ha nome amicizia affetto figlia
e poi, animali.
La piantina che sente si stupisce
di queste orecchie gravide del mondo,
non capisce. Coglie che
qualcuno è in movimento già nei piedi – prato
di un cammino. Lo trattiene,
non vorrebbe tutto quel chiasso
– e il fiato non udire; preferisce
tenere a sé le mani strette nelle
sue più forti di
           quel mistico morire.

 

Sezione inedita,     da   China

     La sostanza!

Tu, che di “sostanza” amavi fare scorta, tu che la ciccia dolce e imperturbabile portavi addosso come collana d’oro, tu che non osasti mai smentire tale il grande corpo della madre, trovasti nella impenetrabile magrezza ultima una catarsi antica, mistica di te sognata, una tappa ritmica del corpo e cuore di ragazza, che diceva no – al suo cibo.
Una sua splendida trovata vita, poiché dal lato di magrezza del pensiero, spirito dove non ti eri mai piegata; dal lato sconsolato di tuo corpo attento, febbrile sua muscolatura, scatto dei “no” ripetuti in fondo al tempo dove non ti eri più plasmata.
Così, agli ultimi, tu lo facesti integra, tuo. Né pancia o adipe più rivedemmo, ma corpo asciutto di ragazza.

 

***

13 pensieri riguardo “Congiungere i lembi del passato”

  1. Se passo di qua nessuno se ne accorge, ma passare di qua senza salutare mi sembrerebbe come entrare in una stanza e non salutare i presenti. Una volta si diceva lurkare, che brutta parola! dall’inglese to lurk “spiare da dietro le quinte”. Quindi prima di ogni cosa saluto per lasciare segno della mia presenza, o tipo faccio un colpo di tosse.
    Leggere Maria Pia è sempre un’esperienza esaltante e accrescente. ho sofferto leggendo e seguendo le vicende della piantina moribonda, la piantina che tace, ma che sente, che si stupisce, che capisce. d’altra parte Maria Pia è così grande ed è una voce poetica così autentica che è poetica anche quando scrive le mail o quando commenta. antonella

  2. Oh, cara Antonella! che di grandezza d’animo tu sai qualcosa, credo.Quella piantina racconta parecchio e vero, tace e capisce.. ma stupisce di quelle “orecchie gravide del mondo” … La poesia è peraltro, sempre, quella certa stretta di mano, senza la quale, nessuna voce, nessun messaggio in bottiglia sa arrivare. le tue orecchie sono gravide di poesia, invece, mia molto cara. grazie della visita,
    Maria Pia

  3. poesia come “pianta” esistenziale,
    frammenti di luce tra terra e cielo
    che “scruta dentro l’anima, vorace”

    un caro saluto, Abele

  4. Mi soffermo un attimo sui versi struggenti di “Lettere giovani” con qualcosa dentro di amore e di rabbia e quel : “tu, piccolo angelo solo ne resti e muto.”

    E la piantina a cui si parla così: “e intanto voci –
    anche di bambini che dall’erba
    suggeriscono preghiere, e le dicono lascia,
    lascia tuo padre – madre, tuo fratello in terra
    di sepoltura antica”; fortunata piantina; verrebbe da dire che bisogna sapere tante cose per poter ancora vivere.

    Un caro saluto

  5. Quando penso alle poesie di Mariapia (e da tanto ormai), mi viene da pensare all’argento. Splendono anche nel dolore con in più una forza lucida, una grazia colta, armoniosa che mai arriva alla pesantezza conclusiva dell’oro. In qualunque anno le abbia scritte, sono poesie “giovani”, resistenti nel senso di incorruttibilità e freschezza di pensiero. Quintavalla ama la vita e per chi la conosce bene, lei attraversa i fuochi dell’esistenza abbracciandoli quasi, riuscendo a uscirne fuori per comunicarcene poi soprattutto il calore e la brillantezza. Sembra “sempre comunque salva”, e ci dà -almeno come sento io- l’illusione di esserlo anche noi.

    Cristina.

  6. “lunghi tragitti tratti”, “e intanto” – ché a soffermarsi su di un solo fotogramma, già, è ricchezza per il respiro. Continuo la lettura. Saluti a M.P.Quintavalla. Giampaolo

  7. Che bello riascoltare l’eco dei miei versi nella la voce di poeti amici, per quanto ne torni nell’ascolto,di Cristina Annino, ad esempio, che da una vita conosco… Ora sono fuori casa, ma sentire lei che parla dell’argento, calore e lucentezza, che verrebbe dal passare dal fuoco, è un complimento da te, Cristina, che apprezzo tanto, poiché unito all’amicizia vera, fondata dalla vita, che ha formato entrambe . A Nadia e Giampaolo, grazie per l’ascolto del respiro o delle, involontarie, porfezie.
    Maria Pia Q

  8. Ecco che in una giornata grigia e piovosa mi arriva questo dono.
    Così ben conosciuto eppure sempre nuovo.
    Cristina Annino ha già anticipato, con la sua attenta sensibilità, quello che avrei potuto dire; aggiungo solo che in quella piantina un poco mi identifico, con una malcelata sensazione di colpevolezza.

  9. Sempre un piacere leggere Maria Pia!Doveroso omaggio. Proprio ieri ho letto tue poesie sull’Almanacco de Lo Specchio. Bene, giusto tributo. Complimenti!

    Un caro saluto

  10. Cara Mia Pia io l’Almanacco l’ho visto ieri, era appena giunto! Sì, ti scriverò presto perchè devo comunicarti una cosa, la tua email non l’avevo più, ho avuto qualche problema con il pc.
    Bene e a presto!

    Un caro saluto

  11. Maria Pia, l’impatto con i tuoi versi è sempre forte e dolce nello stesso tempo. Il tuo stile, ormai riconoscibilissimo, denota una personalità poetica di alto valore.

    ti abbraccio caramente

    jolanda

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