Turning doors (I)

Francesco Forlani

Dopo Autoreverse, ecco prendere forma, sostanza e corpo, in attesa della definitiva veste tipografica, Turning doors, secondo capitolo di una ideale trilogia che si concluderà, stando alle intenzioni dell’autore, per le strade e gli alberghi di Parigi, inseguendo il fantasma di Raymond Roussel sotto lo sguardo vigile e complice di Leonardo Sciascia.

Da Torino a Firenze. Dall’Albergo Roma alla Pensione Annalena. Dalla voce perduta in cui trovò l’estremo riparo Cesare Pavese, alla finzione irresoluta in cui Eugenio Montale costringe e alimenta la sua ossessione, e vi dimora. Dall’imago carnale di Constance Dowling alla corporeità aurale di Irma Brandeis. Un filo sottile lega indissolubilmente questi luoghi ai destini che li hanno attraversati, lasciandovi tracce e indizi che, a un passo dall’oblio, chiedono il conforto di altri occhi per rianimarsi e parlarci di nuovo dalle periferie di esistenze e storie interminate. Ed è su questo filo, invisibile come un trasalimento senza nome, che corre la quête moreliana, ironica e vitale, di Angelo Cocchinone, irrequieto esploratore d’ombre, sempre in bilico su una domanda di cui cerca testardamente di definire il senso, proprio mentre è già un passo oltre l’attesa di una qualsiasi risposta. Egli sa bene, infatti, che ogni rivelazione possibile non potrebbe essere nient’altro che un frammento strappato all’immobilità di altre vicende, di altre taciute, indicibili solitudini: un lampo che si insegue per la durata in cui brilla, tesi e compresi nel desiderio, in forma di speranza, che qualcosa della sua scia rimanga a illuminare un tratto del nostro cammino, prima di ritornare definitivamente alla cenere dalla quale, per antico e rinnovato sortilegio della scrittura, è evaso. Egli cerca, allora, fruga, raccoglie, in perenne disincantata fuga, immerso in questa precarietà ben dissimulata dalla febbre che lo anima, come tutti coloro che si muovono abitati e sorretti soltanto dall’interrogazione disillusa che portano scritta sulla loro pelle, dal carico di parole che si confondono proprio quando sembrano più chiare, dai suoni familiari destinati a perdersi alla prima sosta, dietro il primo angolo di quiete apparente. Si vive, sembra dirci, seguiti come un’ombra da un’eco superstite, che si manifesta, a volte all’insaputa di ogni più vigile attenzione, con la stessa intensità e la stessa feroce finitezza, o con la dolcezza inconsapevole e inconfessabile, della passione: l’istante in cui riprende membra, lineamenti e voce negli specchi di una memoria che da sempre ci appartiene.

Ho il piacere di offrirvi, di seguito, il Prologo e, in un successivo post, una Suite che è anche una splendida, rivelatrice lectio di esegesi montaliana tutta al femminile. Buona lettura. (fm)

Turning doors

(La veranda di Montale)

Prologo

    

– Piazza della Signoria? Guardi, è semplice. Continui lungo questa strada fino a Hèrmes, poi non alla prima, ma alla seconda, ha presente dove c’è Armani, ecco, bene, a quel punto giri a destra. Vada dritto fino a Max Mara, sa, di fronte ai negozi Camper e la piazza, beh la Piazza se la trova davanti. No?

Faccio un cenno di riconoscenza, improvviso un sorriso. Molto più semplice detto così, a ben pensarci, che dire “attraversi Palazzo Pitti, superi Santa Croce e una volta al Duomo…” Sono a Firenze. Città d‘arte, si diceva una volta. Ci rimarrò due giorni, pare. Quando l’assessore, l’assessora mi ha convocato, nessuno poteva immaginare che avrebbe mandato me. Proprio me, che già mettevo sul conto il prezzo che avrei pagato in seguito, quello che i miei colleghi anziani, i comunali comunali, e non un consulente, mi avrebbero fatto pagare. Una prova, sicuramente, ecco perché avevo accettato. Alla soglia della fine del contratto e con la speranza che me lo avrebbero riconfermato. Ma poi lo speravo davvero? Da una parte sicuramente sì, il portafoglio a destra, il cuore a sinistra, e via dicendo; e nel caso in cui non lo avessero rinnovato… beh tanto peggio. Un salario non è lavoro, no? E in un anno e mezzo quante facce ho incontrato, ho visto passare dalla stessa scrivania in cui sono ora. Leggermente più piccola rispetto alle altre, destinata a consulenti e stagisti. Il computer è un testimone che ognuno si passa per un’ipotetica corsa da corso delle cose, per amministrare beni pubblici e privati, e sul desktop rimane sempre una traccia di quello che ce l’aveva prima. Non l’account delle mail che sparisce in un attimo, si disintegra al semplice comando di un giovanissimo operatore del CSI, del reparto informatico che nemmeno sei mesi prima ti aveva consegnato le chiavi dell’armadietto. Hai presente i magazzinieri delle caserme, con le scaffalature allineate e coperte, su cui polverosi cartellini scritti a penna designano le taglie? Cinquanta-quattro, cinquanta-cinque. Anche adesso sono i numeri delle password a stabilire da quando e come farai parte di un esercito regolare al servizio del buon governo delle città. A Torino ci sono 13.000 impiegati, tra cui maestre, bidelli, cantieristi, fattorini, giardinieri, ripartiti in divisioni e settori. Io appartengo, ma non per molto, alla Divisione Suolo Pubblico e Arredo Urbano, e il mio settore è Rigenerazione Urbana.
Castrovilli è un livello D3, io consulente con un contratto a progetto. Che fino a qualche giorno fa, a una settimana dalla scadenza, credevo essere giunto al capolinea. Ieri mi hanno prorogato a data da destinarsi il rapporto di collaborazione. Per via di questa missione a Firenze. I colleghi, tranne Castrovilli, comunale comunale che ha la scrivania più grande nello stanzone in cui siamo in cinque, non erano né felici né sorpresi. Diciamo indifferenti. Perfino Germana, segretaria di direzione e salda al comando della piccola ed efficiente macchina del timesheet dei consulenti, non se l’aspettava.

    

– Angelo, tu lo sai, per te è diverso, è stata veramente una bell’esperienza averti con noi, ma mi sa che quelli non ti rinnovano il contratto, a meno che…
     – A meno che?
     – Non succeda qualcosa. Un imprevisto. Perfino per loro, e che renda necessaria la tua riconferma.

Per lei quelli del CSI hanno chiuso un occhio, meglio i filtri dei software giudicati inessenziali al buon svolgimento dei propri compiti, all’operatività. Il suo PC è una miniera di programmi d’ascolto e visione, e così una volta la settimana si organizza un cineforum, il venerdì pomeriggio, quando tutti sono via. Quando sono entrato nell’ufficio dell’assessore, dell’assessora, poi, mi è parso perfino che sorridesse. Sicuramente s’era data una spinta con i piedi dalla pedana – altro segno di privilegio per gli impiegati a contratto – e dopo aver selezionato dalla playlist la canzone dei CCCP che fa io sto bene, io sto male, io non so dove stare…, l’aveva mandata ad un volume sostenuto.
Ora però sono a Firenze, in collegamento diretto con Castrovilli. Che sa il mestiere suo e in modo diretto senza fronzoli mi dice cosa fare in un caso e soprattutto cosa non fare imperativamente in un altro per dare un valore alla trasferta. Intanto però non lo tengo affatto informato di come sono andate le cose, veramente per il semplice fatto che qualsiasi cosa io possa avere detto o fatto lui ribatterà:

    

– Ma allora sei proprio un piciu, zio fauss, ma lo vuoi capire che così ti giochi ogni opportunità. Ricordati la regola prima del codice PL, quando fa caldo si suda e se il capo suda gli viene il nervoso. Quindi mettitelo bene in testa, meno ti agiti, meno si incazzano.

Questo naturalmente a prescindere dalle cose dette o fatte. Si comporta come un sergente al campo, che comunque vada deve marcare il territorio, la distanza non tanto tra te e lui, ma tra te e il mondo. Tu da una parte, e il resto, il mondo dall’altra. Quando esagera poi mi invita a cena, che cucina da Dio e si mette in canottiera e mutande, e si commuove al terzo bicchiere su una storia partigiana o di fabbrica negli anni Settanta.
Con Viola invece ci telefoniamo. Viola è un’amica, forse di più. Lei fa tutt’altro da me, è architetto, si occupa di arredo urbano. Ecco, lei è e io faccio. Uno è ingegnere e fa il professore, quell’altro è ragioniere ma fa l’informatico. Io sono laureato in filosofia e faccio il consulente. Il papà di Viola, dermatologo, – le persone le sento a pelle, dice sempre – in una delle volte in cui ci siamo incontrati, forse proprio la prima sera, che sono davvero persone per bene, non di certo una schiena dritta, dopo che gli avevo spiegato cosa facessi, e per chi, però non da sempre e ancora per poco, cioè comunicazione, un po’ di logistica, riunioni operative, redazione testi per i siti, traduzioni dal francese e dall’inglese, ha abbassato lo sguardo per rialzarlo subito dopo aver spento la sigaretta e mi ha detto:

    

– Angelo, scusami se te lo dico, ma non ho mica capito cosa fai per vivere!

Se è per questo nemmeno io, a pensarci bene. In questo momento so solo una cosa ed è che domani il sindaco di Firenze insieme all’assessore Fragassi, assessore all’urbanistica, aprirà i lavori che vedranno impegnati i rappresentanti delle maggiori città italiane, che si sono distinte in iniziative politiche di trasformazione delle aree extra-urbane per facilitare tutti i processi di integrazione tra le fasce più deboli dei cittadini e la migliore inserzione delle nuove classi di immigrati.
In verità a quella tavola rotonda ci dovevano essere assessori o dirigenti per stabilire un protocollo comune da presentare poi ai ministeri competenti. Ma l’incombenza della crisi in molte delle amministrazioni locali, in parte sicuramente legata alla débâcle appena consumata nelle elezioni regionali, aveva costretto gli assessori a scegliersi un rappresentante piuttosto che abbandonare, seppure per pochi giorni, una poltrona che in un battibaleno un concorrente poco leale avrebbe potuto sfilargli da sotto il culo. E così, quando mi sono presentato al municipio di Firenze per registrarmi al convegno, la prima reazione di panico m’è venuta quando la segretaria mi ha guardato in faccia e mi ha chiesto:

    

– Sì, ma lei di cosa si occupa esattamente?
     – Consulente di primo grado, divisione Suolo Pubblico, settore Rigenerazione Urbana. Più chiaro di così – avevo aggiunto con un sorriso.

La stessa risposta che avevo dato al papà di Viola, e che mi era parso rassicurarlo.

 

***

10 pensieri riguardo “Turning doors (I)”

  1. Francesco, a volte, mi sembra un segugio, capace di raccogliere gli odori e le tracce di vita nascoste nei luoghi dei suoi “maestri”, cui poi dà materia di vita e movimento attraverso l’irrequietezza “disillusa” e profondamente “solitaria” di chi vive in bilico tra gesti, luoghi, odori e precaria appartenenza, con la consapevolezza che tutto si ridurrà solo in un repentino “passaggio”.
    L’unica possibile eredità è la memoria, cui Francesco offre materia d’incanto attraverso la semplice veridicità con cui racconta e fa rivivere l’uomo operando una sutura metafisica tra luogo ed esistenza.

    (grazie fm e un caro “in bocca al lupo” ad effeffe)

  2. Fa oramai parte del dna d’un comune cittadino definire la toponomastica di una città attraverso quella delle merci esposte, e bravo effeffe ad averlo sottolineato all’incipit. Con quelle indicazioni, è indifferente trovarci a Firenze, a Parigi o a Tokyo, siamo comunque sempre nel cuore della città globalizzata.

  3. Le prime cinque righe valgono un intero trattato di antropologia urbana.

    La chiosa: “Sono a Firenze. Città d’arte, si diceva una volta.”, vale da sola il prezzo del biglietto: parecchi editoriali in nove parole.

    fm

  4. Grazie mille all’unica effeemme in grado di fare da radio pirata dell’etere. Non era mia intenzione rendere pubblica un’opera ancora sospesa al responso dei tour operator dell’editoria. Mi fa piacere che avvenga qui il suo esporsi, porsi fuori, sperando che possa il marotta, come in passato, portare fortuna al furlen. besos
    effeffe

  5. Vedrai che la fortuna arriverà, di sicuro. E a breve, anche.
    Se così non fosse (ma ne dubito assaje assaje), se tardasse, ti presento nel frattempo Fortunata, una mia vecchia amica…

    Bèsos mùcios.

    fm

  6. Dopo la voce di Pavese, lo sguardo di Montale. Attendo l’opera. Effeffe è un argonauta della parola. FMarotta è un oracolo.
    Grazie A Voi.
    PVita

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