Other Signs, Other Circles – di Annamaria Ferramosca

Ultimo di una serie che propone in versione bilingue poeti italiani contemporanei ai lettori americani – e non solo -, questo libro mostra le vie “dei segni” esplorate da Annamaria Ferramosca lungo un ventennio di scrittura poetica. Qui scorrono, come stazioni dense di stupore e interrogazione, testi tratti dalle sue precedenti raccolte (Il Versante Vero – quello dell’autenticità nella scrittura -, Porte/Doors – i molteplici varchi dello sguardo -, Curve di Livello, – le possibili vie umane dell’incontro), inclusi altri più recenti testi inediti dalle inaspettate visioni.
I segni raccolti dall’autrice si sgranano alla lettura incidendo in profondità, invitando a scambiarsi le parole del vero sentire, come suggeriscono in copertina gli alfabeti del mondo incisi sulla parete della nuova Biblioteca di Alessandria. E’ così possibile seguire l’evoluzione di immaginario e stile di un’autrice che avverte la scrittura poetica come destino, e insieme essere investiti da quel misterioso senso di straniamento della poesia, che nasce dall’urto fertile con la vita e si offre all’ascolto del nostro malessere e all’ininterrotta domanda di senso. Pagine, queste, che additano le parole come gli anelli necessari alla tenuta “dei cerchi”, quelli desiderati e irraggiunti della mutua comprensione e del dialogo solidale. E necessaria appare anche l’accuratissima versione inglese di Anamaría Crowe Serrano, cui pure si deve l’esauriente e appassionata introduzione.

 

Annamaria Ferramosca, Other Signs, Other Circles (Poesie edite e inedite 1990-2009 in versione bilingue), Introduzione e traduzione a cura di Anamaría Crowe Serrano, New York, Chelsea Editions, Collana “Contemporary Italian Poets in Translation”, 2009.

 

POESIE INEDITE/UNPUBLISHED POEMS (2007-2009)
(Per gentile concessione di Chelsea Editions, N. Y.)

 

EVOLUZIONE DI UNA PERFORMANCE

vorrei dirvi -no- piuttosto dirti
la mia poesia, vorrei
da te ascolto lancinante
risposta acuminata
come fossimo solo noi due
con l’oceano nel mezzo
e ti stessi scrivendo
la mia lettera estrema, di consegna

così non mi esibisco
m’invento una parabola
più o meno acuta
più o meno musicale
per chiederti una maglia
alla rete da lanciare
noi tutti in mare

se solo qui e subito ognuno
salendo sul mio palco
dell’incertezza
mi rispondesse muto
– in mano la sua lettera –
sarei il più raggiante dei vincitori
in questo silenzio
che ci esplode in segni

EVOLUTION OF A PERFORMANCE

I don’t want to tell all of you my poem
just you, I’d like
piercing attention from you
a sharpened response
as if there were just the two of us
with the ocean in between
and I were writing you
my last letter

that way I can’t show off
I invent a parable
more or less clever
more or less musical
to ask you for some mesh
for the net we will all cast
out to sea

if only here, and now, everyone
climbed onto the stage
of my uncertainty
and gave me a mute reply
– holding my letter in their hand –
I’d be the most radiant of victors
in this silence
exploding into signs around us

 

EXTRANEE STRUTTURE

sul monitor sei
senza tregua né appigli
guardo le tue pupille mai sazie
di lumi extranei
sulla tua fronte inquieta piove
un’insidia di voci tenuissime
dall’accesa coppa virtuale

hai sulla testa
non un antiquato, di certo, serto di lauro
ma una lucida tecnocorona
barbara, sfolgorante. La mente
– che non ha chiesto protesi –
                             vacilla

XTRANGE STRUCTURES

you’re at the monitor
with no truce or hold
I look at your pupils never sated
by xtrange lights
a snare of very faint voices
rains on your anxious brow
from the vivid virtual cup

on your head you sport
not an ancient laurel wreath, of course
but a bright technocrown
barbarous, dazzling. The mind
– not having asked for a prosthesis –
                                      boggles

 

BIONANOSTRUTTURE

avrò anch’io, come il geco nelle zampette
in qualche area inesplorata del cervello del cuore
sterminati minimi bioappigli
                                            angstrom
capaci di sorreggere
il tuo peso sfrontato di bastione

ti sostengo
urtando urlando contro il cielo
mio masso di Stonehenge
col tatuaggio del nome tuo ripetuto
in finissime impronte
– come sulla foglia di loto –
                            sul mio petto

BIONANOSTRUCTURES

maybe, like the gecko’s little legs
some unexplored part of my brain or my heart
also has tiny infinite angstrom
                                       bioholds
capable of bearing
your shameless bulwark weight

I hold you up
my Stonehenge boulder
pounding shouting at the sky
your name repeatedly tattooed
in gossamer impressions
– as on a lotus leaf –
                          on my chest

 

GRANDI MADRI DI MALTA

equivalenza dell’aspetto fertile del tempo
a questa madre
feliceobesa guardiana di Tarxien
curvilinea di abbracci

semplicità del corpo senza necessità di scrittura
parola sazia sacrale
indicando la direzione morbida innocente

doni di granomiele e seme
inarcano i fianchi
il ventretempio imita il cielo
le nove lune trascorrono
in sonno largo di incontri

madre dormiente in preascolto del vagito, pure
                                       del nostro lamento

GREAT MOTHERS OF MALTA

the fertile aspect of time
is equivalent to this mother
a happyobese guardian of Tarxien
curvilinear with hugs

the simplicity of her body needs no writing
like the sated sacred word
pointing out the soft innocent path

gifts of honeywheat and seed
curve her thighs
her wombtemple imitates the sky
the nine moons go by
in a long slumber of encounters

sleeping mother wakeful to the newborn’s cry, even
                                                     to our lament

 

UN’ARIA DI FORESTA MI BATTE SULLE GUANCE

un’aria di foresta mi batte sulle guance
sto volando
a braccia distese esploro un sogno
siamo voci in stormo
come in cammino su un sentiero d’aria
con la conchiglia la veste monacale
         la sera irradia pulsazioni di canto

sto scrivendo
della mia stanza dell’incertezza
nel bagliore tenue dello schermo
che sottrae voce, emoticons
a surrogare parole-carezze sulla pelle          pelle
che almeno scorticasse
della superbia della competizione
della frazione ormai plasmatica del male
oh quanti siamo in astinenza
e la dose d’amore intravista
è materia immigrante, flusso peligroso
frutto ibridato – era mela divina –
a marcire negli angoli

sorvolo l’area desertica, le oasi antropiche
                                        della distanza
anche l’area temperata, antropofaga
                         a macchie urbane

sto scrivendo
della mia illusione sulle fondamenta
molle cemento in lenta subsidenza del desiderio
sentirmi lambire da lingue-incendio          lingue
a parlarsi, poi
                  solo scintille    buio

il risveglio sarà per-voce, ancora          voce
canto battesimale, onda di madre
scalderà d’accoglienza sangue, cellule          cellule
cresceranno ancora nel timore di spegnersi
nella tragedia che ancora accade
l’odio l’incendio il trasporto dei padri sulle spalle
Enea in cammino fino all’Antartide

sto guardando
la foresta giù che lampeggia
il verde corpo disteso beneaugurante
a vegliare sui flussi naturali, sui nuovi nati
– potrebbero tecnomorire – o puri
tornare a correre sulla pianura    salvarsi
di diluvio in diluvio

A FOREST BREEZE BLOWS ON MY CHEEKS

a forest breeze blows on my cheeks
I’m flying
exploring a dream arms splayed
we are voices flocking
as if en route on a path of air
with our shell our pilgrim’s robe
        evening radiating on the pulse of song

I’m writing
about my room, its uncertainty
in the soft glow of the screen
that steals the voice,
emoticons
replacing word-caresses on my skin          skin
if only it would shed
pride competition
the now plasmatic fraction of evil
oh how many of us are deprived
and the dose of love we glimpse
is immigrant stuff, a perilous flux
hybrid fruit – apple that once was divine –
rotting in a corner

I hover over desert ground, the anthropic oasis
                                                          of distance
over temperate anthropophagous ground too
                                               dappled with towns

I’m writing
about the foundations having deceived me
soft cement subsiding slowly with my desire
to feel fire-tongues licking me        tongues
speaking to each other, then
                 mere sparks      darkness

we’ll be woken by the voice, once more     voice
baptismal song, a maternal wave
will warmly welcome blood, cells        cells
will grow again afraid of being extinguished
in the tragedy that is still unfolding
hatred fire fathers carried on our backs
Aeneas en route to Antarctica

I’m looking
at the forest flickering below
its green body auspiciously outstretched
watching over the natural flow, over the newborn
– they could die a technodeath – or remain pure
running through the plain once more         be saved
between one deluge and the next

 

LO CHIAMANO ABITARE

lo chiamano abitare: si rotola
sul confine tra deserto e una terra
insolente di promesse, sterile
per dismisura di pianto
eufrate e tigri insabbiati
nel salino di lacrime
perdo lo sguardo smémoro la luce
– sclera bianca –
non riconosco la tua casa che brucia
la tua voce che calma

è l’amen della notte questo cielo
polvere raggelata
accade con l’imperfezione annunciata
il riproporsi ostinato del sangue
il dibattersi vano di parole nell’inchiostro dei secoli
storia illudedelude
verità tradiscetrasgredisce:
due civette dai grandi occhi impassibili
stanno -sfrontate- sui Grandi Libri
su ogni colonna miliare o torre ambigua
di avvistamento di controllo
minaretocupolacampanile
tu solo mi raccogli, amore
nel tuo cesto di scintille
in tempuscoli di tuono

siamo mandorle di luce nella coppa del buio
minime caparbie vibrazioni
lasceremo tracce di un approdo
un viluppo tremante al riparo

THEY CALL IT LIVING

they call it living: we spin
on the border between desert and an insolent
land of promises, made sterile
by an excess of sorrow
euphrates and tigris buried in sand
in the salt of tears
I lose my sight the memory of light
– white sclera –
unable to recognize your house burning
your calming voice

this sky, frozen dust
is the night’s amen
the obstinate reemergence of blood
the vain flapping of words on the ink of centuries
come with announced imperfection
history disappointsdeceives
truth betraystransgresses: two owls
with their large impassive eyes
pose – impudent – on the Great Books
on every milepost, or ambiguous
lookout or watch tower
minaretcupolacampanille
you alone pick me up, sweetheart
in your basket of sparks
in the briefest moments of thunder

we are almonds of light in the cup of darkness
little stubborn vibrations
we’ll leave traces of our mooring
a trembling embrace in a shelter

 

PAESEMONDO

           Un paese che si chiama Cocumola è
           come avere le mani sporche di farina
           e un portoncino verde color limone.
           Uomini con camicie silenziose
           fanno un nodo al fazzoletto
           per ricordarsi del cuore

                              Vittorio Bodini

ritorno pellegrina
a uno spazio d’equilibrio
sommerso di luce orientale
mia casa-paese protetta che protegge
             senza recinti

attraversarla è penetrare
una calda coerenza
un racconto vivo che non si ferma
             oltrepassa i muri

partire è lasciarsi dietro un mondo
le sentinelle accese su ogni soglia
non atterrisce nessuna terra dei giganti
flebile ogni canto di sirene

la nostra piazza è centro che dilata
cerchi di parole, urti semplici
a dipanare vita, tenere accesi i fuochi

quelle foto in cortile, da bambini
              occhi neri vivissimi
frenesia di giochi mai interrotti
ai quattro cantoni del mondo

tatuata casa-paese che con noi cammina
ovunque, sotto l’unico cielo scritto dalle stelle
                    paesemondo
                 per vivere, con-vivere

VILLAGEWORLD

           A village called Cocumola is
           like having your hands covered in 2our
           and a green lemon-colored wicket door.
           Men wearing silent shirts
           tie a knot in their handkerchief
           so as to remember the heart
                              Vittorio Bodini

I return as a pilgrim
to a place of equilibrium
submerged in eastern light
my protected home-village protecting
             without fences

crossing it means penetrating
cosy coherence
a living story that never ends
             that transcends walls

going away means leaving a world behind
with watchmen alert at every doorstep
no land of giants instills fear
every siren’s song is faint

our piazza is a hub that expands
circles of words, simple knocks
that unravel life, keep the fires burning

those photos in the courtyard, us as kids
             with our vivid black eyes
the frenzy of games never interrupted
tig in the four corners of the earth

tattooed home-village that walks with us
everywhere, under the one sky inscribed with stars
                              villageworld
                           to live in, love in

 

SARAI FAMOSA

accende la stanza intera, dal video
frenetica
la tua pelle in moto, giovane e inerme
aggredisce
invaso da suoni lucidi il corpo
inconsapevole trasmuta
sintetico

come hanno potuto dileguarsi
tutte le fiabe che ti avevano nutrita
arretrare tutte le leggende
addensarti Nausicaa iperflessuosa
nel moto convulso che ti svela
occhismarrita efémera di una notte
fragile di troppa attesa

poi ti sembra di udirlo, dal buio
oltre l’ultima fila, il fruscio
qualcosa-qualcuno
              che s’allontana

Raccolgo da terra braccia, gambe
ti riassemblo a fatica
              per un altro palco

YOU’LL BE A STAR

the whole room lights up, on the video
frenetic
your skin in motion, young and defenseless
attacks
invaded by gleaming sounds your body
unconsciously transmutes
synthetically

how could all the fairytales
that fed you have dispersed
all the legends withdrawn
made you, super-supple Nausicaä, heavy
in the convulsive moves that reveal you
as ephemeral, losteyed for one night
frail from so much waiting

then you think you hear it, in the dark
beyond the last row, a rustle
someone-something
                            leaving

I pick up fallen arms, legs
painstakingly rebuild you
                            for some other stage

 

AVESSI AVUTO FIGLIE

le avrei chiamate con nomi di fiori
Amarilli Artemisia Ninfea risvegliate dal mito
Salvia Veronica Eufrasia benedictae

nel giardino dei giorni, un fiore quotidiano
con cui ridere del mondo e cantare riordinando la casa
– ragnatele smagliate dall’urto dolce del canto –
mi sarebbe bastato, anche se
i fiori mai rivelano il loro breve segreto
solo a sera raccontano
aromistupori del giorno
e il più giovane in boccio può interrogarti
sul senso ambiguo del fuoco
e tu non puoi che rispondere
serve alla civiltà

petali fuori posto avrei sistemato
aerei ikebana avrei insegnato
ceduto a nuove geometrie-autonomie
sofferto pure dello sconfinare
di profumi ribelli
fior di progetti avremmo ideato
perché i fiori sanno di simmetrie e fantasticano
di volatile rugiada e foreste imbattibili
le nostre asimmetrie e dismisure
trasferite sui rami, ingoiate dai venti
i fiori accettano
la brevità del colore, lo spegnersi
del fruscio vitale al tramonto

lasciarmi sfiorire
appoggiata a uno stelo filiale
attendere
sull’orlo dei calici la fioritura

HAD I HAD DAUGHTERS

I would have named them after flowers
Amaryllis Artemisia Lily waking them from myth

benedictae Sage Veronica Euphrasy

in the garden of days, a daily flower
to laugh with about the world and sing through the chores
– cobwebs ripped by the sweet impact of song –
would have made me happy, even if
flowers never reveal their fleeting secret
recount the heady scents of the day
only at night
and the youngest, still budding, might quiz you
on the ambiguous nature of fire
and all you can say is
it’s useful for civilisation

I would have tidied wayward petals
taught them airy ikebanas
given in to new geometries, autonomies
even endured rebellious perfumes
wafting across the boundaries
our best plans would have flowered
because flowers know about symmetry and fantasize
about the volatile dew and invincible forests
our asymmetries and excesses
transferred to the branches, swallowed by the winds
flowers accept
the brevity of colour, the dimming
of life’s rustle as the sun sets

I’m withering now
against a filial stalk
waiting on the edge of the calyx
for the bloom

 

NOI ETRUSCHE

da voi parole- pietra, telepatiche
perché lungo il tempo
mai abbiamo smesso di parlarci fitto
sul bordo di labbra in sorriso
coprendovi lo sposo – lui convinto –
col braccio le spalle per il viaggio

noi furtive e ironiche
abbiamo già solcato quel mare languido
nella decisione che sarà più largo e pacifico
e maternale tutto ciò che da aruspici
abbiamo divinato
l’attesa a noi si addice
e la festa, nel tempo di Horta delle messi
e di Feronia che fa correre in seno il latte
ancora per le mensa d’aprile prepariamo
l’agnello primo nato
                         e mandorle e miele

la danza a noi si addice, muove
solo per corde e voci, a ottundere
l’ultima eco di lame – fluttuano
ancora, agli uomini dietro la fronte –
a cancellargli il canone del rosso
rossa pelle di rosse vittorie
cantiamo il ruotare di lune
sulle ombre azzurre dei rami dei nidi

noi etrusche oggi, fianco a fianco
a liquefare il ferro delle spade
in conche d’esorcismo
e parole e parole a modellare
la vita in forme vive:
sostegni per la vigna, sedie
               per i racconti della sera

WE ETRUSCANWOMEN

from you we have stone-words, telepathic
given that over time we’ve
never stopped talking to each other intently
from the corners of smiling lips
with your husband’s arm – confidently –
round your shoulders for the journey

we, furtive and ironic
have already sailed that sentimental sea
knowing that everything we’ve foreseen
as aruspices will be wider, more pacific
and maternal
the wait suits us
and the feast, in Horta’s season of harvests
and Feronia’s that makes milk flow in our breast
once more for the April table we prepare
the first born lamb
                         and almonds and honey

the dance suits us, it moves
only with chords and voices, blunting
the last echo of blades – still
floating in men’s heads –
erasing the red tradition
the red skin of red victories
we sing the moon’s rotation
on the blue shadows of branches, of nests

we etruscan women today, side by side
liquefying all the iron of swords
in exorcistic bowls
and word upon word we model
life into living forms:
stakes for the vineyard, chairs
                for night-time stories

 

UN INFINITESIMO BIANCO

(Dal tg RAI del 26 dicembre 2008:
Prende fuoco una baracca nella pineta di Castelfusano.
Nell’incendio muoiono una donna romena di
33 anni col suo bambino.)

un infinitesimo bianco
un assestamento del pensiero – brevissimo –
sulla rovente prossimità del volo
sull’ultima tessera a comporsi

– ha tre anni mio figlio
e un respiro di resina nel sonno
ecco che allatta alla mia cenere
sul palmo delle mani abbiamo un marchio
a fuoco, di pinoli e bacche d’agrifoglio
ieri ne raccoglievamo ridendo
in lite con i merli –

A SPLIT SECOND OF LIGHT

(From RAI News, 26 December 2008:
A fire has broken out in a hut in the Castelfusano pine forest.
A 33 year old Romanian woman and her child
have died in the blaze.)

a split second of light
a thought settles – ever so briefly –
over the burning proximity of Oight
over the last piece of the mosaic to be laid

– he’s three years old, my son
and breathes resin in his sleep
now he’s suckling on my ashes
on the palms of our hands we have the flaming
mark of pine nuts and holly berries
yesterday we were laughing as we collected them,
fighting off the blackbirds –

 

UN LABIRINTO INCISO IN LINEARE B

un labirinto inciso in lineare B
sigillo interno
da sempre nasce con noi
ci segue ci segna

come nel gioco a quadri quando
disegnavamo in terra una campana
vita percorsa a balzi, intrico che dipana
bambine-Ariadni attente
a non calpestare il limite
mentre ostinati i piedi battevano
sulle sbarre del mondo
i voli, gli arresti smarriti

un labirinto in sinuosa traccia danzante
che di continuo inverte il moto
in ricordo dello sperdimento scuro
della biforme vinta creatura
ancora oggi mito
ogm-chimera

ci salva la donna dei gomitoli
signora del labirinto
con le sette stanze dello stupore
nella sua cavità delle nascite
offrirle un vaso ebbro di miele
un grazie danzato tutti legati a un filo
nel buio dei meandri chiaro s’avvolge
si svolge irresistibile
uno scialle si agita nella danza del ragno
Aracne annoda e snoda la sua tela d’incontri

A LABYRINTH ETCHED IN LINEAR B

a labyrinth etched in linear B
an internal seal
from the beginning born with us
following us branding us

like the hopscotch squares
we drew on the ground, a life-path
travelled in hops, the intricacy unravelling
we, little Ariadnes careful
not to cross the boundary
while our feet obstinately beat
against the bars of the world
the flights, the bewildered stops

a labyrinth in its sinuous dancing trail
that keeps inverting motion
recalling the dark disorientation
of the defeated bi-form creature
the GMO-chimera
still a myth today

we are saved by the lady with the ball of fleece
mistress of the labyrinth
with the seven rooms of wonder
in her cavity of births
we’d like to offer her a drunken cup of honey
a dance of gratitude all linked by a thread
in the darkness of the meanders a shawl winds
irresistably unwinds
flaps in the spider’s dance
Arachne knots and unknots her web of encounters

 

TECHNE
(come si scolpisce un santo)

centrali le mani nel cercare
la chiave d’una porta materica
mentre indietreggia l’aria e accade
il pigreco dell’attesa
sbozzato profilo di padremadre
pietra di accumulato amore eviscerata
forma improvvisa che respira
                                   altro occhio

energia palpabile di roccia, vibrata
da nodi antichissimi, disfatti
febbrili polso e dita
segnano l’aria di voli di brusii
soffiano dall’incavo nebbiolina marmorea
come mano di madre che deterge
del latte il mento del neonato

centrale, il santo Kevin
sasso addensato in beatitudine
nella fissità illimite obbediente
parolapietra di venerazione
a braccia tese il santo Kevin
col palmo aperto fuori dalla finestra
a far da nido al merlo che vi si era posato
                                  fino alla schiusa

TECHNIQUE
(how to sculpt a saint)

central to finding the key
to a door made of matter are hands
while air recedes
and the awaited greek pi appears
the rough profile of a motherfather
accumulated love in stone, eviscerated
an unexpected form that breathes
                                         another eye

rock’s palpable energy, throbbing
from ancient nodes, undone
feverish pulse and fingers
etch the air with flights and murmurs
blow marbled mist from the hollow
like a mother’s hand wiping milk
from the newborn’s chin

central is Saint Kevin
stone made solid in its bliss
in its limitless obedient fixity
stone-speech to be venerated
with arms outstretched Saint Kevin
opens his palm outside the window
as a nest for the blackbird that alighted there
                              till it was time to hatch

 

NONOSTANTE IL SOLITO PAESAGGIO

nonostante il solito paesaggio
il nuovo deve compiersi
assumerò il tuo viso a mio nirvana
dall’angolo acutissimo della consistenza
i tuoi occhi
              frecce di parole
mi raggiungevano
fino a ferirmi di rinascita

rimane ora il silenzio
tuo aereo ensemble di suoni
l’evanescenza cauta della bellezza
questo moto supernaturale del corpo
consonante alla salita di questa linfa d’aprile
alla ferocia struggente dell’abbandono
dicevi mai sarà tempo di lacerazioni
solo tepore d’onde in cui tuffarsi
seguendo l’espandersi dei cerchi

– ancora la tua voce –
ora che giocallegro a calcetto
mio ragazzo nuovo delle tue cornee
i tuoi occhi
              fatti per sommuovere

DESPITE THE USUAL LANDSCAPE

despite the usual landscape
I must find new ways of moving on
I’ll feign your face in my nirvana
from the most vivid angle of your being
your eyes
           word arrows
used to reach me
till they wounded me with rebirth

now there is silence
your airy ensemble of sounds
the evanescense of beauty
this supernatural movement of the body
in harmony with the rise of this April lymph
with the disconsolate ferocity of abandonment
you used to say there’ll be no more time for grief
only the warmth of waves to dive into
following the rings as they spread

– still your voice –
now that this boy happy-kicks
his ball, renewed with your corneas
your eyes
           made to move

 

NASCITA
        per Annina, figlia di Maria Grazia

il tuo tuffo albale l’odore
di nebbia del premondo
ti hanno lavato via dalla pelle
la vernice del caos
sei nel mare d’ossigeno e d’occhi
coi pugni stretti bussavi
che si lacerasse il morbido scafo
il cielo si è incurvato
sul tuo battere di vele al passaggio

facile seguire la corrente
su scie di madre-musica, voce ag-Graziata
sei scivolata in un fascio di papaveri
su questa terramara di palafitte
che ancora ondeggia, non sorregge i giacigli

ti siano dolci il canto-latte, i fiori sulla riva
le curve morbidissime dei ponti
ti sia chiara la luce che già bevi
nella percezione di minime
costellazioni – scintillano
i denti di Arturo che sorride –
e già vuoi sulla pelle a tatuarti
le prime gocce ardenti di parole

felici ore a te, planata
sulle nostre ginocchia in preghiera
volerti prendere per mano
e tu a guidare

BIRTH
       for Maria Grazia’s daughter, Annina

your dive at dawn the scent
of mist from the pre-world
they’ve washed the waxy chaos
from your skin
you’re in a sea of oxygen and eyes
with clenched fists you knocked
so the soft hull would tear
the sky curved round your beating sails
as they went by

it’s easy to flow with the tide
in the wake of mother-music, its Grace-ful voice
you slipped into a host of poppies
in our terramara built on stilts
still bobbing, unable to hold up our pallets

may the milk-song, flowers on the riverbank
the gentle curves of bridges be sweet for you
may the light you already drink
be clear as you perceive the tiniest
of constellations – Arturo’s teeth
sparkling as he smiles at you –
and on your skin you already want to tattoo
the first ardent shower of words

may your hours be joyful, planing
on our knees bent in prayer
wanting to take your hand
so you can lead

 

SEMPRE PIU SPESSO DIMENTICO

sempre più spesso dimentico
dove ho parcheggiato la macchina
si somigliano tutte le strade
nel sentore del mare che avanza
nel confondente richiamo delle pietre
dall’ultima riva    un brusio
familiare soffia sulla nuca
sulle vele inarcate a proteggere
la mia traversata

là respira, in attesa
questa mia terra del moto selvatico
si stacca dal continente, in silenzio
come la zattera di Saramago

là devo accompagnare
tutti coloro che mi sono partiti
salvare le voci le mappe
i consigli di viaggio i contagi di luce

ecco perché con pazienza
da qualche parte la mia macchina aspetta

INCREASINGLY I FORGET

increasingly I forget
where I’ve parked the car
the streets all look the same
with their sense of the sea encroaching
with the confusing call of stones
from the last riverbed    a familiar
buzzing blows on the nape of my neck
on full sails that protect
my crossing

that’s where this land of mine breathes
with its wild motion, waiting,
it detaches from the continent, in silence
like Saramago’s raft

that’s where I must accompany
everyone who is gone from me
save the voices the maps
the travel advice the contagions of light

this is why somewhere out there
my car is patiently waiting

 

AL CAPOLINEA

salire sul 160, capolinea paziente
tra i due platani – sempre alla stessa ora –
muta solo l’umore, come le nuvole
                     uguale la mancanza

Il posto che preferisco è quello in fondo
al centro della fila orizzontale, il migliore
per assistere al film, puntuale:
piccola folla composta, in parte seduta in parte in piedi
si parla con sguardi, diffida di chi le sta accanto
        lo ama    lo cerca    lo urta
nell’inclinazione sottile dei corpi
ciecamente consegnata alla fatalità del moto
ognuno coprendo il suo cosmico tratto di asfaltocielo

E non so perché mi commuove
tutto di questo bus fendinuvole:
la marcia il freno i sobbalzi il contrasto dell’aria
il riflesso sul vetro del pianto stellare
il turbinio del sangue sottopelle
– nostalgia del bigbang – se il cuore
sta meditando di rallentare, predisporsi al viaggio

Guardo il treno correre nelle pupille di chi mi è davanti:
piccole locomotive accendersi – un bimbo mi fissa curioso –
curiosa anch’io di vedere la sua fermata di scintille
decido di non scendere ancora
mi abbarbico al sostegno di uscita
(il viale continua oltre la piazza ?)

Infine che cosa ho fatto se non
lasciarmi andare sulla scia dei nomi?
amicheamici che mi aiutate a scenderesalire
gioisco del vostro tocco    non so darvi in cambio
che qualche ritmo e un brusìo
di un arrivo lontano
                         che già è partenza

AT THE FIRST STOP

getting on the 160, the patient Nrst stop
between two plane-trees – always at the same time –
only the mood changes, like the clouds
                             while loss remains

my favourite seat is that one down the back
in the middle of the horizontal row, the best
for watching the film that punctually unfolds:
a small prim crowd, some sitting some standing
chatting with glances, mistrusting whoever’s beside them
        loving    searching    knocking against them
in the gentle give of bodies
blindly resigned to the inevitability of motion
everyone covering his own cosmic bit of asphaltsky

and I don’t know why everything
about this cloud-cutting bus moves me:
the speed the breaks the jolts the contrasting air
the reflection of wailing stars on the glass
the swirling of blood under the skin
– a hankering for the big bang – while my heart
is thinking of slowing down, preparing for the journey

I watch the train go by in the pupils of the person facing me:
little engines lighting up – a curious child stares at me –
as I am curious to see his sparkling stop
I decide not to get off yet
cling to the pole at the exit
(does the route go beyond the piazza?)

in the end what have I done except
wander willingly over a wake of names?
menwomen friends who help me get on and off
I rejoice in your touch    in return can only give
the odd rhythm and the hum
of my arrival long ago
                             that is already a departure

 

UNA LINGUASILENZIO FELICE LARGA PIOVE

una linguasilenzio felice larga piove
penetra cantapetali dentro   nel
dentro innocente sanguelinfahumus
permea senso        senza
metallo che risuoni

da muro a muro da spina a spina
i dispersi al tocco sussultano si stringono
di fronte è la gelida notte
lontane le due torri come mammuth
emersi domani dalle nevi

ecco che galleggia sopra di me un Atlante
di sperdimento        avvampa
così intensa la musica
ha forma d’arpa il telaio
tutti quei pesi di terracotta
a piombo come ghigliottine
ora stanno in levità di vibrafoni
nel primitivo piegarsi delle spighe
spose che vanno, culle
luce sul confine tra carezza e lama

abbiamo consegnato le ferite
insieme alle armi, preferito la festa
le lunghissime tavole sonore
il miele delle nozze diffuso
tornare nudi su terra nuda
farsi gola d’agnello mille volte
se occorre ancora sangue
per il gocciolio della fine

porte del mondo che ritornano alberi
città come campi da seminare
illuminati a regno      piove
un silenzio-beatitudo
sonno infantile, lava che pietrifica

una fila di pietre da riscrivere

A LANGUAGESILENCE LONG AND HAPPY RAINS

a languagesilence long and happy rains
penetrates petalsongs inside   in the
innocent inside, bloodlymphhumus
permeates meaning with      without
metal that might resound

from wall to wall from thorn to thorn
dispersed people are startled by touch, reunite
faced with the freezing night
the two towers are gone like mammoths
emerging tomorrow from the snow

now the Atlas mountains float
over me       bewildering, burning
the music so intense
the loom looks like a harp
all those terracotta weights
like leaden guillotines
now light as vibraphones
among the primitive bending of wheat
brides ambling, cradles
light on the border between caresses and blades

we’ve handed over the wounds
and our arms, we’ve chosen the feast
its long boisterous tables
wedding honey flowing
we’ll return naked to naked earth
be the lamb’s throat a thousand times over
should blood be required once more
to drip slowly to an end

doors of the world back to trees
cities as fields to be sown
lit like kingdoms      it’s raining
beatitude-silence
a child’s sleep, lava that petrifies

there’s still a row of rocks to be rewritten

 

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Annamaria Ferramosca è di origine salentina e vive e lavora a Roma. Ha pubblicato in poesia: Il versante vero, Fermenti, 1999; Porte di terra dormo, Dialogo Libri, 2001; Porte / Doors , 2002, Edizioni del Leone (traduzione di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti); Paso doble, Empiria, 2006 (coautrice Anamaría Crowe Serrano, traduzione inglese di Riccardo Duranti); Curve di livello, Marsilio, 2006. Testi ed interventi critici sulla sua scrittura sono apparsi su numerose riviste e antologie, tra cui Poesia, Hebenon, La Mosca di Milano, La Clessidra, L’immaginazione, Le voci della Luna. Collabora con testi e note critiche a varie riviste, anche on line.

Anamaría Crowe Serrano, irlandese, scrive poesia e prosa. La sua raccolta di poesia più recente è Femispheres (Shearsman, 2008). Del 2003 è la raccolta di racconti Dall’altra parte (Roma, Leconte) e l’atto unico The Interpreter (Avellino, Delta3 Edizioni), entrambi tradotti in italiano da Riccardo Duranti. Assieme ad Annamaria Ferramosca ha scritto Paso Doble, dialogo poetico in inglese e italiano, tradotto da Riccardo Duranti (Roma, Empiria, 2006). Come traduttrice da italiano e spagnolo ha pubblicato traduzioni di, tra gli altri, Seamus Heaney, Brendan Kennelly, Elsa Cross, Gerardo Beltrán, Daniela Raimondi, Lucetta Frisa. Nel 2003 ha vinto con Riccardo Duranti il terzo Premio “John Dryden Translation Competition” per la traduzione di Didascalie per la lettura di un giornale, di Valerio Magrelli.

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Qui e qui altri testi di Annamaria Ferramosca presenti su Rebstein.
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31 pensieri riguardo “Other Signs, Other Circles – di Annamaria Ferramosca”

  1. “Sonno infantile, lava che pietrifica / una fila di pietre da riscrivere”.
    Una sensualità acuta, morbida, struggente, all’interno di una logica formale leggera e severa. Sono le prime sensazioni verso una poesia che turba e sorprende, che appare in continuo progress. Tra le più intense poete di questi anni fecondi di libri di versi e avari di vera poesia. Ciao, Marco

  2. questa stanza ospitale.
    Francesco, anche per il tuo apprezzare, grazie.
    e Marco mi disorienta di lodi e cerco di assestarmi sulle mie
    pietre. sempre in bilico-progress, sì, Marco. grata della tua sensibilità.

  3. Avevo scritto un commento lunghissimo per i miei standard, che raccontava del linguaggio, di cosa mi avesse colpito in questa scrittura strana e familiare assieme, nel gioco delle parole e dei significati, di una poesia che mi colpisce per consapevolezza e personalità a cui non saprei trovare adesso paragoni. Una poesia che assomiglia solo a se stessa.

    Insomma, il blog si è mangiato il mio commento e adesso non riesco a riscriverlo. Almeno voglio lasciare qui un segno della mia ammirazione sincera. Fra tutte, oggi, “Al capolinea” è il mio gioiello, per il compenetrarsi di un linguaggio scientifico e a volte freddo con il calore delle figure.

    Ecco, complimenti.
    Francesco t.

  4. Francesco, non ho trovato nessuna traccia di altri tuoi commenti. Avendone anch’io visti sfumare molti, ho preso l’abitudine, quando si tratta di un commento lungo, di scriverlo su word e poi copiarlo nel colonnino.

    fm

  5. sono semplicemente stupende! Sono le più belle delle tue che conosco, sono davvero ammirata, respiro poesia autentica.Mi hai fatto felice. Grazie!
    Bravissima anche l’altra Annamaria (lei si che la conosco, e… ci siamo incontrate a Dublino, anche lei ha tradotto un po’ delle mie) ma tu abiti a Roma, un po’ più vicino, e…
    Speriamo che il prossimo sia l’anno in cui ci guarderemo negli occhi.
    Ciao,ancora complimenti
    lucetta

  6. Grazie Lucetta, concordo. E grazie anche per l’accenno allo splendido lavoro di traduzione di Anamaría Crowe Serrano.

    Un caro saluto.

    fm

  7. Annamaria Ferramosca pratica una poesia originale e di grande effetto. In questa scelta di testi prevale una metapoesia scintillante, fatta di neologismi, improvvise aperture d’immagini, cadenze inusuali; l’autrice si interroga razionalmente (sulla scrittura, sul ritorno, sul futuro che attende) ma si abbandona anche al sogno, all’associazione libera, alla parte inconsapevole dell’io. Una voce poetica validissima, che coniuga ricerca e tradizione, canone e libertà. Credo inoltre che in inglese, per quanto si può percepire dalla bella traduzione, passi davvero tanto della ricchezza della lingua d’origine.
    Un caro saluto alle due Annamaria
    all’insostituibile Francesco
    Antonio

  8. poesia di grande interesse e “proficua” per il lettore. Preferisco in genere i testi meno speculativi, qui ad esempio “al capolinea”, “sempre più dimentico”, “sarai famosa”, “avessi avuto figlie”, “un infinitesimo bianco” ecc. Apprezzo molto la componente di sperimentazione linguistica di questa scrittura, perchè non tralascia mai di tenere alto il livello di comunicazione con chi legge, a cui però è richiesto un altrettanto alto livello di attenzione. Personalmente non amo certi vocaboli composti (sanguelinfahumus, tradiscetrasgredisce, ventretempio ecc.), il cui uso trovi anche in Quintavalla e altre (a quanto pare una cosa molto femminile, una gestazione di parole) e che sento un pò alieni alla nostra espressività. Ma ammetto che sia una cosa del tutto secondaria rispetto alla complessiva forza evocativa di questi testi, cosa non facilissima da tradurre.
    I miei complimenti a Annamaria,alla sua traduttrice e i miei saluti a Francesco

  9. Concordo con l’opinione di Giacomo sui vocaboli composti. Sono a volte di buon effetto ma rischiano di rendere troppo spettacolari e barocche immagini che non ne hanno bisogno. Marco

  10. Penso che la valutazione dell’impatto di alcuni termini composti derivi, in ultima analisi, dalla struttura profonda della lingua nella quale siamo cresciuti (e nella quale scriviamo) e dalla ricezione del fatto linguistico-comunicativo che in essa complessivamente si declina. Se l’italiano si presta poco, come è ben evidente, alla “combinazione” (rispetto all’inglese e, soprattutto, al tedesco, ad esempio), allora andrebbe valutata la “necessità”, tutta interna alle ragioni del testo, di quell’operazione: rispetto alle quali, a mio modo di vedere, l’effetto è un accidente secondario.

    Grazie per i vostri commenti, sempre pertinenti e aperti a ulteriori riflessioni.

    fm

  11. Sempre opinabile il giudizio sul neologismo (io ne ho inserito solo uno nelal mia poesia degli inizi: arcotrionfa, dall’inventato verbo arcotrionfare, ma invero poca funzionalità avrebbe il neologismo nella mia poesia). Con Annamaria invece la questione va posta in termini diversi: è la parola che chiede una riformulazione continua, una spasmodica richiesta di aderenza alla gorgogliante polisemia, quasi una coazione a nascere. In ogni caso, mi pare che anche il risultato estestico e il ritornante effetto sorpresa ce ne fanno accettare la presenza.
    Un caro saluto anche a Giacomo
    Antonio

  12. Ciao Antonio, sono felice di rivederti da queste parti.

    La “coazione a nascere” che individui nei testi di Annamaria è proprio il cuore pulsante della “necessità” di cui parlavo sopra. Trovo particolarmente felice l’espressione che usi a proposito di questa “operazione”.

    Ciò non toglie, ad ogni buon conto, che auguro di cuore a ogni poeta di potersi sempre confrontare con le osservazioni di lettori/critici attenti e acuti come Giacomo e Marco. L’incontro è sempre a tutto vantaggio della poesia.

    fm

  13. Francesco correttamente individua nella peculiarità dell’italiano rispetto ad altre lingue il senso di “stranezza” delle parole composte. In altre lingue tra l’altro l’artificio è stato usato almeno fin dai primi decenni dello scorso secolo, e questo non ne fa certo una novità. Per quanto mi riguarda il problema di questi termini è costringere il lettore a scomporli mentalmente per poi ricomporre il quadro semantico. Il linguaggio poetico è già abbastanza polisemico per conto suo, le parole semmai vanno dilatate. Ma questa naturalmente è solo un’opinione.
    Di nuovo saluti

  14. Questo tuo spazio del confronto sulla parola, Francesco – ancora un cerchio- così necessario. Qui davvero si può studiare il vario approdo della parola, scivolando dai fogli e ponendosi negli angoli di rifrazione. Ascoltando i riflessi.
    E gli incontri fin qui sembrano dirmi di efficacia comunicativa-evocativa. (questa è però solo la mia ultima scrittura, contenendo il libro 61 testi in totale, scritti lungo quasi vent’anni. Il resto sarà peggiore?) Grazie a Francesco T. per riconoscermi personalità univoca, si tratta del riconoscimento più gradito a chi scrive. Al capolinea è per me un testo di consegna, su cui ho molto lavorato in rarefazione.
    Anche qui, Giacomo e Marco, vi sono abbracci fermamente voluti di parole, come “fendinuvole” e “asfaltocielo”. Non so spiegarlo, ma a me sono sembrati da subito insostituibili. Come ve ne sono in Mediterraneo e in altri testi, ah ma già , questi sono sparsi lungo poesie dalle raccolte edite che non sono qui.
    La fusione di termini è per me una possibilità lessicale dilatabile all’infinito, trovo che valore semantico e potere evocativo possono moltiplicarsi e assumere nuovo senso, diverso da quello dei termini usati singolarmente. Inoltre – lo si può avvertire leggendo in voce – i termini polifusi conferiscono sonorità e ritmo particolari, nuovi, per la più vicina contiguità di certe aperture vocaliche o consonanze. E’ quello che Antonio Fiori – grazie per l’acuta empatia- avverte come spinta continua di nascita, che dal limite lessicale io sento condurmi verso altra terra semantica dell’incontro. E’una necessità interna al testo, come tu ben dici, Francesco, a dettare. Pazienza se può risuonare del barocco (con quel che di meravigliosomorbido di pietra tenera ha il barocco).

    Lucetta, (ti ringrazio per la tua sincera empatia) saprai che Anamaria è per me ormai come sorella. Lei fa ricreazioni poetiche. A te e a chi esprime apprezzamento per il suo saper trasferire anche l’imponderabile, dico che nelle nostre lunghe chiacchierate siamo giunte alla conclusione che sì, esisterà una pre-lingua comune, un unico nucleo emozionale che trasporta da una lingua all’altra scintille capaci di riaccendersi. Basta farsi contagiare.
    Buon inizio di settimana a tutti voi

  15. Grazie Annamaria, anche per aver aperto le porte del tuo “laboratorio”.

    Penso, comunque, che il rilievo di Giacomo e Marco riguardasse la “rifrazione”, l’effetto, non la pertinenza e la necessità dell’operazione.

    Su questi temi, poi, una parola (quasi) definitiva la scrisse un certo Dante, ai primi del Trecento…

    fm

  16. La poesia di Annamaria è intensamente viva. Quando la si legge poi a voce alta, la si riscopre ancora ulteriormente nella forza che decisamente smuove l’animo.
    Io, nella mia ignoranza, conosco Annamaria dai tempi che pubblicò quelle poche poesie su OboeSommerso, leggendo lei stessa i testi.
    Ho pensato da subito che la sua poesia avesse del carattere; è una poesia completa direi perchè come la poesia dovrebbe fare, evoca moltissime ed interessantissime emozioni…
    E’ poi continuamente una sorpresa leggere l’insieme di termini usati come tutto fosse naturale, nella loro leggerezza come fossero cose dette di sempre…eppure di un valore vastissimo, in ogni gesto.
    Complimentissimi davvero ad Annamaria per il suo libro…che spero anche ci possa far finalmente incontrare a Milano..e sarebbe anche ora :-)

  17. Sai, Anila ho avvertito sintonia anch’io per la tua poesia, da subito un ponteradio privilegiato tra noi. Leggeremo insieme segni e cerchi a Milano, grazie di tutto e a presto.
    Un caro saluto a Francesco e a chi passa da qui anche in silenzio
    Annamaria

  18. Io sarei molto felice di leggere il libro, Annamaria.
    Ne spedisci una copia a me e Lucetta?
    Francesco conosce il nostro indirizzo email e cartaceo.
    Grazie e buon lavoro.
    Marco

  19. Caro Marco, sono desolata, purtoppo non ho che pochissime copie che sto consegnando ai recensori romani che me le hanno prenotate. Mi sembra di ricordare che Lucetta ne avrebbe presa una delle disponibili in libreria EquiLibri a Milano in occasione della sua presentazione. Se non fosse più possibile avvertitemi -Lucetta ha la mia e-mail- ve ne farei spedire una copia dall’editore. Spero tanto di conoscervi di persona, un carissimo saluto
    annamaria

  20. Cara Annamaria trovo questo tuo lavoro molto interessante e rilevo soprattutto una grande capacità di raccontare in poesia. Sulle traduzioni non mi pronuncio non conoscendo a fondo la lingua. I miei auguri sinceri per il tuo libro che possa viaggiare leggero oltreoceano
    In attesa di riabbracciarti, saluto caramente Francesco e gli amici

    rita

  21. Il libro ha il merito di proporre un’antologia dell’opera di Annamaria, di evidenziare il percorso di una poetica caratterizzata da una visione partecipe e lucida dei nostri tempi, che annulla i confini e le distanze con l’altro riportandoci alle nostre radici. La traduzione rende giustizia all’originale, rendendone le sfumature e avvalendosi allo stesso tempo della cifra stilistica di una poetessa come la Crowe Serrano.
    Un caro saluto a Francesco ed Annamaria.
    Abele

  22. a Rita e ad Abele il mio grazie. e a Francesco: stare qui è sentirsi in un caldo cerchio. a presto. ma la dimora è sempre sospesaperta, vero?

  23. Sempre, Anna Maria.

    I saluti non chiudono nessun cerchio, anzi, se possibile ne aprono altri: sono una forma di attenzione e di rispetto nei confronti di chi ci fa il dono della sua lettura e del suo tempo.

    Qui si può scrivere quando e quanto si vuole.

    Un caro saluto.

    fm

  24. Cara Annamaria, quella presentazione del libro a Equilibri poi non si è mai fatta e quindi Lucetta non ha acquistato la copia della tua antologia. Se potessi richiederla all’editore per noi, te ne saremmo grati.
    Indirizzo:
    Marco Ercolani e Lucetta Frisa Viale Pio VII 18/5 16148 GENOVA
    Un abbraccio, Marco

  25. Sarà fatto, Marco! ricambio l’abbraccio anche a Lucetta.
    Per chi mi ha richiesto dove acquistare Other Signs Other Circles:
    poichè è stato pubblicato a New York, è distribuito in Italia solo a Roma(Feltrinelli International) e a Milano(libreria EquiLibri), altrimenti lo si trova tramite http://www.amazon.com
    buoni giorni a tutti,
    annamaria

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