Curriculum vitae

Gabriel Ferrater

Gabriel Ferrater (Reus, 1922-San Cugat, 1972) non è solo il più importante poeta catalano della seconda metà del XX secolo, ma uno dei più grandi poeti europei del suo tempo. Traduttore, linguista e poliglotta, critico letterario e critico d’arte, Ferrater, giunse relativamente tardi alla poesia; pubblicò la sua intera opera in versi nel giro di pochissimi anni, tra il 1960 e il 1968. Di un’intelligenza folgorante e di una personalità allo stesso tempo anarchica e disciplinata, tenera e narcisistica, spirito antiromantico, amante della poesia medievale (Ausiàs March, Shakespeare), fondò la sua poetica sul dato autobiografico e la radiografia storica, sul desiderio, l’amore, il sesso, la memoria e l’oblio. Aveva sempre detto che è immorale oltrepassare i cinquant’anni. E mantenne fede alla parola, suicidandosi il 27 aprile del 1972 nel suo appartamento di San Cugat del Vallès. Un atto, quindi, tutt’altro che disperato, quanto piuttosto morale, di una moralità priva di ogni lusso contemplativo. Un po’ come la sua poesia che, come lui stesso ha affermato, deve sempre «essere chiara, sensata, lucida e appassionata», attenta al movimento degli uomini e delle donne, capace di elevare al massimo grado l’energia emotiva della lingua, senza per questo corrompere con un eccesso di partecipazione il centro dell’immaginazione.

 

Gabriel Ferrater
Curriculum vitae. Poesie 1960-1968

Cura, traduzione e nota di Pietro U. Dini
Evocazione di Jaime Salinas
Pesaro, Metauro Edizioni, “Biblioteca di poesia”, 2010

 

EL MUTILAT

Jo sé que no l’estimes.
No ho diguis a ningú.
Tots tres, si tu ens ajudes,
guardarem el secret.
Que ningù més no vegi
allò que hem vist tu i jo.
De la gent i les coses
que us han estat amics,
ell se n’amagarà.
No tornarà al cafè
que és fet per esperar-te.
Vindran mesos amb erra:
serà lluny de les taules
de marbre, on us servien
les ostres i el vi blanc.
En els dies de pluja
no mirarà l’asfalt
on us havieu vist
quan no es trobaven taxis
i havieu d’anar a peu.
No obrirà més els llibres
que li han parlat de tu:
ignorarà què diuen
quan no parlen de tu.
I sobre tot, hi pots
comptar, ni tu ni jo
sabrem mai més on para.
S’anirà confinant
per fons remots de terres.
Caminarà per boscos
foscos. No el sobtarà
l’atzagaia de llum
de la nostra memòria.
I quan sigui tan lluny
que mig el creguem mort,
podrem recordar i dir
que no te l’estimaves.
No ens farà cap angúnia
de veure com li manques.
Serà com un espectre
sense vida ni pena.
Com la foto macabra
d’una Gueule Cassée,
que orna un aparador
i no ens fa cap efecte.
Per ara, no ho diguem:
no trasbalsem la gent
mostrant-los la ferida
sagnant i purulenta.
Donem-li temps i oblit.
Callem, fins que ningù,
ni jo mateix, no el pugui
confondre encara amb mi.

 

IL MUTILATO

Io so che non lo ami.
Non lo dire a nessuno.
Tutti e tre, se tu ci aiuti,
serberemo il segreto.
Che nessuno veda più
quel che abbiamo visto io e te.
Dalla gente e dalle cose
che vi sono state amiche,
lui si nasconderà.
Non tornerà al caffè
che è fatto per attenderti.
Verranno mesi con la erre:
starà lontano dai tavoli
di marmo, dove vi servirono
ostriche e vino bianco.
Nei giorni di pioggia
non guarderà l’asfalto
dove vi eravate visti
quando non si trovavano taxi
e dovevate rientrare a piedi.
Non aprirà più i libri
che hanno parlato di te:
ignorerà cosa dicono
quando non parlano di te.
E soprattutto, ci puoi
contare, né tu né io
sapremo mai più dov’è.
Andrà confinandosi
in remoti fondali di terre.
Camminerà per boschi
oscuri. Non lo sorprenderà
la zagaglia di luce
della nostra memoria.
E quando sarà tanto lontano
che ormai lo crederemo morto,
potremo ricordare e dire
che non lo amavi.
Non ci inquieterà affatto
vedere come gli manchi.
Sarà come uno spettro
senza vita né pena.
Come la fotografia macabra
di una Gueule Cassée,
che decora una vetrina
e non ci fa nessun effetto.
Per ora, non diciamo nulla:
non turbiamo la gente
mostrando loro la ferita
sanguinante e purulenta.
Diamogli tempo e oblio.
Taciamo, finché nessuno,
neanch’io, possa ancora
confonderlo con me.

 

*

 

DIUMENGE

Els ocells de la llum se’n van a jóc
i ens deixen a les branques un subtil
tremolor de petites veritats.
Cal perdre l’ànima d’arbust. Un altre
sentiment transitori s’ha gastat.
Ens aixequem, i amb por de no saber
retrobar a temps qui som i què volem,
anem tornant ben poc a poc. La tarda,
la brasa imatge nostra, nerviosa
però abnegada mare de la cendra,
s’apaga, i es respira la pudor
del tabac refredat. Hem estat sols,
però ara embussem els colls d’embut
(colzes amb colzes, passos que es fan nosa)
per vessar dins el poble l’imprecís
record d’uns camps trencats, al.luvials
deixes de camions, d’uns camins curts
com un alè cansat, i uns arbres vius
que ja se n’ha fet llenya. Ens confonem
amb els que s’han quedat, i que ara surten
dels balls i de las coves de penombra
gelatinosa, i tots trepitgem besos
que la tarda ha endurit, i ara es parteixen
en dues valves, com un musclo, i cauen.
Un nen que se li ha rebentat el globus
llança un plor viperí. Tots ens mirem
i riem satisfets. Cap de nosaltres
no es veu amunt per l’escala dels éssers.

 

DOMENICA

Gli uccelli della luce se ne vanno a dormire
e ci lasciano sui rami un sottile
tremito di piccole verità.
Bisogna perdere l’anima d’arbusto. Un altro
sentimento transitorio si è sciupato.
Ci alziamo e, con il timore di non saper
ritrovare in tempo chi siamo e che cosa vogliamo,
ce ne torniamo molto lentamente. A sera,
la brace a nostra immagine, nervosa,
ma coscienziosa madre della cenere,
si spegne, e si respira un cattivo odore
di tabacco stantio. Siamo stati soli,
ma ora ingorghiamo i colli d’imbuto
(gomito a gomito, passi che si ostacolano)
per riversare dentro al paese l’impreciso
ricordo di campi spezzati, di alluvionali
resti di camion, di sentieri corti
come un respiro stanco e di alberi vivi
già diventati legna. Ci confondiamo
con quelli che sono rimasti e che ora escono
dai balli e dalle tane di penombra
gelatinosa, e tutti calpestiamo baci
che la sera ha indurito, e che ora si aprono
in due come le valve di un mollusco, e cadono.
Un bambino al quale è scoppiato il palloncino
lancia un pianto viperino. Tutti ci guardiamo
e ridiamo soddisfatti. Nessuno di noi
si vede in alto nella scala degli esseri.

 

*

 

A MIG MATÍ

El sol, el savi vell, va dissipant
minúsculs dubtes de foscor, deixats,
fins ara, per resoldre. Li tremolen
una mica les mans, i tremolem
els arbres i nosaltres, quan sentim
que tot minut que passa ha d’arrencar,
brusc, una bena d’ombra, i ara el just
cas de la llum serà ben recte, i ara
xisclarà el prim desfici de la flauta
d’Iblis, i ho veurem tot, i tot enllà
d’espais de claredat, impenetrables
com el cristall. Tot manifest, direm:
ho has volgut tu, t’ho has buscat tu, de nit,
quan dormies només per despertar-te
i no et volies creure que la vida
se’t faria ignorada, més que el son.

 

IN TARDA MATTINATA

Il sole, quel vecchio saggio, va dissipando
minuscoli dubbi di oscurità rimasti
finora irrisolti. Gli tremano
un po’ le mani e anche noi tremiamo
con gli alberi quando sentiamo
che ogni minuto che passa deve strappare
bruscamente una benda d’ombra, e ora il giusto
caso della luce sarà più verticale, ora
fischierà la prima smania del flauto
d’Iblis, e vedremo tutto, e ben oltre
spazi di chiarità, impenetrabili
come il cristallo. Quando tutto sarà manifesto, diremo:
lo hai voluto tu, lo hai cercato tu, di notte,
quando dormivi soltanto per destarti
e non volevi credere che la vita
ti si sarebbe fatta ignota, più del sonno.

 

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Altri testi, note critiche e una dichiarazione di poetica di Gabriel Ferrater sono leggibili qui e qui.

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6 pensieri riguardo “Curriculum vitae”

  1. Grandissimo poeta e non solo, sono contento che finalmente sia stato tradotto in Italia. Onore al traduttore, editore e ovviamente a Francesco per la diffusione. Da amante della letteratura catalana mi auguro venga ristampato Salvador Espriu, altro “pezzo da novanta” della poesia del Secondo Novecento. Mi procurerò subito il libro.

    Un caro saluto

  2. Dure e splendide poesie. Già avevo letto dei versi di Ferrater in rete, che mi avevano colpito. Bello rivederle qui, nella Dimora. La collana del Metauro è ricca di liete sorprese.
    M.

  3. Pingback: Curriculum vitae
  4. molto belle!
    in particolare “Domenica” con quell’incipit splendido degli “uccellli della luce” che “se ne vanno a dormire/e ci lasciano sui rami un sottile/tremito di piccole verità.”
    e l’altrettanto splendido finale “Nessuno di noi /si vede in alto nella scala degli esseri.”
    declina in modo tutto terreno l’impossibilità e anche la caduta dalla “scala della divina ascesa” (il palloncino anche come il cuore scoppia e non riesce a portare in alto)

    di nuovo grazie alla Dimora
    ciao

  5. Condivido ogni entusiasmo che mi precede e seguirà in questo post.
    Poeta grandissimo,veramente. Di una luce straziata e ferma. Classico.
    Grazie infinite al nostro grande e preziosissimo Francesco.
    ( e a Ferrater che ha scritto questo, al bravo traduttore e all’editore,ovviamente)
    Lucetta

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