di Marco Furia
nota di lettura a Afasia di Silvia Comoglio (Anterem Edizioni, Verona 2021)
Il sogno di una lingua è già una lingua?
O meglio, l’invenzione di una lingua è già una lingua?
Ecco i quesiti che suscita la lettura delle precise scansioni di Afasia, ultima raccolta di Silvia Comoglio.
La risposta, in ogni modo, è sì, se non altro perché le parole proposte, ricche di peculiare tensione poetica, sono le parole di tutti:
È dimora che sprofonda dentro il mio respiro: eco – di fine insonnia a metafora di mondo, di nótte che nega notte, infrangendo, dei corpi, la presenza […]
In particolare, “metafora di mondo” sembra richiami il dualismo io/mondo “infrangendo, dei corpi, / la presenza” fino a chiedersi dove (che cosa) siamo.
Silvia risponde per via di un’originale empatia capace di mostrare come la versificazione possa essere vero e proprio tramite esistenziale: qui soggetto e oggetto, senza perdere la loro identità, partecipano di un comune destino.
Non a caso, tratti quali
è lepre, dite, tra-boccata a cuore la terra esile a silenzio di folli – notti in a-bbondanza?
propongono inediti aspetti in grado d’indurre a riflettere sulla possibilità di un diverso, praticabile, senso: viviamo nella nostra grammatica ma possiamo anche allontanarcene per via di differenze che, trasportando i vocaboli senza tradirli, sono tali da produrre assidue valenze evocative interne alle pronunce (elemento tipico, quest’ultimo, dell’intera opera della nostra poetessa).
Si legge a pagina 32:
[…] tu fosti questa terra che guardi di sorpresa
La sorpresa è continua: ci accompagna verso dopo verso con tratti lievi ma profondi, con immagini agili ma per nulla labili.
Si legge ancora a pagina 42:
Amotanto la luna frantumata a sponda di materia – l’acqua, dura al muro, di ombre – a pienezza trasparente: la notte, acuta di germoglio, tesa, a filo d’erba, medianico di mondo
Attraversiamo ignoti territori che pure riconosciamo?
Alla fine mi pare questo l’interrogativo posto, con elegante sicurezza, dalla ben strutturata sperimentazione di “Afasia”: la risposta, non segreta, è nelle citate parole di Borges: “L’enigma dovrebbe bastarci. Non abbiamo bisogno / di decifrarlo. L’enigma è lì”.
Allora, forse, un giorno (vedi pagina 43), la poetessa avrà “un sogno che uscirà dal bosco –”?
Non sembra proprio che occorra riferirsi al futuro, poiché le linguistiche invenzioni di Silvia non sono episodi isolati, bensì costituiscono l’essenza dell’intera raccolta secondo un atteggiamento che, lungi dal limitarsi ad accettare l’enigma, intende viverlo fino in fondo.
Riconoscere la propria natura è anche saper uscire, qui e ora, “dal bosco”?
Non credo l’autrice nutra dubbi in proposito.
Grazie Marco per la profondità della tua lettura e grazie Francesco per la tua ospitalità.
Silvia.