Tu Dio non farmi male – Ferdinando Tartaglia

Ferdinando Tartaglia (I)

     TU VIOLENZA DI VIOLA

Tu violenza di viola che volando
volgi avvento di vento a velo e viso
stipula nei tuoi petali lo scampo
che su l’ultimo gelo instauri eliso.
Sale Sirio inseguito dal tuo vanto
e l’estuario del fiume à l’elmo alliso.
Non sconvolgere l’erta: vienmi accanto
non distruggere delta: dàmmi riso.

(1929)

*

[GIARDINO, PRIMAVERA]

Il geranio geronte che già svisse
e sgenitò per gesiche giallinghe
risorgerà se gerico gli agisse
e gestisse altra gilda a le guardinghe?

Gemma è geenna giuda à le pervinche
e campana govinde di corrotto
la cirrosi del campo clave estinte
ma il pampino lusinghe nel sedotto

E se io giglo il giglio oltre le ascisse
e il gìgaro non à giddap né fosco
il giardino ma gira al sole il corpo
e il fosso gioca grembo a vento attinte
alzo le figlie contro il seme mosso
grido a le griglie: ospite, le incinte.

(1930)

*

MA SALVARE MA SALVARE LA POESIA

Se tu socchiusa poesia t’affacci
da paura di parto e abiura d’alba
io t’offrirò per rose una radura
dov’è promessa il ramo e non minaccia.

Tanto pallida sei per velo stanca.
Tanto morta tu ormai smarrita a lancia

Ma se mi guardi
e se il mio dono è traccia
ma tu se non m’ami e l’arma è su l’altura
io ti sollevo nel mio grido scalzo
e ti conduco a immemore distanza
per risorgerti a ignoto d’avventura

Io sono il Nuovo, alta è la mia stanza.

Solo per me guarirai sicura
Solo con me rivivrai costanza.
Non pentirti di essere futura.
Prestami la tua voce: io io ti salvo.

(1928)

*

[S.T.]

Io sono ancora aurora è già il tramonto
dice su me che il giorno è per finire
non sono ancora nato e già morire
io devo al tempo che à invertito il conto.

Tu Dio non farmi male. E se soffrire
io dovrò ne lo strappo e poi nel tonfo
fammi subito intero risalire
a baciarti nel volto de l’incontro.

Là non sarò più morto. Ma fiorire

(1929)

*

POI SE IL SOGNO

Poi se il sogno fa bimbo ed apre aprile
sale negli occhi il ramo del sambuco
ondeggiante di duci
inesausti nel vento
piegano i monti
ne la valle i suoni
lungamente si schiudono
e per gli aditi
dolcissime le voci
dove limbo dà nimbo a udite luci.
Frutti in sussurro vestono le vene
e la luna d’argenti arce fiorisce

(1928/7?)

*

NON SALUTERO’ NESSUNO

Quando me ne andrò
non saluterò nessuno

Perché dovrei salutarli?
Il cielo la terra gli uomini Dio
tutti mi ànno fatto del male.

Lontano voglio andare
io voglio andare lontano
dove nessuno più mi conosce
e io non conosco nessuno

là non ferito né ucciso
là né seduto o in piedi
a braccia larghe levate
là io voglio in solitudine solo
là io voglio
il nuovo canto cantare.

(1930?)

*

CANZONE A BALLO

Ma sì ma no la mossa del mio paggio
mi fa la corte come andasse andò
la carena dell’ombra è vela al raggio
e notte è notte al nulla che ballò

La vena de la seta à comparaggio
ne l’inganno de l’anno in passo al Po
cade la carta quando alzò coraggio
e la pena degli occhi è freddo oblò

Lena dei labbri non sovvenne al faggio
e l’erbaggio del bacio non placò
il palco di tua guancia fu cifrario
che teatro di lancia non svelò

Non so se la tua festa sia mia festa
e se tua gamba a gioia mi toccò
il gelo del mio ambio che contesta
il pianto vano di chi invano amò

Fammi sorte solista a la finestra
dove tua fiamma à l’alba che mancò
fammi ambra la vista che sequestra
il sordo assurdo in solco di rondò.

Fammi neve a sinistra. E morte a destra.

(1932)

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Là dove il senso è adveniens.
Riflessione critica di Adriano Marchetti.

Il leggendario prete colpito sul finire della seconda guerra dalla massima scomunica era nato a Parma nel 1916. Alla sua morte avvenuta a Firenze nel 1988 ha lasciato un’opera immensa quasi interamente ancora inedita. Essa comprende due grossi blocchi che si illuminano reciprocamente: alcune migliaia di poesie e altrettante pagine che trattano argomenti di carattere filosofico, teologico, politico, scientifico, estetico. Dalla «consistenza noumenica» del linguaggio trae origine e destinazione ogni prova di superamento che sia in grado di «fruire non solo del noto ma anche dell’ignoto», attraverso tutte le «translinguazioni materiali del Discorso», verso un “oltre”, «contro il non parlare universale, contro il vecchio clamore che tanto più cresce tanto meno dice, contro il vertice del silenzio».

Forse è nell’opera di poesia che si rivela maggiormente il volto nascosto di Ferdinando Tartaglia, là dove la parola è “ancora” mancante di senso – non insensata secondo l’intonazione di una sperimentazione avanguardistica – ma il cui senso è adveniens. Né autobiografismo, né eterobiografismo. «Autobiografia è vacanza morta, oramai» avverte Tartaglia. La poesia mostra, sottraendosi alla logica oggettiva e soggettiva, le zone d’ombra e i livelli invisibili del pensare e tende a pronunciare l’ineffabile come in una sillabazione infantile. La parola, rimasta orfana, con le sue collere e imprecazioni, le sue invenzioni e ridondanze, velata da un dolore che supera le condizioni temporali in cui si situa, chiama dalla sua assenza la sua dicibilità.

L’esilio gnostico o eretico è accesso al dettato di questo verbo, non più pensato come l’unificante o il logos raccogliente bensì come autogerminazione e proliferazione della lingua, come entropia, riverberazione inesausta e disincantata nel suo stesso disincanto.

In Tartaglia l’urgenza religiosa non lascia spazio a una scrittura di fantasia, ma esige un lavoro di scavo sul piano del suono e del segno (non l’onomatopeico né il fonosimbolismo), in un linguaggio che si modifica acrobaticamente in corsa spaziale e in contorsioni, che accoglie molte stratificazioni, cadenze, calchi, gerghi, citazioni, devianze, deliri di assonanze e allitterazioni, metafore e metonimie, cortocircuiti logici. Le parole, «intralacerate per endodistanziazione pura», non mirano tanto agli effetti anomali di un registro espressionistico, quanto piuttosto a tradurre una pura “delogazione” del logo.

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I testi di Ferdinando Tartaglia e la riflessione critica di Adriano Marchetti sono tratti da ANTEREM – Rivista di Ricerca Letteraria, anno XXVIII (Dicembre 2003), numero 67 (Lo Straniero).

Cfr. Ferdinando Tartaglia, Esercizi di verbo, a cura di Adriano Marchetti, Milano, Adelphi, “Piccola Biblioteca Adelphi”, 2004.

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17 pensieri riguardo “Tu Dio non farmi male – Ferdinando Tartaglia”

  1. Il bello della capitale morale (!?!): ci sono tutte le connessioni, a iniziare da quelle mafiose, tranne quella alla rete…

    David, le linee di convergenza che notavo erano tutte relative al lavoro sul linguaggio e all’utilizzo “sovversivo” dei metri della tradizione, non certo al resto.

    Quest’uomo era, ed è, un genio e, come scoprirai in “Ferdinando Tartaglia (II)”, era prete nella stessa misura in cui suor gelmina o il figlio del miracolato sono capaci di realizzare un pensiero – uno – in modo autonomo.

    fm

  2. Ciao Liliana, l’opera di Tartaglia è una miniera smisurata nella quale qualcuno ha appena cominciato a scavare.

    fm

  3. Incantata e smarrita…
    Non avevo letto di Ferdinando Tartaglia che due poesie.
    Sai chi me le fece leggere?Un signore laureato in Medicina che poi,folgorato da nonsochè, divenne sacerdote e monsignore.Si chiamava Giuseppe Budroni ed era (anche lui) mio zio.
    Essendo io adolescente curiosa cercai altre notizie su l’ex prete eretico e scomunicato.
    Così era noto nell’ Ambiente clericale e precisamente “AL RIFUGIO DELLA MADONNINA” vicino a San Leonardo-Santulussurgiu in Sardegna.
    Era un grosso ritrovo e Centro Culturale, fondato da zio, in cui mi recavo per vacanza, tra i monti che guardano al mare di Santa Caterina di Pittinurri.Ma non era riposo per me,nè partite a tennis soltanto.
    Erano tornei di boxe con don Giuseppe! Ti ringrazio Francesco:ora approfondirò la ricerca su questo straordinario scrittore, poeta, uomo di coraggio e tormenti. Ciao.Marlene

  4. Marlene, quel “erano incontri di boxe” è veramente da incorniciare.

    Abele, è un autore tutto da scoprire, veramente sorprendente.

    Davide, grazie del passaggio.

    fm

  5. Francesco, era proprio un torneo: cominciava il giorno del mio arrivo e si concludeva circa un quarto d’ora prima della mia partenza.
    Ma lui, zio Giuseppe, don Budroni (non monsignore) come preferiva essere chiamato, la finiva al tappeto per k.o. tecnico… di abbracci.
    Ci volevamo molto bene. Era un uomo assai colto, dal pessimo carattere, poca diplomazia, no ipocrisia.
    Virtù che io metto in cima. Ciao. Marlene

  6. Marlene, ti scrivo più tardi, mi è venuta un’idea (geniale: come del resto tutte le mie…), adesso accompagno la figliolanza a una escursioncina biciclettante.

    fm

  7. Ottima idea. C’è chi può ossigenarsi.( E chi invece intinge le penne.. nel sudore.)
    Sarà quello il segreto del genio?
    A saperlo.. Buona ciclettata! Mar.

  8. E’ durata poco. Si è alzato un vento che sembrava annunciare pioggia, e invece niente, si continua anche oggi a boccheggiare in una sospensione di afa e umidità che sta facendo evaporare gli ultimi residui di materia cerebrale rimasti.

    fm

  9. Sì certo tante allitterazioi, rime, assonanze, giochi di parole. Tutti gli strumenti del mestiere usati anche benino ma la passione, il senso, la furia dove sono? Misembra troppo distaccato, forse lo era, non lo conoscevo prima di questo momento ma sinceramente non lo trovo profondamente entusiasmante.

  10. * FAMMI NEVE A SINISTRA . E MORTE A DESTRA *
    bastano questi versi, da soli, a farmi amare la poesia di un Poeta come TARTAGLIA ” che in fondo era un prete ” ( come scrive anfiosso ). Non mi pare indispensabile condividere i contenuti e neanche comprenderli..La Poesia è Libertà.
    Un bacio FRANCESCO, sempre nel cuore * ! marlene

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