Il presente è più sacro del perdono

Massimo Rizzante

 

Da Scuola di calore (opus in fieri, 2010)

 

Ora che non ci sei più

                  a Carmen

Ora che non ci sei più, il tribunale militare
che accusava la mia adolescenza anarchica
ha smesso di condannarmi in contumacia. Con gli anni
sono diventata repubblicana: la nostra guerra civile è l’età adulta

Madrid è stato l’ultimo avamposto. Melilla,
da dove si è alzato il vento. Ma ricordo soprattutto
un vicerè del Messico, un uomo corrotto fino al midollo
ma giusto, un mulatto, figlio di un’africana e di un castizo

Ricordo il tuo disprezzo per la mia mancanza di purezza.
Nel mio sangue, dicevi, circolava la follia della nonna
che a Huesca tramava con i torturati perché il loro corpo
non si trasformasse in pasto per maiali

Ricordo Andrés Nin, ferito alla gola come il buon George,
come lui lungimirante ma molto meno fortunato. Il suo omaggio
alla Catalogna fu un sacchetto con dentro un paio di testicoli mozzati.]
I comunisti della NKVD serbano rancore solo ai morti, dicevi

Ora i tuoi resti sono qui. Alla luce. Ma in questo paese di sentinelle
i crimini non possono rimanere impuniti. Il presente è più sacro
del perdono. Perciò si girano spot miliardari: Pépe Cruz, di ritorno da Calcutta,]
scava nelle crepe della Meseta alla ricerca di qualche teschio

Io che sono una tua vittima, conosco l’odio delle tue mani
la rosa degli abusi, le chiavi della tua cella. E la paura – figlia
di una cagna africana e di un castizo – che incutevi a te stesso,
ai tuoi inferiori, a tutti noi, che siamo stati riesumati per nulla

 

 

La guerre des poissons

                  a Imane

Sulla strada per Ourika siamo come uccelli notturni
che si strappano le ali a vicenda, fino a quando
il becco affonda in un organo cieco per molti,
soprattutto per coloro che sono stati ciechi a lungo

Così l’amore ci chiama. E da uccelli notturni
dobbiamo trasformarci in talpe, e scavare cunicoli nel tempo
e, se necessario, saziarci di tenebre senza poter risalire
in superficie. E questo per un giorno. O per sempre

O in cani che girano su se stessi un numero di volte
pari ai loro anni moltiplicato per le cagne in calore che hanno
posseduto e che ora ubriachi cercano di ricordare,
prima di trovare una posizione in cui dormire

O in mariti puntuali che, all’ultima chiamata, zoppicando
si avvicinano al letto e posano la loro mano azzurrina
sull’inguine di una sposa sottomessa. “Per questo esisti:
per correggere all’infinito i miei errori”.

Per questo esiste un incubo chiamato Ourika, dove con i piedi
nell’acqua gelata risalgo da sola il torrente, lasciandomi alle spalle
accampamenti di cicogne, passerelle per scheletri che scendono
dall’Atlante, muri di terra rossa, bambini annegati

E un branco di pesci in guerra per alcune briciole di pane
lanciate in una vasca da una coppia di innamorati
dall’occhio feroce di bambini annegati,
che non smettono di chiedere, di chiedere, di chiedere…

 

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Nota

Le due poesie sono tratte da Scuola di calore, prossimo libro di Massimo Rizzante. Altri testi tratti dalla stessa opera sono leggibili qui, qui, qui e qui.

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10 pensieri riguardo “Il presente è più sacro del perdono”

  1. La guerre des poisson, accidenti, pare a me uno dei migliori inediti, una delle migliori poesie, lette negli ultimi anni.

    si aspetta il libro, veramente.

    un saluto,

    f.t.

  2. Che tandem: uno dei miei poeti preferiti che posta l’altro:-) Così diversi, l’uno così musicale, l’altro così prosastico, ma entrambi così risoluti nel trasfigurare in poesia e bellezza la propria solida, turgida etica…

  3. Sono molto combattuta. Quando ho letto le prime poesie pubblicate mi ha colpito da subito il registro, la forma non solo prosastica, che mi è congeniale, ma soprattutto il tratto che sembra seguire quasi una forma epica. Avevo appena riletto pochi giorni prima una lunga poesia di Kenneth Kock che s’intitola “The art of Poetry ” e mi ero soffermata a lungo poiché sembrava riprendere tematiche di cui ancora oggi si discute. Riporto solo alcuni versi che vanno a riagganciarsi all’impressione della mia lettura dei versi di Rizzante.

    […] L’epica funziona particolarmente bene nel mondo contemporaneo
    Perché siamo così insicuri di tutto e anche perché sappiamo troppo,
    Una condizione curiosa e apparentemente contraddittoria che l’epica risolve
    Restituendoci conoscenza e senso di competenza, senza per altro eliminare la mancanza di controllo[…]

    La coincidenza (sono particolarmente sensibile alla predestinazione con cui gli eventi si richiamano l’un l’altro) mi ha spinto a rileggere e ad una maggiore attenzione, ma se da un lato sentivo da parte mia un’accelerazione di fronte a questo decisamente nuovo sud di donna che si snodava in un affascinante non tempo, dall’altro qualcosa dava colpetti al freno.
    È indubbio che in letteratura si stia imponendo una coscienza nuova verso la figura femminile e che questa richieda dunque anche una nuova lingua che riesca a “com-prenderla e con-tenerla” nella sua interezza e mi sembra che Massimo Rizzante scegliendo questa sorta di narrazione sospesa fra la prosa e il poema epico ci stia riuscendo in gran parte poiché queste sue voci di donne sembrano parlarci di un’eroicità completamente denudata di quelle valenze maschili a cui sempre si accompagna, ridimensionandola o ribaltandone la prospettiva.
    Non ho potuto però fare a meno di notare che, nonostante questa nuova visione da un lato attribuisca alla figura femminile uno sguardo carnale secco e lucido senza compromessi salvifici e la si narri così atrocemente e allo stesso tempo teneramente forte, dall’altro l’iconografia della sua lingua sembra ancora incatenarla ad una condizione di sottomissione.
    Mi soffermo spesso su questa specie di dicotomia sia leggendo che scrivendo e mi chiedo come mai a questa donna, capace di tutto perfino di farsi complice della stessa terribile natura umana, non si riesca a dare ancora, in letteratura, la posizione eretta? come mai questa donna nelle sue forme verbali è sempre china, seduta, sdraiata, inginocchiata, incuneata, scavata, capovolta, distesa, bucata e sgonfiata etc.? è come se fosse una Lucy perennemente trattenuta nella sua materia fossile e si potesse narrarla solo attraverso non più di due dimensioni.

    mi scuso per la lunghezza e anche per la poca chiarezza forse, è una questione che mi pongo ma è ancora in uno stadio piuttosto nebuloso.

    grazie
    lisa

  4. Pingback: Anonimo

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