Salvare le voci le mappe

Marco Ercolani
Annamaria Ferramosca

Salvare le voci le mappe

Other Signes, Other Circles (Chelsea Editions, 2009) è un libro fluido e composito, traversato da un’energia psichica in costante sommovimento e mutamento. Lo domina un io plurale, né maschile né femminile, che da poesia a poesia sembra nascere e rinascere sempre, protagonista di una sua danza arcaica e rituale all’interno del linguaggio. I temi prediletti del poeta – l’insofferenza per l’orrore del mondo, la memoria come mitopoiesi, il femminile come rigenerazione, l’accettazione della morte, le magie luminose dell’infanzia, la parola come segno e il cerchio come condivisione – sono messi a fuoco da una scrittura disincantata, nervosa, originale, slegata da nessi prevedibili, luminosa e divagante, che si esprime con «parole nude e disarmate, strappate al magma interiore dell’autrice e dispiegate al lettore secondo una ritualità laica, commovente» (Donato Di Stasi).

«Ombra rifugio d’ombra scrivere nell’ombra
come sul pavimento di una cattedrale
a decifrare segni nel segreto
consunti per troppo amore
Scrivo in ginocchio
il gemito dei frutti al nascere
il rombo dei rami che sovrastano».

Annamaria Ferramosca descrive uno smarrimento panico sorvegliato dall’atto lucido della scrittura, un’estasi controllata dove il “pavimento di una cattedrale”, il “rifugio d’ombra”, “il gemito dei frutti” e “il rombo dei rami” indicano un movimento di “nascita”, evocato simultaneamente dai suoni e dalle immagini: «…se continuiamo a stupirci, se avvertiamo che sempre si risveglia qualcosa di nuovo e continuiamo a voler scambiare il nostro stupore, è come stessimo rinascendo. Per me la poesia è continua perdita e continua rinascita».

«E mentre esci dal bar
addenti le parole
Lo scatto della fronte
sprofonda dentro la mia terra
dentro un progetto di leggero vivere
scrollando temporali
con la pazienza dell’arcobaleno»

Il lettore si confronta con dei cortocircuiti emotivi, dove il “silenzio semiloquace” e la “semimuta parola” sono realtà vissute “fino all’intero”, proprio nel corpo del linguaggio, nel farsi della parola, nella costruzione della sintassi poetica. Non come progetto mentale che poi sarà rivestito di parole, ma come parola salda nella mente-corpo che la esprime, pensiero-parola alla perenne ricerca della sua visibilità, nell’incrocio di registri diversi che seducono il lettore con cadenze ipnotiche sottolineate da termini antichi o scientifici o da citazioni brevissime, in una sofisticata ibridazione di risonanze.

«Energia palpabile di roccia, vibrata
da nodi antichissimi, disfatti
febbrili polso e dita
segnano l’aria di voli, di brusii»

L’energia “palpabile” che emana dalle rocce, dai loro “nodi antichissimi”, trasforma il paesaggio terreno e quello umano. I voli, i brusii, non passano senza lasciare nell’aria delle tracce. Senza “segnarla”. La natura di questa poesia è sempre un nucleo pulsante, intransitivo, mitopoietico, fondato sulle aritmie della percezione. Scrive William Blake: «Se le porte della percezione fossero ripulite, tutte le cose sembrerebbero infinite».

«Al capolinea
ho salvato gli stracci più preziosi,
poche frasi e scarne,
capaci
di guidare il destino
Ora so riconoscere i miraggi
Ora so arrendermi
alle ombre di materia soffribile
Non temo
altri giochi brutali
e cammino
Un cammino placato»

Prosciugare le metafore dagli eccessi barocchi per arrivare alle “poche frasi e scarne” di quello che ora è “un cammino placato”: queste le “ombre di materia soffribile” di una poesia metafisica nel suo naturale esporre le domande dell’uomo sul proprio destino e carnale nelle suggestioni ritmiche, nelle pulsioni di danza, con cui le esprime. La natura della poesia è “melica”, e Ferramosca sottolinea questo essere voce della parola: «[…] sappiamo come la lettura silenziosa non possa rendere, anche per un limite nella grafica fonetica, le vibrazioni di tono, il respiro, le pause, il volume. Il suono della voce, in poesia come in musica, è uno strumento che va oltre la nominazione, oltre la trasmissione dei significati».
Dentro un’ebbrezza di cui talvolta ci sfugge il filo di Arianna, si incontrano architetture verbali che mescolano l’ironia lieve del ricamo (“gli orli / sono ricamati di domande”) al gioco affilato del bisturi, all’irrompere del viaggio verso strade che si assomigliano o divergono, senza cambiare la mèta:

«là devo accompagnare
tutti coloro che mi sono partiti
salvare le voci le mappe
i consigli di viaggio i contagi di luce»

Questo “salvare le voci le mappe”, “i consigli di viaggio i contagi di luce”, ci porta al tema fondamentale del libro: i “segni” e i “cerchi”. Le parole dicono e testimoniano, iscrivono segni nella carta, nella creta, nella roccia, sono grafiti della memoria, mappa visibile; ma è anche necessario uscire dalle mappe, arrendersi al silenzio, ai “contagi di luce”, entrare in un cerchio comune, che è grazia e danza, nuovo equilibrio.

«Il tormento – abbiate compassione –
è afferrarne i brani, separare
intraducibili note di silenzio
dai rumori terragni, attendere
che in alto appaia la fune scintillante
col trapezista assorto, che governa
insieme volo ed equilibrio, indica
l’esattezza del tempo

– Abbiate comprensione – brulica
di invisibili segni
il silenzio»

È in questa esattezza, sospesa tra volo ed equilibrio, in questa “fune scintillante”, che la poesia di Ferramosca si mostra, nella sua natura più autentica, silenzio che brulica di “invisibili segni”.

tatuata casa-paese, che con noi cammina
ovunque, sotto l’unico cielo scritto dalle stelle
paesemondo
per vivere, con-vivere

La poesia è paese mondo, “racconto vivo che non si ferma / oltrepassa i muri”. È sempre un “dipanare vita”, un portare con sé la propria casa, inscritta sulla pelle, ogni volta esponendola al “fuori” terribile o bellissimo del mondo.

«Nel confondente richiamo delle pietre
dall’ultima riva un brusìo
familiare soffia sulla nuca
sulle vele inarcate a proteggere
la mia traversata».

Questo “brusìo familiare” è, simultaneamente, le voci dei morti e dei vivi: la voce rivoltosa della donna, voce «d’Antigone disobbediente» che «scrive per dire no/ alla morte-per-uomo / scrive per chiedere». In ogni poeta autentico, questa domanda non è solo interrogazione metafisica che risuona nel silenzio, ma domanda fatta «per intimare al tempo di rispondere». Qualcosa di luttuoso, di solenne, di carnale e di giocoso, abita i versi di Annamaria, che escludono a priori il semplice gioco verbale. «Chissà un giro di parole disseta». Questa poesia costringe il lettore ad inoltrarsi in una lettura plurale e labirintica, perché ogni testo è finito, è una forma conclusa, sì, ma un frammento aperto del libro, che procede per analogie, mosse laterali, squilibri fra sonno e veglia. A Ferramosca piace spesso chiudere le sue poesie con «quella specie di lampo sul verso finale, quel voler quasi isolare le ultime parole tra memorabilità e mistero». Predilige anche abbracci voluti di parole, come “fendinuvole” e “asfaltocielo”. «La fusione di termini – scrive Annamaria – è per me una possibilità lessicale dilatabile all’infinito, trovo che valore semantico e potere evocativo possono moltiplicarsi e assumere nuovo senso, diverso da quello dei termini usati singolarmente. Inoltre i termini polifusi conferiscono sonorità e ritmo particolari, nuovi, per la più vicina contiguità di certe aperture vocaliche o consonanze. Questa necessità interna è certamente barocca, (con quel meravigliosomorbido di pietra tenera che ha il barocco). Esiste una pre-lingua comune, un unico nucleo emozionale che trasporta da una lingua all’altra scintille capaci di riaccendersi». Di questa pre-lingua la poesia di Ferramosca conserva le impronte reali nella sua scrittura. E di questa pre-lingua ogni critico dovrebbe parlare più spesso, senza essere travisato dai contenuti apparenti del testo. Lo stato di “incantamento” a cui ogni poesia conduce è orientato da queste arcaiche scintille linguistiche. La parola chiede al poeta una riformulazione spasmodica di se stessa, un suo tormentoso nascere e tornare dentro se stessa per ricostruire un destino sempre diverso, tra nostalgia e magia, tra vigilanza ed emozione.
Sempre, di un poeta, la prima cosa a colpirci è l’originalità del suo “tono”. Capita ad ognuno di noi di ascoltare una nota musicale e capire immediatamente a quale autore appartenga, anche se non sappiamo riconoscere il singolo brano. Riconosciamo non la melodia o i suoi timbri, ma proprio quell’atmosfera che potremmo definire il “tono” dell’autore. Alcune sospensioni timbriche ma pervase di melodia dell’ultimo Schubert sono molto diverse da certe audaci sospensioni tonali ma astratte dell’ultimo Beethoven. Ogni poeta ha il compito di approfondire il proprio patrimonio tecnico per trovare il tono che più lo seduce in poesia, non cercare ciò che a lui non compete, ma trovare ciò che a lui è consentito (direbbe Danilo Kis, ordinato). Ferramosca è esatta quando scrive:

«Infine che cosa ho fatto se non
lasciarmi andare sulla scia dei nomi?
Amicheamici che mi aiutate a scenderesalire
gioisco del vostro tocco non so darvi in cambio
che qualche ritmo e un brusìo
di un arrivo lontano
che già è partenza»

Il tono del poeta è la “pazienza” di ascoltare/scoprire la propria voce, è una “luce sul confine tra carezza e lama”: di questa luce obliqua e sghemba è solo lui il responsabile. Il linguaggio poetico di Annamaria assume toni di una sensualità acuta, morbida, struggente, che trova riparo (o forma) in una logica formale severa (ma leggera), con la quale non smette di comunicare.

«Sonno infantile, lava che pietrifica
una fila di pietre da riscrivere
[…]
Così mi segui. Il sogno è un Librocielo
Noi sotto un planetario di manoscritti».

Ne nasce una scrittura metricamente rapsodica, onirica ma reale, talvolta “politica”, indignata e tenera, perturbante e familiare, che al linguaggio scientifico ed epigrafico intreccia ritmi sospesi di danza. Commenta Antonio Fiori: «Ferramosca pratica una poesia originale e di grande effetto, […], una metapoesia scintillante, fatta di neologismi, improvvise aperture d’immagini, cadenze inusuali; l’autrice si interroga razionalmente (sulla scrittura, sul ritorno, sul futuro che attende) ma si abbandona anche al sogno, all’associazione libera, alla parte inconsapevole dell’io. Una voce poetica validissima, che coniuga ricerca e tradizione, canone e libertà».

«Vorrei dirvi – no – piuttosto dirti
la mia poesia, vorrei
da te ascolto lancinante
risposta acuminata
come fossimo solo due
con l’oceano nel mezzo
e ti stessi scrivendo
la mia lettera estrema, di consegna»

Ferramosca affonda la sua scrittura in «un labirinto in sinuosa traccia danzante / che di continuo inverte il moto», e continua a scrivere ogni poesia come “lettera estrema”, “risposta acuminata”, che dal lettore esige un “ascolto lancinante”.

«E non so perché mi commuove
tutto di questo bus fendinuvole:
la marcia sul freno i sobbalzi il contrasto dell’aria
il riflesso sul vetro del pianto stellare
il turbine del sangue sottopelle
– nostalgia del bigbang – se il cuore
sta meditando di rallentare, predisporsi al viaggio»

Il “bus fendinuvole” dove sale il poeta al “capolinea paziente”, il privilegiato punto di osservazione da cui l’autrice assiste alla piccola folla composta che sale, all’inclinazione sottile dei loro corpi, smuove il “turbine del sangue sottopelle” che, nella fisiologia dell’atto poetico, è insieme “nostalgia del big bang” e microcosmo tragico della nascita/perdita dell’io, dolore del silenzio e necessità della parola.

«Se è vero
che la parola nasce dal silenzio
voglio tacere. Fino
ad un silenzio compulsivo
Dopo
Dopo lo sperpero dei segni, dopo
la purificazione delle stanze, spenta
l’ultima scintilla sullo schermo
soltanto pietre
da interrogare»

Le interroga questa poesia inafferrabile ed esatta, che abbraccia vita e morte, movimento e stasi, parola e silenzio, con la stessa cantabile e luminosa passione.

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Il libro di Annamaria Ferramosca a cui fa riferimento questo breve saggio è Other Signes, Other Circles, (traduzione e introduzione di Annamaria Crowe Serrano, Chelsea Editions, New York, 2009). Le citazioni virgolettate, ove non si riporti il nome dell’autore, sono versi o dichiarazioni dell’autrice.
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38 pensieri riguardo “Salvare le voci le mappe”

  1. Sono molto lieto che il mio saggio sulla poesia di Annamaria appaia proprio a cura di Francesco. Lui stesso, pochi mesi fa, mi aveva segnalato l’originalità di questa poesia, che conoscevo appena. Poiché Francesco è una delle rare persone del cui giudizio non dubito, ho approfondito la conoscenza e sono venute fuori queste note, a cui Annamaria ha collaborato con osservazioni attente “in corso d’opera”.
    Grazie, Marco.

  2. Ne è venuta fuori un’analisi di grande spessore, precisa e accurata, su un’opera di altissima scrittura – che amo profondamente. E che mi conforta, tra l’altro, in una mia vecchia convinzione: che le cose migliori in poesia, negli ultimi decenni, sono venute da donne.

    fm

  3. E’ tutta mia la felicità -e l’onore- di essere qui ospitata per la seconda volta, ora in compagnia di luci in ogni piega, grazie allo scandaglio empatico di Marco. vi dico intensamente grazie.

  4. Saggio acuto e curato per una poesia che mi piace moltissimo, e di cui apprezzo (fra gli altri) soprattutto quell’ultimo passaggio che si cala nel silenzio, e come pochissimi sanno fare vi si cala e lo racconta.

    (mi è servito ritrovare questa dimora)

    francesco t.

  5. Grazie a questo post e all’analisi, apprezzatissima, di Marco Ercolani sono tornata a leggere le poesie di Annamaria Ferramosca pubblicate su Rebstein lo scorso anno. Ammiro molto la sua scrittura, per la sua originalità e perché mi arriva forte un senso di “fiducia” nella parola/poesia, che è “continua perdita e continua rinascita”. Insomma è stato facile af-fidarmi alle sue parole, trovando sotto di esse, nelle radici, il necessario silenzio, gli “invisibili segni”.

    Complimenti sinceri ad Annamaria Ferramosca per la sua poesia e a Marco Ercolani per questa attenta lettura. Un carissimo saluto e un abbraccio al padrone di casa (felice, felicissima di trovare la Dimora in piena attività!).

    Stefania Crozzoletti

  6. Un libro che ho amato. Poesia di grande spessore e con una traduzione curata e accurata da parte di Anamaria Crowe Serrano. Molto profonda e pertinente la nota critica di Marco Ercolani, che mi sembra raccogliere ed esporre con sensibilità e precisione i tratti più caratteristici della poesia di Annamaria, che saluto calorosamente e abbraccio.
    Daniela Raimondi

  7. Mi sembra, questa di Marco Ercolani, una lettura avvincente ed attenta di un libro che, ancora, non ho letto interamente, anche perché non lo possiedo. Da quello che lui scrive capisco che c’è un mondo magico che anima “Other Signes, Other Circles” nel significato antropologico, culturale ed arcaico che De Martino attribuisce alla magia. Mi sento attratta da questa poesia così particolare, unica che, a tratti, si fonde con la natura, che è canto e danza: ricerca del silenzio e, dunque, ascolto.

    Un saluto,

    Rosaria Di Donato

  8. per Francesco (Tomada, vero?) e Stefania: aggiungo ancora silenzio alle vostre parole di apprezzamento, e continuo in silenzio vigile il mio ascolto nella speranza di poterlo ancora restituire. voi incoraggiandomi a proseguire, grazie.

    per Daniela: mi ha fatto molto piacere che tu abbia ricordato l’apporto di Anamaria, la mia omonima sorella irlandese, che ha saputo fare delle mie parole una vera ricreazione poetica in inglese.
    sai quanto io senta la tua scrittura camminare felice nella stessa dimensione dei cerchi che condividiamo… spero di ritrovarci insieme con i Quaderni del poiein, un caro abbraccio.

    per Rosaria:l’elemento arcaico-magico emana dall’impasto ibrido della mia terra d’origine che conserva le tracce di tante anime di antichi popoli, dai messapi ai greci dei riti dionisiaci. e’ uno spirito del luogo che forse solo chi è nato in Salento può ri-conoscere in tutta la sua potenza. un qualcosa nell’aria, una nota di “carattere”, che sempre indica la gratitudine alla terra ed esprime il desiderio di abitarla condividendo ogni timore, ogni assenza.

    e Marco Ercolani, che voi tutti avete molto apprezzato, ha davvero lavorato profondamente su questa scrittura con l’umiltà che contraddistingue un vero critico, chiedendomi perfino qualche lume. Marco ama porsi di fronte ai testi come un qualsiasi lettore, lasciandosi investire dall’onda empatica e riportando poi i densi frutti dell’urto tra la parola letta e la proprie profonde doti di sensibilità e cultura.
    Ogni autore dovrebbe augurarsi questa modalità autentica di lettura critica.

    ripeto anche qui che il libro, essendo stato pubblicato a New York da Chelsea Editions, non è distribuito in Italia, ma può essere facilmente richiesto on line su Amazon.com .

    ancora il mio caro saluto a voi tutti,
    A.F.

  9. Ringrazio i lettori e Annamaria, che ha sottolineato una delle caratteristiche forse più “importanti” del critico, superiore a quella dell’acume indagatorio: essere un lettore invaso dall’onda d’impeto di quella poesia (non di un’altra) e proporre una propria razionale intepretazione di quell’onda emotiva. Questo è, in sintesi, il mio tentativo. Anche se corre molti rischi. Entrare nel terreno delle suggestioni e delle fantasticherie personali, essere visto come un “impressionista” dei giudizi, uno che esercita in modo non corretto il mestiere. Credo, però, che questo approccio ci consente di individuare dei nuclei vibranti, nella poesia altrui, che a una critica enumerativa o dissezionatrice possono risultare estranei. Credo che questa strategia di avvicinamento possa inventare aperture, più che chiusure, e soprattutto rendere il mestiere di critico più simile a quello di sismografo di circuiti verbali che a mero compilatore di schede.
    Marco

  10. complimenti all’autore del saggetto, molto partecipativo, emozionale, quasi sensuale… mi piacerebbe che qualcuno scrivesse così della mia poesia, con le vibrisse dell’anima più che con le antenne della ragione. ma prima di tutto alla poesia che lo ispira che ho apprezzato subito (anche se non ho avuto modo di dirlo ad AM) e che considero di alto livello. le traduzioni sono l’immagine specchiata dell’originale: vuol dire che c’è grande sintonia emotiva fra le due poetesse. grazie della lettura.
    francesco d.

  11. Grazie del commento, francesco d.
    Le vibrisse dell’anima SONO le antenne della ragione, come Apollo è Dioniso, ma un attimo dopo.
    Marco

  12. Ciao Annamaria, ho avuto modo di incontrare recentemente la tua poesia (“Pugliamondo”, e poi in rete) che mi riprometto cmq di approfondire ulteriormente. Non avendo letto questo libro, mi affido, e mi affiderei comunque visto il calibro del “lettore”, a questa preziosa analisi di Marco che trovo perfetta nel titolo (nell’accostamento delle voci alle mappe, dato che i tuoi versi si “muovono” in modo corale e contengono una narrazione dentro la quale si è invitati a “navigare”)
    e particolarmente acuta nel passaggio: “È in questa esattezza, sospesa tra volo ed equilibrio, in questa “fune scintillante”, che la poesia di Ferramosca si mostra, nella sua natura più autentica, silenzio che brulica di “invisibili segni”.”
    Questo perché, l’immagine più immediata, che mi è venuta incontro, anche nella lettura dei post qui sulla Dimora, per via dei titoli e della scelta delle “due voci” nella raccolta “Other Signes, Other Circles”, è quella di un “ponte” di ascolto (e il ponte, così come l’arcobaleno, è una immagine ricorrente in diverse) fra “due voci ” appunto (che di volta in volta possono assumono sembianze e contesti diversi),
    un ponte/arcobaleno che è allora anche quella “fune scintillante”, messa in evidenza da Marco, aventi come estremi “il volo” e “l’equilibrio” (bello!)
    perché “A librarsi”, per es. “… Sì, su un libro” (questo libro ) “a volte, /si diventa leggeri,”, e diventa possibile “vedere il dedalo dall’alto”.
    Lo stesso fa il canto della poesia, capace, anche nella evenienza del se si dovessero o “Si interrompono i ponti”, anche nell’apparente indifferenza-estraneità del sonno (““Anche se dormi “), capace, come nella bellissima “Ninna-Nanna All’incontrario”, di cantare,
    sicché la bellissima esortazione nella ninna nanna, è rivolto alla poesia, oltre che al bimbo/bimba: “ canta / Tu solo puoi cantare / dalla regione dell’arcobaleno, / ponte comprensibile / che unisce tutti i nidi di colombe”.
    Grazie a te, a Marco e a Francesco.
    Ciao!

  13. Per francesco(dalessandro): non posso che intimidirmi e trasmettere con gioia subito le tue parole ad anamaria, se è l’ottimo traduttore di Keats ad apprezzare testo e traduzione! per ora il mio grazie da parte di entrambe, con un caro saluto,
    annamaria

  14. sì, Margherita, l’adesione di Marco forma dei binari davvero diritti/direzionati al cuore della mia scritturae, come vedi, ottengono il giusto risultato di stimolare alla lettura. non voglio aggiungere altro a tutte le dense suggestioni che offri, perchè sei tu, come ben sai, che devi ricreare la tua personale poesia dalla lettura ed ogni surplus di commento da parte mia davvero sarebbe fuori luogo/verso(è già tutto in quei segni. e tu fai parte dei cerchi).
    spero di poterti incontrare personalmente per poterti donare qualcuno dei miei primi libri ormai esauriti. un forte abbraccio, insieme ad un saluto, sempre sotteso, anche a Marco e a Francesco,
    annamaria

  15. Una lettura in parte irrazionale questa di Marco Ercolani, che si lascia suggestionare dal testo di Annamaria e che per altre vie, non criticamente canoniche, riesce a dire, alla fine, molto più di quanto avrebbe detto in una recensione ‘tradizionale’. La mia breve lettura, gentilmente citata, sottolineava l’ampia gamma di temi, immagini e scelte lessicali ed il continuo scintillare di questi versi (che con l’avanzare della lettura, anziché sorprenderci un po’ menoi, si rivelano, al contrario, sempre imprevedibili)
    Un caro saluto a Francesco, Annamaria, Marco…a tutti insomma
    Antonio

  16. Cara Annamaria, grazie per avermi segnalato questo blog.
    Mi sembra davvero molto interessante il libro e la lettura che ne dà Marco Ercolani. Non sempre è facile entrare nell’opera del poeta e questo critico lo fa con grande trasporto ed entusiasmo. A volte mi chiedo: ‘Ma dove sono finiti i critici? Che cosa leggono? E perchè la poesia occupa uno spazio sempre più risicato nelle librerie?’
    Sto pensando a sinergie che potrebbero nascere, da blog a blog, per diffondere la poesia anche e semplicemente con il ‘passaporala’, tipo: ‘Mi siete accorti che è uscito questo libro? E’ bello, leggetelo… per queste e queste ragioni..’ Purtroppo il mio contributo è minimo, in questo caso, come in altri… sebbene io stessa gestisca un blog di poesia, come sai… Sto pensando, adesso, di ‘attivare’ il mio blog ospitando anche contributi di altri poeti-critici in modo da allargare il campo visivo sul mondo della poesia.. penserò a come fare… sempre per amore della poesia, nel nome della poesia.

  17. Ringrazio Antonio, che apporta sempre nelle sue letture notazioni insolite e sottili aperture anche sul linguaggio. ricordo sempre la sua luce sui termini polifusi che di tanto in tanto punteggiano i miei versi.
    chiarezze di cui Marco ha intelligentemente tenuto in conto. spero di rivederti, Antonio, presto in terra sarda, un carissimo saluto,
    annamaria.

  18. @Margherita.
    Il discorso del “ponte” è perfetto per questa poesia. Direi che è la prima immagine che mi è venuta in mente e mi ha sostenuto nella stesura del saggio.

    @Antonio.
    Concordo. Io lavoro su suggestioni che poi ordino e riorganizzo, cercando
    soltanto dopo un discorso razionale. Non è certo il classico lavoro del critico ma, mi viene da dire, quale lavoro critico può essere fatto, oggi, in un clima di separazione emotiva dal testo?

    @Luigia.
    Non so dove sono finiti i critici. Ne conosco, ma sono sempre più rari, che studiano e commentano testi nelle loro stanze, attenti al proprio lavoro sempre più invisibile, che solo siti come questo a tratti portano alla luce.

    Un grazie autentico a tutti.

    Marco

  19. un saluto caro e grato anche all’amico gentilissimo Roberto, che mi segue da alcuni anni aggiungendo la bellezza della sua visione pittorica a molti dei miei testi.

    A Luigia rispondo oltre che con il consueto grazie per il passaggio, con l’apprezzamento di ciò che lei fa per la poesia, sia con la sua densa scrittura, che con il suo lavoro di interviste ai poeti. questa idea di dilatare il territorio poetico e far dialogare i blog in rete , già in atto, dovrebbe essere ancor più sviluppata e un tuo apporto sarebbe davvero utile, Luigia. il dialogo largo tra critici e lettori nel web potrebbe essere uno stimolo ad aiutare la poesia aggirando il noto deficit di attenta promozione e distribuzione. auguri per il tuo lavoro dunque, che sostengo.
    con il mio abbraccio,
    annamaria

  20. Sono veramente contento della discussione che questo lavoro critico di Marco sta suscitando. Un grazie e un saluto a tutti.

    fm

  21. Grazie a tutti voi…
    Continueremo a parlare (e a scrivere) di poesia, da blog a blog.. Provando, magari, a far nascere un nuovo progetto.

  22. C’è un qualcosa che vibra, che tocca e che si può toccare nella poesia di Annamaria Ferramosca (“Energia palpabile di roccia, vibrata / da nodi antichissimi […]”). Non sto parlando di una vera e propria tattilità, ma di quello strano fenomeno che si verifica talvolta – sempre più raramente a dire il vero – quando, quasi (in)naturalmente, si instaura tra il lettore e l’autore un rapporto, per così dire, elettrico. Qui c’è qualcosa che si propaga, una sorta di energia che lega i due poli attraverso una conduzione multipla e, per così dire, polistrutturata. Siamo dinanzi a una scrittura dichiarativa e al contempo interrogativa, generata dal silenzio che precede la parola e indirizzata verso il silenzio cui la parola tende, abitata da passioni e perdite e che si dipana sorvolando appena la “terra” di cui si fa portavoce. Nelle fughe in avanti, nelle necessarie sospensioni e nel procedere a ritroso dentro il sé, tra l’innato verbo originario e l’inconosciuto divenire, il «transito» (quella che Ferramosca definisce “traversata”) sembra disegnare lampi di luce e si fa carico di una missione quasi salvifica (“[…] salvare le voci le mappe / i consigli di viaggio i contagi di luce”, ma anche “[…] separare / intraducibili note di silenzio / dai rumori terragni […]”) volta – se mi concedete le suggestioni – a riconvertire i segni in segnali e a intrallacciare tra loro i cerchi per creare movimenti spiralici e moltiplicare le possibilità evolutive di un senso che rifiuta qualsiasi carattere di univocità.
    Per dilungarsi oltre bisognerebbe leggere l’intero libro, ma gli assaggi forniti da Marco (nella sua puntuale e perfetta analisi) ci instradano verso la piacevole inevitabilità di una forte seduzione.
    Grazie a entrambi!

  23. colpita dall’intensità della tua lettura, Enzo, ti rispondo: ecco un esempio-luce di come, su sollecitazione di uno sguardo profondamente empatico sui testi (qui di Marco Ercolani), un lettore possa, attraversando solo pochi stralci di scrittura (non chiamo mai poesia le mie parole-lo farà semmai il tempo futuro-)derivarne una emozione così lucida, calda, così multipla di echi. ti so autore e regista, dunque il tuo kilometraggio di letture e di esperienze e di feedback emotivi sa rintracciare facilmente infiniti percorsi di suggestione e restituirli intorno contagiando voglia di partecipazione. ti ringrazio per questa tua lettura così preziosa e spero di poterti conoscere presto (potresti, se vuoi, come recensore, richiedere il libro direttamente a http://www.ChelseaEditionsBooks.org,, fammi sapere se avrai difficoltà)

    essendo in argomento, approfitto (mi perdonerai, Francesco?) di questo piccolo spazio per dire che presto sarà attivata su poesia2punto0 una rubrica dove chi voglia far conoscere un testo di altro autore può presentarlo impegnandosi a seguirne la scrittura nel tempo. perchè la catena virtuosa emozionale intorno alla poesia possa in concreto dilatare… un abbraccio a tutti voi

  24. Ringrazio Enzo del suo intervento. Ci sono feedback importanti nella poesia, e quella di Annamaria ne suscita numerosi. Questo significa che la sua “scrittura” – come lei puntualizza – non riesce a essere facilmente esaurita o conclusa da un commento, ma ne evoca ulteriori. Un dono di questa poesia…

  25. Un bell’incontro tra la poesia e la critica aperta sia all’analisi testuale che alla suggestione emotiva delle parole. Molto è stato detto prima di me da chi ha commentato questo post, con efficacia, passione e partecipazione. Da parte mia sottoscrivo volentieri gli apprezzamenti e confermo ad Annamaria e Marco la mia stima e l’amicizia, e le felicitazioni per i segni ed i cerchi tracciati insieme. IM

  26. In ultimo,e per ultima, vorrei un po’ di…” riconoscimento” anch’io dato che ho spronato Marco a occuparsi della poesia di Anna Maria in conomitanza con Francesco. In particolare dopo aver letto i suoi bellissimi Cerchi… E lui si è messo al lavoro con passione, fatto la sua full immersion nei modi che gli sono congeniali (antitradizionali e tanto convincenti). Superfluo ripetere qui la mia profonda stima per lei e per la bravura di Marco che…conosco da un pezzo.
    Ma mi contraddico subito: la ripeto anche qui, cara AnnaMaria, e sento che la ripeterò alla prossima occasione.
    lucetta
    lucetta

  27. il tuo soffio da un angolo sulle tempie di Marco, dunque. ti sono grata Lucetta. e da molto tempo conosci la mia sintonia con il tuo pensiero poetico, siamo su binari paralleli, ” verso dove” non è dato sapere, ma l’importante è l’umilltà nel guardarci e riconoscerci.
    un abbraccio grande a te, a Marco, a tutti coloro che attraversano questa Dimora, a Francesco che la tiene accesa,
    annamaria

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