Per la mano sinistra – di Marco ERCOLANI

Dürer Albrecht, Zwei Paar Hände mit Buch, 1506

                   Marco Ercolani – Per la mano sinistra

La forma è limpida – per esprimere cose e opache.

Ma se, dalla porta in cui appaio, fossi già scomparso?

Certi giorni, che trascorrono senza di me.

Scrivere è un atto di violenza, un magico errore, una gioia senza nome.

La poesia non nasconde e non svela.

La forma della poesia confluisce in suoni che ne cancellano l’architettura.

Prima di scrivere, maturo la gioia di tacere.

Sciolse la scena del disastro con parole che risuonarono armoniose.

Somigliando a qualcuno mi scopro inimitabile.

Lo spostamento di un avverbio è più eversivo di una rivoluzione vittoriosa.

Le opere inessenziali hanno una grazia particolare.

I fiumi si differenziano per i detriti che trascinano.

***

La pertinenza del testo: modulare una passione.

Le perfezioni sono attimi.

La poesia è abitare desideri impossibili.

Il fulmine frantuma lo specchio che riflette il lampo.

Lo scrittore ha un solo dovere: essere cosciente delle proprie visioni.

Perché la mia lingua sia vera, deve averla nutrita il buio.

L’immobilità: limite estremo del rallentamento del moto.

Lo scoglio non esaurisce il flusso delle onde.

Scrivo per prepararmi a scrivere in qualche impossibile giorno

Siamo perduti, solo se siamo stati ingiusti.

Disimpari lo stupore e cominci a morire.

Disorientare il presente: sopravvivere.

***

Allo scrittore accade di anticipare se stesso senza conoscersi ancora.

La parola è indicibile. Ma occorre scrivere per saperlo.

Morirò per non essere sopraffatto dalla morte.

Maldestri e inutili, stupidi e balordi. Eletti.

Qualcuno si crede originale per eccesso d’ignoranza.

Il linguaggio può trasformare, ma bisogna esserne all’altezza.

Non c’è nulla di conforme: mi aiuta la scienza del deforme.

Nascere sempre nel tempo sbagliato.

Scrivo per ripetere ciò che non sono. Per allontanarmi da me

Non avendo più nessun desiderio, come posso desiderare la morte?

Solo quando la casa va a fuoco, è visibile la sua architettura.

***

Chi è cieco grida di non vedere. Non scrive aforismi sulla cecità.

Distruggere quel suono solo per aprire le orecchie a un altro suono.

L’arte, consumando opere, non si annulla ma cambia forma.

La parola è trasparenza dell’io all’esperienza dell’abisso.

Non si crea verità ma la si dissotterra.

Prima necessità: esprimersi. Prima necessità: ammutolire. Da dove si inizia?

Un uomo che guardi se stesso da lontananze estreme e trovi un linguaggio possibile.

La forma dell’io, alla radice, è visione del non-io: vertigine dello specchio.

Un dio – ma simile al fumo che sale dalle macerie.

La forma più primitiva del sapere è un soffio di vento.

Il passato non è mai certo della sua estinzione.

***

La follia, come l’arte, presume di sconfiggere la morte.

La scrittura è spartito per la voce.

Troppe parole, nella pagina, e pochissimi ricordi, nella mente.

Uccidermi sarebbe perdere il flusso vivente di cui solo io sono occhio e orecchio.

Avvicinarsi alla mancanza di maschere è la via maestra per togliersi la vita.

Scrivere è parlare di un vento di cui non ricordiamo il suono.

Nessuna interiorità è personale.

Tutte le idee vengono dal sonno.

Solo chi si sveglia può osservare dormire.

Dormire è appartenere al segreto di un altro.

All’interno del sonno c’è un risveglio di cui la scrittura è complice.

Il testo è il risveglio ma il fondo della parola è il sonno.

Stile: gioco di equilibri attorno a un precipizio.

***

La scrittura è il sogno illegittimo ma reale della resurrezione.

Il sonno rende la veglia un territorio misterioso.

La vita: progressivo misconoscimento del mondo.

Ci sono fantasmi che devono esistere per noi e oltre di noi.

Farsi sopraffare dalle voci è la volontà di creare un non-luogo della letteratura.

Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa.

Disegni fatti di fuliggine e cenere, di ciò che è esistito ed è bruciato.

Il vero incendio è dove soffochi, non nel chiarore delle fiamme.

Ricordo impossibile: il sole sotto il cuscino.

L’opera deve restare segreta, se occorre, contro il suo stesso autore.

Annotare, ma lentamente.

***

Missione impossibile ma necessaria: trovare le frasi lucide dello stordimento.

E’ l’opera stessa a inventare l’io nel quale vuole esprimersi.

La scrittura può descrivere i colori, ma ogni descrizione è un’ombra.

La musica tradisce il corpo meno della parola.

Della musica attrae il silenzio suscitato dalle note.

Scrivere: emorragia che non può essere fermata.

Ci sono ferite che richiudere sarebbe un delitto.

Aveva molto buio, nelle dita.

Accettare il fallimento personale come la linfa necessaria.

***

Perseverare nel sogno: scegliere il delirio contro l’annientamento.

Alcuni intervalli, dentro il mio sonnambulismo: gli atti vitali.

Riposare dai miei folli. Non vivere più in loro ostaggio.

Ritrovare, sotto il torace, la gaia, palpitante oppressione di creare.

Letteralmente non togliere mai la penna dal foglio.

Stupirsi per chi ti chiede cosa stai scrivendo.

I libri: la propria ferita, inarrestabile, scesa a patto con delle cicatrici.

La «cifra del tappeto» di tutta la mia opera è la necessità di vivere nonostante.

Per chi esige una certa luce, l’ombra non sarà mai sufficiente.

Non vivere neppure un attimo senza le potenzialità della parola.

Pagina mai vuota – inesauribile esorcismo.

Nota biobibliografica

Marco Ercolani è nato a Genova nel 1954, dove vive e lavora come psichiatra. Scrive racconti fantastici e vite immaginarie e indaga il rapporto arte/follia. Tra i suoi libri di narrativa: Col favore delle tenebre (Coliseum, 1987), Vite dettate (Liber, 1994), Lezioni di eresia (Graphos, 1996), Sindarusa (Tabula fati, 1997), Il mese dopo l’ultimo (Graphos, 1999) Carte false (Hestia, 1999), Il demone accanto (L’Obliquo, 2002), Taala (Greco & Greco, 2004) e Il tempo di Perseo (Joker, 2004.) È autore di due volumi di critica poetica, Fuoricanto (Campanotto, 2000) e Vertigine e misura (La vita felice, 2008). Ha curato il volume collettivo Tra follia e salute: l’arte come evento (Graphos, 2002) e il convegno L’arte della follia (Genova, Biblioteca Berio, 2004.) Suoi testi sono pubblicati in Riga, Poesia, Il gallo silvestre, Ipsofacto, Nuova Corrente, Anterem, La clessidra, Nuova Prosa, La mosca di Milano, Ciminiera. È stato redattore di Fanes, rivista di cultura psicoanalitica, e di Arca. Quaderni di scrittura. Con Luisella Carretta ha ideato la collezione di arte e scrittura Scriptions. In coppia con Lucetta Frisa ha scritto L’atelier e altri racconti (Pirella, 1987), Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000) e Anime strane (ibidem, 2006) e dirige per le edizioni Joker «I libri dell’Arca».

***

14 pensieri riguardo “Per la mano sinistra – di Marco ERCOLANI”

  1. La poesia non nasconde e non svela.
    La poesia è abitare desideri impossibili.
    Lo scoglio non esaurisce il flusso delle onde [ma quale lotta dolorosa interiore..]
    Solo quando la casa va a fuoco, è visibile la sua architettura.
    Prima necessità: esprimersi. Prima necessità: ammutolire. Da dove si inizia?[e qui direi da ammutolire]
    Uccidermi sarebbe perdere il flusso vivente di cui solo io sono occhio e orecchio.
    Avvicinarsi alla mancanza di maschere è la via maestra per togliersi la vita.
    Stile: gioco di equilibri attorno a un precipizio.
    Ci sono fantasmi che devono esistere per noi e oltre di noi.
    Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa.
    Disegni fatti di fuliggine e cenere, di ciò che è esistito ed è bruciato.
    L’opera deve restare segreta, se occorre, contro il suo stesso autore.
    Missione impossibile ma necessaria: trovare le frasi lucide dello stordimento.
    La musica tradisce il corpo meno della parola.
    Scrivere: emorragia che non può essere fermata.
    Ci sono ferite che richiudere sarebbe un delitto.
    Aveva molto buio, nelle dita.
    Accettare il fallimento personale come la linfa necessaria.
    Perseverare nel sogno: scegliere il delirio contro l’annientamento.
    Alcuni intervalli, dentro il mio sonnambulismo: gli atti vitali.
    Riposare dai miei folli. Non vivere più in loro ostaggio.
    Ritrovare, sotto il torace, la gaia, palpitante oppressione di creare.
    Stupirsi per chi ti chiede cosa stai scrivendo.
    La «cifra del tappeto» di tutta la mia opera è la necessità di vivere nonostante.
    Per chi esige una certa luce, l’ombra non sarà mai sufficiente.
    Non vivere neppure un attimo senza le potenzialità della parola.

    ***

    Ho ripreso i miei preferiti. Chiedo scusa per il ri-postato.
    In punta di piedi leggo Marco, e dietro ogni parola, dietro ogni suo pensiero, trovo un mondo.

    Grazie
    Un saluto caro
    Rina Accardo

  2. Anch’io mi sono appuntati alcuni di questi aforismi che oggi sento particolarmente:

    Disimpari lo stupore e cominci a morire.

    La parola è indicibile. Ma occorre scrivere per saperlo.

    Il linguaggio può trasformare, ma bisogna esserne all’altezza.

    Nessuna interiorità è personale.

    Grazie a Francesco e a Marco.

  3. Grazie a Rina e Giorgio.

    Credo che questo lavoro di Marco sia veramente bello, “colto” e “interessante” (i termini virgolettati li intendo nella loro essenziale accezione etimologica). La struttura aforistica, tra l’altro, è estremamente fluida: non un semplice apparato formale, ma una cornice che è sostanzialmente parte del territorio che cerca di abbracciare e di definire: un “paesaggio” che non si prospetta in termini di verità, ma in quelli più mobili e metamorfici di possibilità e di oltranza. Pagine scritte con l’inchiostro in-quieto distillato da grumi di materiali psichici in perenne trasformazione. Inesauribili esorcismi.

    fm

  4. Grazie a voi che mi avete letto e a Francesco per l’ospitalità. Non conoscevo la sua “dimora” e ora la frequenterò con grande piacere. E’ molto reale, per me, vivere un paesaggio nella sua “metamorfica oltranza”. E’ un modo di dislocare, trasformare, mettere in cortocircuito. Questi aforismi sono, per me, la minima parte di un intimo “journal” dove micronarrazioni, citazioni, frammenti, sentenze, sono il laboratorio da cui, di volta in volta, estraggo i miei libri, come sequenze musicali da un basso continuo. Marco Ercolani

  5. eh, caro Marco, molto vi sarebbe da discettare sulla percorribilità della ‘langue’ (scritto/parlata) in funzione sonora; nella fattispecie quando se ne individuano, cone nel tuo caso e nella tua condivisivile intuizione (progetto/oggetto?)le qualità e le urgenze di struttura a ‘basso continuo’. Con me sfondi la classica ‘porta aperta’. Ma è anche materia assai vasta e complessa. Per cui, sperando di non apparire troppo… sibillino, mi limiterò ad una considerazione sui valori semiologici di questo tuo importante scritto.
    Se il segno significante si comporta come utilizzabile, impiegandolo lo rinvii ad altro dal segno stesso. L’impiego si esprime appunto nel rimandare, attraverso il segno, a qualcosa che sta fuori di esso.. Il nome non è l’oggetto che io nomino con esso, né l’accaduto è la narrazione con cui io racconto. Nell’impiego i segni si strutturano transitivamente riniviando a significati e/o referenti “estranei” al tessuto linguistico di cui, i segni, sono invece elementi. Tutto ciò può suonare ovvio, poiché si situa all’interno della modalità media del nostro uso del linguaggio. Peraltro, l’impiego sui segni fa parte del grande insieme di operazioni utili in cui si estrinseca il nostro stesso ESSERE-NEL-MONDO; probabilmente ne costituisce la stessa radice. La cifra originale della tua scrittura per aforismi (un genere, per sua natura, gnomico ed ellittico, ma da te sapientemente ‘rigenerato’), tolte le mie interpretazioni forse viziate da concettualità e infrastrutture semio-psicoanalitiche, è dunque nell’impiego dei segni in modalità di rapporto esteriorità/trascendenza tra rappresentante e rappresentato che consiste essenzialmente al rimando transitivo che tra essi intercorre. Il segno che dà SEGNO, dunque, una magica ambiguità vettoriale che tende alla rarefazione dopo essere stata “un magico errore, una gioia senza nome”; un indecifrabile ed INDICIBILE, quanto fascinoso, accidente.
    Rinnovandoti la mia amicizia e la mia stima, un caro abbraccio.

    mirko

    P-S. E il dovuto ringraziamento al caro Francesco Marotta per la sempre ottima qualità delle scelte

  6. se a=b e b=c anche a=c . Anche se non ho mai amato la matematica ma la poesia , questo è un assioma: se leggo Lucetta e la trovo adorabile, questo accade anche per Marco Ercolani, pischiatra e poeta (ho il vostro primo libro scritto a due mani). Siete una forza, complimenti.
    Blumy

  7. La “magica ambiguità vettoriale”, Mirko, e il “fascinoso accidente” sono alla radice di una scrittura che vorrebbe liberarsi dalle semiotiche e dalle concettualità per aderire a una “trascendenza immanente” che, a mio modesto parere, è una via diretta verso quell’ellittico parlare che è la scrittura più vera, poetica e aforistica che sia. Diritta e sinuosa è la strada, direbbe Eraclito. Grazie della lettura e dell’amicizia.
    Marco

  8. è ciò che volevo intendere, Marco, attraverso quelle modalità… fumose che sono un po’ il mio vizio di forma (più che concettuale): rimandare ad ALTRO dal segno stesso, ovvero, la limpididezza della scrittura attraverso un iter che forse già scaturisce da un’immanenza. Ho sempre pensato che le poetiche e la Poesia, quale siano i concetti e i percetti che le supportano, siano Immanenza di per sé. Ti abbraccio.

    mirko

    P.S. Sto intanto attendendo alla lettura di “Vertigine e misura” che viene a confermarmi le impressioni già espresse a Lucetta nella mia ultima e-mail.

  9. concordo con Marco: più che aforismi quetsi sono segnali quotidiani di un percorso, una sorta di diario di bordo della propria scrittura che riflette benissimo le vie che ogni autore si trova spesso a percorrere, un saluto, V.

  10. Grazie a Viola. Una piccola confidenza: il mio diario-zibaldone l’ho chiamato “nottario” proprio per sottolineare che non è la logica del giorno ma quella della notte a dettare parole. Immanenti, sì, ma sempre ulteriori. Marco

  11. Grazie a Mirko, Blumy e Viola. Al piacere di rileggervi. Un caro saluto.

    Marco, “Nottario” è bellissimo, prima o poi te lo “scippo”.

    Ciao, a presto (meno quattro).

    fm

  12. Grazie a Blumy, che non avevo ancora ringraziato, e a Francesco. Aspetto di essere scippato con gioia da te, essendo io uno dei primi scippatori cosmici dela letteratura. Però, se te lo pubblico tutto nella tua dimora, non potrai farci più niente. Un abbraccio. Marco

  13. Non avevo letto ancora nulla di Marco Ercolani (se non forse di sfuggita, e quindi come non fosse).

    Sono ancora abbagliata da quanto qui ho letto.
    Non posso neppure riportare quelle che più mi colpiscono: troppe.
    Francesco, questo tuo blog è uno scrigno e ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di leggere questo autore.
    E grazie davvero, Marco.

    clelia

  14. Grazie, Clelia.
    Senza saperlo, tra l’altro, hai anticipato un evento: più tardi Ercolani sarà qui, con uno sfavillante “nottario” tra sonno e veglia.

    fm

Scrivi una risposta a clelia pierangela pieri Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.