Accordando luce con vertebre – Cristina ANNINO


(Edward Munch, Serata in corso Karl Johan, 1892)

               Da: Cristina Annino, Troppe fiches (inedito, 2008)

Troppe fiches, signor Mortis

Tavolino sonoro, la mia
camicia si riprende i polsi, vola,
leva via la giacca quasi fosse
viva la polpa. Si sbuccia
cascando sull’impiantito. “Ecco
mi
” dice qualcuno sedendo, ma
chi lo vede! Mai stato tra noi, colore
volpino. Lo levo
di torno subito, me lo scogliono
dico, alto il tono della
partita. Balle! lui fermo, da
sola si blocca la pallina sul
nero. Ho
capito, l’ho visto, lo so; calma
amici, prego. “Allora?” mi
chiede mentre sono in
corso i lavori. “Cosa? le tue
fiches, o la mamma giù per
le scale mica in piedi?” dico
puntando soldi. Piove
fuori, dentro
son tutti sudando a stirarsi i polsi
col ferro da stiro. Ride, il Mors
lavatore di cessi, metrò, con quella
volpe di bocca sopra come specchi
rotti lo riflettessero. Nato perché
siamo vivi, chi più chi meno. Lo
sento vibrare l’indice, starmi dietro,
piegarsi sul tavolo “Io sono
questo mondo
”, sorride. Niente
cine, cultura, Vita invece, con quel
colore viola ruotante da portarsi in
giro, da caramella, fon, da cinese, che
finge e lo sa, che fa scappare i santi dalle
teche. Piove
fuori; dentro barando evapora lui
luce dai cigli com’un braciere, ci soffia
via la salsa dai visi e lascia
terra. Scordo, alla
fine chi io sia. Tant’è questo gioco di
spie nella stia dei conigli.

 

Lina

La retorica, topo grazioso, inquina;
io non l’adopro mai. Se
dico la mamma m’arriva ai
piedi, faccio una gran fatica a
scalare appena lo sterno. Pioniera
lei viene con salti yoga “abbassa
la schiena sui reni” Poi “s’alza
qualcosa?” chiede. Così imparo.

Su lei non so scherzare, davvero, è
l’unica e non
ci riesco. Nel più
normale dei modi, tutto
il grande finì, con baccano
spento e tori di nostalgia.
Penso
d’essere degno oramai di
chiudermi l’universo alle
spalle. La mia
statura, nella camera dove non
si guarì mai, sta lì su quel
muro ancora, per
infermieri, wudù, pigiami, per le
unte preghiere e i cani che non
entrano. Per il fumo che lastricò
corridoi.

 

morranno le passioni

Morranno le passioni nostre
criniere, passando
per strada coi colli
pesanti di lana, agili
gambe in avanti, dietro, di
lato. Le
guarderemo stupefacenti –almeno
come la vedo io- in questa
serata che sembra
mammina d’ Europa. Tristi
e tonali, accese. Mai
vissuto un
tempo più madre di questo
ricordo di loro, care, nate
eterne, scolo del
mondo magari ma forse
vere, il
meglio di noi chissà, gregarie
comunque nella volata.

 

Il migliore dei due non ha simpatia per l’altro

Gayssimamente caldo, oggi
guardo il Poema al tavolo di
lavoro. Anch’io
mi siedo, odoro la tazza di
caffè, lacca, ossigeno caduto
verde sotto le sedie. Lui
non mi vede e qui non
m’annoio. Sapete,
si dicono tante cose sulla
poesia. Ma c’è un solo
modo per farla. Con
gerarchia posteriore penso:
vorrei l’infrangibile
freddo, acqua dal foro di
dio tribunale nell’occhio d’ognuno
di noi, giacché piombano
palme in faccia nel
punto di cervello che si spacca
in due.

Parleremo? Chissà. Lui noncurante,
caldo, di
schiena spande raggi
porporini, un fare da letterato
tossico che impressiona.
Allora
mettendo fine a ogni cosa,
crudelmente agosto, dico
Che pena
l’arte, se non è divina!
” poi
Per farla, devi prima aver
inghiottito la
morte, mica il sole
” Non si
gira; in
liturgia bollente, neppure mi
vede. Basta. Me ne
vado nell’anice sopra di
noi, senza
canale di sfogo, genialità,
niente. “E’ piccino
il mio cuore
” gli dirò se
tenterà di bruciarmi, se si
volta “mai al
fianco di nessuno, sempre
solo
”, quando torna uggioso
a molla sull’asse domenicale.
Rifà strage dappertutto col
suo chimico brodo.

 

La piscina

Sa che
amare è una stanza alta con
navata centrale. Terribilmente
alta in questo momento che
il tempo ansima, s’allontana
se apre la persiana; fissa in
faccia. Lei ha
paura degli anni: Che farà per
empirli? Son
sacche dove si può
cantare, lavare panni e
mangiare a tavola com’un
cristiano. Spacca i
timpani, fa uscire di senno, la
notte, scende i tasti in giù da
oboista di banda, accordando
luce con vertebre.

Lei entra in quella
piscina fredda coi
piedi, segue gli odori
fino alla tana, nello stormire
d’ormoni come odalische. Il buio
chiama con varie note, ride, ma
chi se ne frega, fa
gelo e memoria “Sei il poster di te,
cara cara, ti dai arie!” Di
nuovo quelle
parole uguali, ballando il
sipario dell’umano su quel che non è.

 

Canna lunga, la notte

Normalità oh sacra! pompa fino
in fondo la caldaia. Ma quel
piede viene, esplode nella scarpa con
scintille vive e testa di pensiero.
Ecco, lo
dico a chi mi capisce, all’idea tormento
d’esserci, che l’amore empie le
tasche di mine. E Lui farà
faville vedendola
svenire, aspetterà il
via, ginocchio sul piancito, che
parli, alla
fine. Poi bravo “!!”. Bagna
il buio alberi radi coi gradi del
famelico Ma, mentre astratta
sul lenzuolo con gatta, rimbalza
la baia notturna. “Sì! se ti serve uno
schiavo
”.

 


(Cristina Annino, Un uccello mi tiene in gabbia
come fossi malato
, 2006)

 

Graffiti

Si tappa le orecchie, fissa in
piedi quel
polmone di muro, c’attacca con
furia lettere. Odore di ceralacca
liquida, di parola. Lui
muto nel guscio le guarda
passare come balene.
Allora,
un arteria in più l’avrà, diciamo
tosse magari, per
quell’io che non
cova, lo spande come
pollame, lo rimette dov’era a
posto fuori di sé, tanto da
stare in piazza su quei
piedi. Che
conta in fondo, quel che non
ha
? se la minestra salta dalla
finestra, se
metà dell’universo gli sta
dentro, la mangia e un
bosco intero nutre pochi
conigli? O per
uscire dalla banalità, si rende
convesso, s’attacca
al muro. Giacché lui sparge
molecole al vento e in
silenzio allarga al centro
l’acqua. Più moderno del
pensiero stesso rema
muto, mai eterno pescando
ogni essenza che passa.
Porta
a riva tutto. Eccoli qui, di
ritorno al muro, i nomi
veri della mente! Tale
la differenza –dico e poi basta- in
questo zero Gran Proverbio c’hè
il Mondo.

 

Origine della creatività o Indiano santo

A tempo respira
esatto, rende visibile attraverso
il collo il numero della taglia. Poi
sempre fermo –volere è
potere- come elevando
l’idea delle braccia verso il
mare che ora sta in alto e non
casca, appeso per il fango al
globo ondoso, vede
che gli si
strappa la mente dal suo
luogo, e
l’abito e la taglia. Espirando
alla fine, non sa
più dove stia la cornice,
oddio! il limite e la cornice.

Parrebbe
ansia, non lo è, anche quando
dividendo la mandria delle
nubi in due, lui, specie
d’origine gassosa, riprende
addosso la montagna. E’ di
più! Frulla l’arsenale che
manda acqua sul mondo, poi
strizza le dita di carne. Velocità,
forse, ché il
Tempo creativo è breve. Lo
dice, l’ha detto (mangiatore nel
cuore di cose), crepare
stando sempre quaggiù, sotto
terra, mente, sotto sale,
quando
corrente come miele
il turchino della grazia
piovuto in un mese evapora
dal ramo
. Allora, con
cortesia, gambe sulla stuoia
dell’erba, rivolge fumando
domande al Vegetale Banano.

 

Il Macché

Rideva male e sparì. Prima
soffiando dall’otre eventi
su quella croce di sedia,
sembrava chissacché o un
abate. Religioso sempre, afoso
di santità, che la
carne è sacra come l’oro, da
rispettare. Lui brillava di
“macché” calando con
loro nella fossa.
“Non risponde nessuno!” diceva
imbecille “il mare è frullato!”.
Era un essere troppo
solo, troppo
malato, poco girato sul
busto, poco buffo. E
opprimente
non rompesse il muro del
suono. Così fantasticando,
crepò, ma come si
deve, con grazia, com’un
animale. Ritrasse gli arti
principali al bacino, gli
altri in fondo alla
sacca; infine soffiò sulla
macchia di sé, giacché
era stato di carne e anche
straccio divino. Ma aveva
abitato la vita ignorante.

 

Onore all’Ignoto

Cresce dal vuoto, muto; il
taglio forte d’uccello lo
brucia. Si solleva
così, fischiando perché visse.
“Che faccio del
corpo rigirato in avanti?
Dove
sta il bottone d’una nota,
comando, oltre il muro triste
della corteccia? Rigido in modo
servile, volendomi nitrire un
suono e basta”. Soffia e
con la mente preme il tasto
sbagliato dell’ossigeno. E’ il
modo in cui respira che lo
rende muto, ma così si
lagna. “Chi l’ha messo
quaggiù
?” S’aprirebbe un
poema a fare questa
domanda, ché strappa lui
la natura a manciate, pota
via il pino di sé, finché
rivà fin dove
non parla –suolo in giù- Gli
nitrisce la cima.

 

Kancro

Qui giace per Killer una
persona. Lei sta sulla
riva, lui ormai non sente le
pedate che da, bacino
ondulante d’uccelli. C’è
intorno
processo di cavallette: tanto
parrebbe bella la vita! Bon-
Bon ce la mise
tutta, con pillole, erba, sedie, la
riva era ciglia quel giorno e
la stanza una pianta
carnivora. Non
poteva di più, sarebbe stato
cine, una storia finta. Così
anche, viveva il pianeta. Gambe
a cadere bonificando, ma lui
si turbò, si mise in piedi e
ascoltava. Chi? Dio
falconiere, voce grigio
porosa da
marmo di scarto, che fa pipì nel
secchio che trova, vola via e
chi l’ha visto, ora
sul serio lo vede. Un
anno, ti do

diceva –t’ascolto- perciò piano
col vostro calore! Ti do
proporzionalmente il peso d’un
chilo di piume al piombo, palla
che passa quel solo
millimetro dal filotto. Poi
basta
. Bon –bon di
vainiglia, bollente la
faccia e sotto, sirena,
s’attorcigliò invano alla
canna del killer.

 

Dentro l’urna

La pena serpente gli
stacca ogni giorno un pezzo di sé
che distende per aria. Eccola
lì, la sua
carne al vento vescovile. Va
sempre a nanna così, col quarto
di bue. Transita i suoi
chili romantici. Mica bene,
ossigeno puro ammoniaca
distanza! “Ma non c’è sul
serio un posto dove nasconderci
in quest’odore uguale di tutte le
lingue, le tristi membra alcoliche,
d’acqua, i nodi delle varici coi
nomi latini di botanica
?”

***

70 pensieri riguardo “Accordando luce con vertebre – Cristina ANNINO”

  1. Non so nulla di Cristina. Queste sue creazioni mi fanno pensare a una notte metropolitana, a un film d’avanguardia (lo so è generico), a un concerto di duro rock. A quei percorsi accidentati che esistono e che non è necessario fare in prima persona, ma c’è chi li può capire da poeta.
    Il percorso della parola è altrettanto sperimentale e ricco, si mette “contro” .
    Bella l’immagine pittorica che sovverte. Uno sguardo e colori quasi timidi, come di tenerezza… e il rassicurante nero.

  2. molte queste poesie! Alcune sono “intere”, situazioni, azioni, come “troppe fiches, signor Mortis”. Da altre saltano addosso alcune sentenze in cui riconosci cristina, solo cristina come i versi “La retorica, topo grazioso, inquina; / io non l’adopro mai.”
    Le ho stampate, queste poesie per leggerle con cura. Sono in partenza.mi porto dietro la stampata. Sullo schermo sfuggono via, hanno un flusso, una voce che riconosco bene, che s’arresta appunto dove c’è un salto, dove fai un salto perché l’immagine è forte, anche se non inattesa, come “Dio / falconiere[…] che fa pipì nel / secchio che trova”.
    .

  3. Cara Cristina…

    colgo un verso al volo – Qui giace per Killer una
    persona – che mi porta subito dentro nel cuore tuo mondo poetico, reale, vissuto… del resto , sono una donna all’antica – ho stampato le tue poesie nuove che mi arrivano proprio nel giorno in cui tu hai ricevuto le mie trazuzioni in tedesco!

    Un caro saluto da Monza a Roma

    Stefanie

  4. sono piena di stupore leggendo questi versi. non avevo mai letto il poeta Annino. (la chiamo poeta, non amo il termine al femminile, spero comprenderà)
    stupore perchè è come avessi visto un mondo intero e tutti i libri che potevano essere scritti in quel mondo. non è una questione di tempo. no.
    dico TUTTI ma non è questione di quantità.
    queste poesie sono meravigliose e fatiscenti e dure e mirabolanti e incise
    e incisive – parlo d’ arcate – sono occhi chiusi che vedono. sono mattoni. e sabbia. aleggiano e dipingono anche sulla pece e di pece. sono demoni
    all’ indulto e angeli ai ceppi ma sono anche il loro ordine circense, il loro contrappasso di chiese (come case).
    sono i sogni da cortine oceaniche imbavagliate. davvero sono divine terrene, sono intimità di bambina e di donna e di ciurme e di capitani coraggiosi che non sanno di esserlo. sono poesie femmine e poesie del sole. perdo il vocabolario, leggendole. che belle.
    altro non saprei dire.
    un saluto
    paola

  5. “fissa in piedi quel polmone di muro”. Vedo, Cristina, che la tua sulfurea e surreale vis poetica è sempre vivissima. Sono molto felice di conoscere la tua opera in progress e di leggerla anche nella dimora di Francesco. Ogni volta spiazza e disloca. Costringe il lettore al “salto del cavallo”. D’altronde, cos’è la realtà, senza l’energia dislocante della poesia”? direbbe René Char, un tipo tosto.
    Un abbraccio da Marco Ercolani

  6. Grazie, Paola Lovisolo; le tue parole mi danno l’elettricità che comunica un certo tipo di lettura: appassionata (lo dico in termini generali, certo non riferibile solo a me), che ricrea immagine sull’immagine, in tal senso generosa, beatamente non “frenata” come molto spesso succede. Mi ritrovo perfettamente nel clima della tua lettura.
    Grazie Marco, uno tra pochi che mi conosce criticamente – e lo ha dimostrato altrove- in un modo molto profondo. Ringrazio tutti, Francesco, come al solito e in modo speciale, Stefanie, Piera, Paola del primo commento. Preziose tutte le parole, anche quelle “cattive” che certo verranno. Utili sempre tutte.

  7. Come lampade nella cenere – Cristina ANNINO

    marzo 2008
    vedo adesso che Francesco accompagnò i tuoi testi con una mia immagine.
    Francesco che ha – sentito – le connessioni tra le nostre poetiche… lo stesso che oggi leggendo ho sentito io e mi sono apprestata subito nella fiumana di parole.
    comunque mi spiace allora di aver tenuto poco da conto l’ articolo. anzi proprio non lo lessi e mi spiace di non essermi interessata adesso a leggere qui e la come di solito faccio. mi sono buttata un po’, ma non me ne dispiaccio. niente accade per caso. personalmente per quanto riguarda la critica poetica non so se esistano parole buone” o se esistano quelle “cattive”: esiste la parola soggettiva frutto vivo della relazione tra ascoltatore e (testo) ascoltato, letto ad alta voce, posseduto] che anche se non sembra la poesia proprio perchè non è più del poetà, rimane più “viva” che mai…
    ma non mi dilungo, che ci sarebbe da dire. per non tediare.
    ancora un saluto
    paola

  8. mi scuso per le contraddizioni sempre sull astessa riga, volevo dire

    non me ne dispiaccio poi troppo, volevo dire. nulla accade per caso.
    ci si ritrova in questi giorni qui, già comunicanti in qualche verso e per qualche vaso segreto. ecco.
    p.

  9. Se ti fa piacere, Paola, mandami il tuo indirizzo mail. Tanto perché il caso funziona meglio del progetto, a volte. Non sapevo fosse tua l’immagine che accompagnò i miei testi, e forse proprio per questo le tue parole, nel commento, hanno dato vita a quelle bellissime similitudini.
    Un abbraccio, Cristina

  10. C’è una consistenza liquida in queste poesie di Cristina, una capacità di movimentarsi in gorghi, correnti, riflussi pieni di alghe, torbide agglutinazioni di senso, onde spezzate nelle quali si dipinge una realtà inquieta, intubata in prospettive di stanze, di carne, di alveoli, ventricoli. Correttamente Marco Ercolani parla di una poesia sulfurea e surreale: lo è nell’accostamento di immagini e stranianti vicine al paradosso, nel movimento inquieto di ormoni, odori, arterie, vertebre, piedi, gambe, pance che sembrano muoversi tra stanze tele e bar come personaggi di un dramma satiresco; nella lingua spezzata fino al fiato mozzo; in un io “gayssimamente” conteso fra maschile e femminile, fra consapevolezza e follia; nell’intreccio dialogico di pensieri che costruisce una polifonia graffiante e disarmonica. La consistenza liquida si fa dunque graffio, becco d’uccello, artiglio di rapace, onda torbida e insicura.
    Insomma Cristina prosegue nella sua ricerca poetica affilata come una lama. Maneggiare con cura.
    Luca Benassi

  11. La poesia di Cristina è sempre una sopresa, per la vivezza e l’originalità delle immagini, per il suo non assomigliare e niente tranne che ase stessa, che per fortuna, almeno una volta, fa cadere il giochino dei rimandi tanto in voga nelle patrie lettere. Mi accodo a ciò che molti commentatori hanno rilevato e al loro entusiasmo – vorrei però aggiungere una piccola nota personale. Mi hanno colpito moltissimo la poesia sulla madre e “Il migliore dei due non ha simpatia per l’altro”. Della prima (Cristina è anche autrice di un bellissimo Ottetto per madre, riproposto proprio qui, da Francesco), sottolineo l’asciuttezza, il modo di arrivare dritti al centro di un rapporto e di una perdita, senza scendere nel patetismo o nella retorica – cosa piuttosto facile e anche secondo me perdonabile fino ad un certo livello, quando si scrive di ciò che più ci tocca. Cristina riesce a mantenersi limpida, a rendere una condizione drammatica proprio evitando di calcare i toni, mirando al cuore di se stessa, prima che dei lettori. Brava. Dell’altra bellissima poesia riprendo alcuni versi: “Sapete,/si dicono tante cose sulla/
    poesia. Ma c’è un solo/modo per farla.”
    Forse il modo per fare poesia (come per fare letteratura) è sempre e solo quello di avere il coraggio di denudarsi perfino delle cose appresi, puntare la penna verso di sé e dire la verità. Un abbraccio a Cristina e grazie a Francesco.

  12. Io adoro le sue poesie. Da quando ne lessi alcune la prima volta è un piacere che si rinnova ad ogni nuova lettura. Mi piacciono i suoi percorsi, mi sembra sempre di entrare in una sorta di giardino in cui Cristina viaggia sulla modernissima astronave del suo linguaggio. Mi piace il viaggio a ritroso da quelli che apparentemente sono confini di un quasi mondo antico verso un centro dissacrato dissacrante, graffiato e graffiante.
    brava come sempre
    grazie
    lisa

  13. Ringrazio tutti.

    L’unanime consenso che riscuotono questi splendidi versi inediti di Cristina è la prova più evidente di quello che, da sempre, già sanno tutti coloro (e non sono pochi) che conoscono, seguono e amano la sua produzione: che siamo di fronte a una delle voci più autenticamente originali e importanti della poesia italiana dell’ultimo trentennio. Con buona pace della grande editoria, che continua a costruire “miti” buoni al massimo per una stagione e a celebrare autori che, da tempo immemorabile, non hanno più nulla da dire, persi nella reiterazione ormai ammuffita di quello che erano e sono stati.

    Vedo qui delle splendide analisi e considerazioni su questi testi. Proprio oggi rileggevo una nota di Stefano Guglielmin a proposito delle prime opere della Annino (“amare il verso che cade con un leggero tonfo, godere del corpo dalle cui lacune nasce l’ordine del testo, la certezza d’essere soli eppure il desiderio di scarnificare tale distanza, al punto da preferire la dissociazione alla perfetta rotondità dell’io”), una nota che trovo calzante, per molti versi, anche per queste ultime produzioni, nel solco di una continuità/innovazione che ha pochi termini di confronto. Vi aggiungo, a maggior ragione, anche le sollecitazioni di Luca Benassi, che richiama il pregevole lavoro critico di Marco Ercolani, in un libro che consiglio a tutti di leggere (“Vertigine e misura” – Appunti sulla poesia contemporanea, Milano, La Vita Felice, 2008). Credo che gli “appunti” di Marco siano decisivi per inquadrare le ragioni profonde di questa poetica (e non solo di questa): “le sincopi misteriose e improvvise, che scuotono le regole della percezione”.

    fm

  14. Il primo commento di Paola è molto preciso: innanzitutto Cristina ha la capacità di cantare un mondo che è tutto in sé, concluso ma non asfittico, dove si svolge una vita a parte, fatta di consonanti e segni, di vocali dal suono liquidi e sensazioni sfuggenti ma non impreciso. Continuo a percepire un dialogo tutto femminile con la sostanza generatrice della donna, e soprattutto tre cose mi colpiscono nuovamente – una volta in più. L’assoluta distanza da mode e cliché, non c’è avanguardia non c’è modernismo non c’è classicismo, in senso accademico. C’è un reale bisogno di parole e ancora più di parole in poesia. E’ una dote rara. Rarissima.
    Secondo: Non c’è mai retorica. E i primi due versi di Lina sono in questo senso autobiograficamente perfetti.
    Terzo: Il migliore dei due è poesia bellissima. Piena e sofisticata, dolorosa, sorvegliata, emotivamente penetrante. E questi versi su tutti:
    Non si
    gira; in
    liturgia bollente, neppure mi
    vede. Basta. Me ne
    vado nell’anice sopra di
    noi, senza
    canale di sfogo, genialità,
    niente…
    P.S.
    Un caro saluto anche a Francesco, che non sento da tempo ma che seguo sempre con stima.

  15. Ciao Luigi, bentornato.

    Dici bene: in effetti, Paola sa lasciare il segno, quando “scrive” e quando “legge”. E poi, citi un testo che ho amato subito, fin dalla primissima lettura.

    Se puoi, passa anche domani, sei nel prossimo capitolo del “Libro”.

    Un caro saluto a tutti.

    fm

  16. Che dire? Francesco sa sempre emozionarmi, il suo acume, la sua eleganza culturale e potrei seguitare parecchio.
    Luigi, mi ha fatto un enorme piacere leggere le tue parole. Veramente grazie!
    Mi piace l’astronave, Lisa, hai centrato! Grazie anche a te. Maneggiare con cura di Luca è un piccolo poema. Non vorrei intromettermi troppo con i ringraziamenti, farne un “personalismo”, ma senz’altro, ognuno dei vostri commenti, oltre al piacere che mi danno, mi fanno capire molto, mi insegnano.
    Un abbraccio a tutti, ed è il minimo che possa dire.

  17. Scusate l’aggiunta, ma ho dimenticato, imperdonabilmente, Francesca Matteoni al cui lavoro e stima di me devo molto. Ciao, Francy, a prestissimo!

  18. Cara Cristina,
    ora che son finalmente usciti tutti coi loro rumori, ho potuto leggere ad alta voce le tue poesie, così che musica e significati si son potuti fondere e trasportarmi fuori dal nulla. Io son ignorante in fondo, Paola lo sa, la confusione in cui mi nascondo e in cui milito in fondo mi confonde troppo e non mi rende presente.

    è stato davvero bello leggerle. Il finale de “Il macché” è stupefacente per me ora:

    “Ritrasse gli arti
    principali al bacino, gli
    altri in fondo alla
    sacca; infine soffiò sulla
    macchia di sé, giacché
    era stato di carne e anche
    straccio divino. Ma aveva
    abitato la vita ignorante.”

    Le posso ripetere e cantare. Son parole, con tutte le altre, di fuoco, da marchio sulla vacca, simboli buoni. ti abbraccio. e ti ringrazio per avermi fatto scoprire questo nuovo spazio…

  19. perdonami, caraCristina se arrivo con l’ultimo (m non sarà l’ultimo) treno a leggere e complimentarmi con i tuoi versi costruttori di un mondo a sé, sovvertitori di questo,pur partendo sempre da dati reali ma percepiti con altri sensi, sismografi di un “ragionamento” felicemente irragionevole”, “delirio” o vertigine come lo chiamerebbe Marco. Solo che non basta il delirio, altrettanto essenziale è la misura…Insieme fanno l’inconfondibilità dello stile: sono continuamente sollecitata da scosse elettriche che mi fanno un po’ volare e un po’ stramazzare. Sempre ritmico, sempre aggressivo e spiazzante.Una guerriera della parola,una combattente solitaria e creatrice. Queste poesie mi piacciono molto, non chiedermi perché, non essendo capace di esprimermi con “cognizione di causa” come chi mi ha preceduto nei commenti. Un abbraccio a te e a Marotta che ho finalmente avuto il grande piacere di conoscere personalmente a Belgioioso
    lucetta

  20. Prendo spunto dal fondo, dalla perfetta, veramente perfetta, “Dentro l’urna”. Ritorna quella “pena serpente” che mi pare definisca l’argomento principe di queste poesie, dico ritorna perchè la stessa qualità di pena era presente già in Gemello Carnivoro (“Araldica”), e sempre calata nel contesto familiare, una sorta di destino che va compiendosi: qui infatti “l’amore empie le tasche di mine”. Sono d’accordo con quanti mi hanno preceduta nei commenti quando sottolineano che la scrittura di Cristina, anche se affronta il tema doloroso della perdita, non assume mai, mai, il tono patetico (in questo senso mi sembra esplicito il passaggio sulla “retorica, topo grazioso” e sul “letterato”, che è addirittura “tossico”) . Infatti, ed è una virtù sostanziale questa, la lingua, il discorso, non prevedono soluzioni psicologico-descrittive, ma mettono in campo la nudità e la crudezza del procedimento psichico (che io trovo infinitamente più interessante). Questa capacità di fare il vuoto dentro e di inventare un altro ordine del mondo, se posso dire così, si lega in modo indissolubile a una valenza, per me, profondamente etica, umana. E’ la risposta che questa poesia riesce a dare, l’azione oltre la fine, un amore per le cose della vita che mi impressiona sempre moltissimo (anche i conigli cara Cristina, mi hanno toccata). La poesia di Cristina Annino mi fa sempre questo effetto: stimolando potentemente il cerebro, provoca detonazioni in altre parti. Annino è un poeta gigante.

    erika

  21. ciao Cris!

    già avevo avuto l’onore, a casa tua, di sentirti leggere “troppe fiches, signor Mortis”. ed è inutile ripeterti per l’ennesima volta che sei straordinaria! :)
    la tua capacità di far parlare quella bocca nascosta negli eventi, distaccata quanto basta, pratichi la chiurgia delle ore di questa vita, delle vite che incroci o sorprendi là, dove si spezzano. con il bisturi del tuo sguardo, le tue vivisezioni, dure e crude e incatenanti…. come se ogni parola seguisse la precedente naturalmente, nulla che stoni o non suoni…. è tutto talmente fluido eppure espressivo, espressionista, forse. ma senza sforzo, talmente perfetto che pensi quasi che non potesse essere altrimenti…

    splendida “la Piscina” ……il sipario dell’umano su quel che non è… sbaglio o colpisce la gioventù in pieno stomaco!?

    ti adoro, Cris!
    a presto!

    …..e attenta al catarro! ;)
    Patty!

  22. Erika e poi Patty, è per me un onore avere tali consensi da due poetesse giovanissime che considero delle promesse autentiche della nostra poesia.
    Non è “uno scambio di gentilezza”, quanto dico, ma l’ espressione di una certezza.
    Comunque grazie, Erika, spero di assere all’altezza di quel che vedi in me. Patty, prometto di colpire anche i polmoni, tesoro, con rispetto del catarro, ovviamente!

  23. difficile aggiungere altro a quanto scritto finora. adesso ci vorrebbe un bell’elefante garzanti o l’oscar modadadori a ufficializzare 40 anni di poesia, iniziata con miccini (mica l’ultimo dei moicani) e continuata, ora, con l’umiltà di salutare le due pulzelle Erika e Patty, brave davvero, ma che non troverebbero altro poeta di valore trattarle da pari, come fa Cristina.

    Il fatto è che le sue giravolte sono già scritte nella sua mente; lei infatti non applica alcun modello, se non la gincana che fa la vita morsicata dal talento. una forza della natura che si coniuga con la trasfigurazione del mito, l’amore per le avanguardie, le situazioni surreal-patologiche, l’invisibile onirico-infernale, l’ironia che spesso risolve il dramma, il dialogo domestico incastrato tra mura spesso attraversate da foreste e una volta abitate da un signor Coso, un “bogart” che anche qui fa la sua meschina figura.

    Cristina non scrive poesie: srotola il cartiglio della sua identità plurale, assecondando la gravitazione universale, un cartiglio moschicida che acchiappa ogni cosa che trova nella sua discesa, anche i “conigli”, anche i “polmoni”.

    per chi volesse sentirla leggere, due appuntamenti:
    a Roma, giovedì 9 ottobre alle ore 16,30 (biblioteca Vallicelliana) e a Schio, nella primavera prossima.

  24. Questa poesia fa paura. Qui non si trova riparo. Non ci sono tetti o capanne tranquille, tutt’al più alte navate che poco hanno a che fare con la rassicurazione. “Cruda” e vorace, Cristina usa le parole, tante, vorticose, e dice. Parla asciutta senza concedere la gentilezza delle menzogne, e a raffica mi lascia sbigottita, senza orpelli a cui aggrapparmi. Questo sembra il linguaggio di chi, umanissimo, teme come tutti, ma anche non teme, guardando le cose come sono. Rileggerò ancora. Grazie! Alessandra Conte

  25. Stefano, tu conosci la mia poesia come un guanto, non saprei che rispondere, se non che sai leggere la poesia, di tutti intendo, come fossero guanti da indossare. Grazie, per questo, e niente altro, dunque.
    Mi fa piacere che tu abbia ricordato le letture, soprattutto quella a Schio che ci permetterà di incontrarci nuavamente.

  26. Ringrazio gli ultimi intervenuti, soprattutto coloro che si affacciano qui per la prima volta, per gli ulteriori preziosi contributi.

    Un grazie particolare a Stefano che, da par suo, aggiunge note decisive all’intelligenza di questi testi e della intera opera di Cristina: un grazie e un abbraccio ad entrambi.

    fm

  27. Che la poesia non debba per stauto essere consolatoria, l’ho sempre affermato, Alessandra, forse volevi dire questo. Se invece intendi paura come termine generalmente inteso, io non la provo e non posso, pertanto comunicarla. Tu sai leggere bene e forse non ho ben capito cosa sia per te la paura.
    Inoltre, l’ironia è un riparo, il credere in qualsiasi opposto che pure esiste e basta cercarselo dentro, è un riparo. La fiducia in un mondo che, scelto si sostituisce a un altro, e in base a questo si vive, è un riparo. Ma non cecità, no, mai. Si valuta, si capisce, si risponde cercando di superare gli “spettri”. La navata è alta, può essere, ma l’uomo potrebbe smontarla o farla esplodere, per esempio. Può anche godere di quell’altezza, per sfida, o altro, e anche questi sono ripari. La forza che uno ha, valuta il povero mondo decapitato e rivale, ma la vittoria non è detto che sia sempre il brevetto dell’avversaro. Mi limito al mondo creativo, è evidente.
    La menzogna, oltre a non considerarla, non la trovo mai gentile. E’ lei, a mio avviso, la vera paura “organica”, con addosso una maschera. Finchè non si vince la menzogna gentile, non si ha un pensiero libero. E qui allargo un po’ il campo entrando nell’universo cattivo.
    Io amo un sacco di cose e un sacco di persone di un certo tipo, credo anche nella bellezza di un certo tipo, ovviamente. Pure questo è un riparo.
    La volontà di medicare con le parole ciò che alla grande supera le parole, aprirebbe un altro capitolo.
    Grazie per avermi fatto dire queste cose, Alessandra. Cioè grazie veramente per il tuo commento.
    Ti abbraccio, Cristina

  28. Cristina, spero ti faccia piacere leggere quanto mi scrive l’amico e poeta Giorgio Bonacini (pubblico dietro sua cortese autorizzazione):

    “… ho letto le poesie di Cristina Annino sul tuo blog e devo dire che anche solo dal titolo, “Accordando luce con vertebre”, spazza la lettura da ogni usualità, con una ricchezza di voce e significazioni multiple (come rileva anche Stefano) che la rendono veramente unica e antiretorica poetessa.
    “La retorica, topo grazioso, inquina” ha veramente una carica doppia di rottura, dove si capisce (o almeno io credo di capire) che la lingua, pur forte in bellezza e gentilezza, in poesia deve produrre ferite; anche carezze, ma si deve sentire (come si sente nella voce di Annino) l’attrito.”

    Un caro saluto.

    fm

  29. Non solo piacere, Francesco, grande piacere! E ti prego di riferire al poeta Giorgio Bonacini questa mia emozione. Cristina

  30. Lo farò. Di mio aggiungo che sono veramente strafelice di vedere in quanta considerazione sia tenuta la tua poesia, non solo dai comuni lettori, ma da tutti coloro che la vivono e ne scrivono da poeti.

    Sono sempre più persuaso che il “vero” poeta non sia tanto (e solo) colui che è capace di scrivere bei versi, ma (e soprattutto) colui che è capace di riconoscere questa bellezza negli altri. Perché è in questo riconoscimento, fatto di ascolto e di attenzione, che la poesia celebra, fuori da ogni rituale, la sua natura e la sua essenza profonda: il suo essere, qui e ora, l’unico legame che resiste nell’inarrestabile trascorrere della nostra finitudine.

    fm

  31. Perfettamente d’accordo, Francesco! E’ il riconoscere il valore altrui che, non solo dà, con il confronto, una maggior coscienza del proprio lavoro, ma anche e soprattutto, conferisce all’autore un gratificante senso di partecipazione a un valore comune. Ciò impedisce, a mio avviso, quella chiusura narcisistica che può portare solo ad un egotismo sterile, a un immobilismo autocompiaciuto, cieco e assolutamente non generativo.

  32. con “paura” mi riferisco alla sensazione che è stata riportata da altri lettori con parole come “il salto dal cavallo”, il “perdere il vocabolario”. volevo evidenziare la vertigine che mi ha colta leggendo i testi e che mi ha lasciata senza fiato; non intendevo dire che tu comunichi paura, ma che io ho ricavato questa sensazione(o qualcosa di simile) dal ricchissimo flusso delle parole. (per ora mi fermo qui, chè oggi non potrei fare altro che commenti “emotivi” ; )) ciao! Alessandra C

  33. Mi fa contenta la precisazione, Alessandra. In effetti ho approfittato del tuo commento precedente per allargare il discorso oltre i soliti ringraziamenti, ecco. Magari, per “difendere” le definizioni di altri, per quanto bisogno ce ne sia-nessuno-, mi limito a dire che sono definizioni di luce, diciamo, non di buio. Il salto del cavallo e il perdere il vocabolario, indicano il massimo per un cavallo e il massimo dovuto a un appropriamento di altre parole non codificate o l’insufficienza, per esaurimento, di quelle ufficiali.
    E’ vero anche che la mia poesia possa scuoterti un po’ troppo, essendo tu un’autrice ottima ma molto interiorizzata, delicatissima. Comunque va bene proprio questo. Penso possa stimolare altri commenti, ciò che viene fuori
    da quella distanza che c’è tra le rispettive poetiche. Complimenti per il recente premio
    ottenuto! Cristina

  34. C’è da dire, e forse io ho il vantaggio di conoscerla anche di persona, ma credo che dalla forza espressiva e surreale (a volte) della sua scrittura emerga potentemente, che Cristina Annino sia una vera e propria forza della natura! Così come la vedi quando la incontri per la strada e così come quando vieni fagocitato dalla lettura dei suoi versi. Io pure “frequento” un tipo diverso di scrittura poetica ma questo non mi impedisce di apprezzare la poesia che si muove su toni e registri ben diversi qualndo ci senti dietro e dentro l’autenticità. Un grande abbraccio a Cristina e a Francesco che saluto con la stima di sempre, Lucianna Argentino

  35. Bellissime!
    Una scrittura che mai, nella forma e nelle immagini, s’adagia sullo stereotipo. La forza generatrice non è infatti nella memoria, nell’emulazione, ma nella purezza dello sguardo, nella nettezza indomita dell’espressione, fedele all’orecchio quanto alla visione e all’umore.
    Con molta stima e ammirazione.
    Giovanni Nuscis

  36. “Lina ” e ” Il migliore dei due non aveva simpatia per l’altro” sono anche le mie preferite e “kancro”. Un lavoro complesso, con una vena ironica e pungente che traspare luminosa e fa ancor più viva questa poesia.

    Sono i primi testi di Cristina che leggo, complimenti all’autrice.

  37. Cara Cristina,
    nel saggio su di te di qualche anno fa (in Sotto la superficie – quaderno di approfondimento sulla poesia contemporanea de “La Mosca di Milano”, Bocca Editori, Milano 2004, curato con G. Fantato e Altri del Gruppo redazionale) mi sono occupato di Gemello carnivoro (2002) e di Madrid (1987).
    L’ho riletto per confrontarlo con i sensi trasmessi da questi nuovi testi, trovando ancora che “il nucleo fondante” della tua poesia produce “un’immagine: l’acqua. Emergono da essa tutti gli altri poli di senso. In primo luogo, il materno e dunque il moto di nascita e rinascita. La lingua si con-forma, interagendo col suo essere acqua che lega i vari ambiti di esperienza…, per dare vita al nuovo spazio, materiale e mentale, del testo. Che viene così determinato, da un lato dai caratteri liquidi e imprendibili del primo nucleo indicato, dall’altro dalla capacità della lingua di collegare livelli lontanissimi e diversi del Soggetto… Dunque: mobilità estrema della materia linguistica che oscilla, zampilla e sprofonda in vortici che nascono scompaiono e si trasfondono in altri. È moto androgino che riguarda ogni identità, sia maschile che femminile. Di qui il rifiuto di rinchiudere la tua poesia in una qualificazione di genere, per cui in molti testi… l’io parlante è maschile. Non è segno di subordinazione, ma di libertà, di rivendicazione per la propria voce di rompere le barriere e poter parlare per sé e l’altro. “ …
    “Siamo con ciò alle motivazioni originarie del fare poetico e artistico in genere…moto di risalita alle proprie fonti…per procedere nel presente e nel futuro. Ma è un reculer pour mieux sauter, che si realizza se la lingua è vissuta come materia essenziale di uno stesso vortice, in cui si con-fonde con la vita. Perché l’una senza l’altra perdono senso. Lingua perciò che, andando al di là di ogni autoappagato jeux de mots, viene determinata dalla tensione a misurarsi con l’ignoto…porta di accesso alla rinascita: nella poesia” Misura che è “un duro lavoro che accetta la mobilità, ma deve (pena l’affondamento alienato) anche costruire punti affidabili.“

    Sono rilievi che ritrovo adeguati anche a questi testi, e sono stati espressi in termini simili anche dagli altri. In Gemello carnivoro non a caso la misura con l’ignoto e l’abisso genera Ulisse, testo che si chiude con nessuno: per salvarsi, beffare l’occhio del dominio brutale e proseguire il viaggio, Ulisse deve fare una mossa del cavallo, che però non si esaurisce nella lingua, perché fa parte di un progetto di ritorno e (ri)costruzione dei suoi punti affidabili, della casa che attende e non è fatta solo di lingua ma anche di carne. Senza questa lacosa inseguita nella lingua rimane cerchio chiuso, casa chiusa e nome che non riapre il viaggio alla ricerca di pur difficili-labili momenti di noi.
    Questo, all’incirca, dicevo allora e ritrovo nelle tensioni di questi testi. I quali, se non mi tradisce la prima lettura, ai moti liquidi intrecciano moti aerei, di ricerca di volo. Sollecitati credo dai cambiamenti epocali vissuti e in corso. È che i comuni punti affidabili sono stati distrutti e ricostruiti in forme di muri sempre più alti, in somme di labirinti in cui ci dibattiamo tutti. Questi testi riproducono, più che la paura, l’angoscia di essere, qui e ora, in un’immensa cosa (e caos, suo anagramma) che pare aperta ma è sempre più chiusa in un universo liquido (per dirla con Baumann), tendente al liquame o a una mucillagine (come definita dal Censis), in cui il noi o il senso di una comunità diventa sempre più labile e imprendibile.
    Anche in questi testi il tuo Io agisce in descrizioni fredde, come di “reperti archeologici o di un’autopsia”, ma tali modalità di linguaggio “conducono a far esplodere l’orrore”, o la repulsione, dunque una “denuncia etica che passa dal frantoio emozionale dell’Es e, per questo, non si traduce in un urlo ideologico”. Ne risulta una sorta di “visionarietà realistica, con cuciture ossimoriche che superano sia la vicinanza annebbiata, che la distanza e l’ignavia di una fuga irresponsabile”. L’Io, o le sue modalità, “vengono continuamente asservite, spiazzate…da salti logici, immagini e analogie che chiudono il cerchio fuori dal loro controllo”. Ma eviti l’ideologia del testo, di tanti che rimangono chiusi nella lingua, perché avvertiamo l’autenticità e la connessione con l’esperienza profonda di chi scrive, che è spiazzato prima o come noi che leggiamo, e reagisce (ri)producendo un’immagine di caos controllato, che ci angoscia e ci attrae tra lampi e oscurità che vanno oltre la carta. È il punto che ricongiunge i nostri pur diversi percorsi di ricerca.
    Mi complimento con Francesco e con tutti gli interventi, sempre interessanti e piuttosto corrispondenti alle mie percezioni. E un abbraccio a te, cara Cristina
    Adam

  38. Grazie, Adam, per l’attenzione acuta e forte che dedichi tanto spesso al mio lavoro. Mi procura, questa, un piacere ancor più particolare, conoscendo quanto l’uomo Adam Vaccaro, oltre che poeta, sia politicamente e profondamente impegnato nella realtà del nostro presente.
    Ti rivedrò con grande piacere alla Vallicelliana il 9 di questo mese. A presto, dunque e grazie, Cristina

  39. Ringrazio Stefano, Alessandra, Lucianna, Giovanni, Nadia e Adam (grazie per la bellissima, articolata analisi).

    Un saluto a tutti.

    fm

  40. C’è un lavoro sulla struttura della frase, sull’ordine sintattico che s’impernia su una forte traduzione iconica. Si narra e si descrive (ma con un dono del ritmo che è solo poesia), eppure, man mano noti che si sgretola qualcosa, che a mancare non sono tanto i tetti, quanto il terreno sotto i piedi. Quelle che erano narrazioni o descrizioni si rivelano invece una disseminazione di segni che dicono di una perdita. L’alto tasso di denotazione è un inganno, è semplicemente conseguenza di una grande precisione poetica, che poi ci getta in un vortice di “sensazioni sfuggenti” come ha ben notato Luigi Pingitore.
    Questa serie di dettagli smarriscono non solo una visione d’insieme (sono i dettagli che producono un punto di vista, quasi come un mdp cinematografica: penso in particolare all’incipit bellissimo di Kancro) ma incredibilmente anche l’io, che si nasconde dietro le cose, dietro gli eventi, dietro fantasmi della mente, quasi applicando a se stesso una rimozione. E c’è soprattutto questo gioco sul filo dell’identità che lo rende – scusate il termine fuori registro – transgender.
    La sottrazione è ironica per suo statuto. E qui, appunto, è uno stile insieme tremendo, agghiacciante e leggero. Sintesi non certo facile.

  41. Vocativo, interessantissimo, quanto hai detto. Ora cerco sul vocabolario quel “trasgender”, anche se in parte immagino, ma non si sa mai..
    Anche il tuo nome è un po’ “strano” ! Grazie,Cristina

  42. Qualcosa che raggela che mette a distanza che non si fa “toccare” in questi versi.
    Tra il nucleo del sentimento e del pensiero e il nucleo della parola sembra vagare qualcosa che disperde e si disperde, una sorta di sparizione si compie…difficile trovare punti di repere.

  43. ……io che conobbi Annino, nella sua “adolescenza” artistica, posso dire che il cammino che ha fatto (e i quadri che ho visto) e le poesie che ho qui letto riconfermano il mio giudizio di allora e di adesso, è la prima in assoluto.

    Brava!
    Non c’è altro da aggiungere.

  44. Ringrazio Margherita. Dylan (ma dove sei finito?), bello che tu mi segua- come farai con altra posia- e risentirti proprio qui. Dammi notizie, se vuoi. Ci voleva evidentemente Francesco per farti dire cose che non mi hai mai detto. Grazie comunque a te e a tutti i partecipante di questo blog rigoroso, intelligentemente conodotto e che mi ha insegnato molto.

  45. Concordo con quanto dice Vocativo, che utilizza un termine da me inserito in un intervento in uscita su una rivista (Le voci della Luna). Nel quale più o meno dico che gli attuali enormi problemi epocali chiedono alle donne e agli uomini migliori un salto culturale capace di arricchire criticamente le (di)visioni precedenti. Altrimenti siamo destinati a subire una realtà che muta i suoi dati a velocità mai vissute nei secoli e decenni precedenti. Occorre moltiplicare la capacità di attraversamento di universi concreti e mentali diversi. E accentuare la nostra capacità, come dire, di transgenderismo e nomadismo che si fa beffe di ogni monade…identitaria che pensa di definirsi una volta per tutte.
    Può essere un primo passo per misurarci col nuovo che esplode ogni momento sotto i nostri piedi. E ci chiede di moltiplicare relazioni, uscite coraggiose non certo favorite da quel pensiero unico dominante che ha bisogno di creare paura e arroccamenti, tra deliri di onnipotenza (o depressioni), adatti più a rincorse di potere che di poesia.

  46. cara cristina,
    come al solito ti leggo piena di sorpresa. E’ come entrare in un film d’azione, dove a muoversi sono i sentimenti e le sensazioni. Ci si sente come nei sogni o in una verità, perché il tuo è un linguaggio che si è liberato delle parole, passa direttamente a quello che ‘ci si sente’ di essere.
    E’ una poesia d’zione e anche una poesia ‘morale’ perché ci investe di sincera crudeltà e possiamo permetterci di essere nudi di fronte a noi stessi.
    Un grande mestiere e una parola che si è selezionata con un lavoro enorme.
    E non è un caso che regga – come sai – alla prova della traduzione.
    Aspetto con piacere di avere il libro tra le mani per poterlo leggere e rileggere.
    Con ammirata amicizia
    brunella

  47. Grazie ancora una volta ad Adam con cui parlerò mercoledì. Brunella, mi fa un enorme piacere quello che dici. Il libro? Sai come funziona l’editoria in Italia, non sono più i tempi nei quali il critico importante determinava in gran parte la pubblicazione o l’editore sapeva “seguire il fiuto” , direbbe Megret. Comunque speriamo!
    Con amicizia anch’io ammirata per l’ottima traduzione in americano di alcune mie poesie – e non solo mie-, e per il lavoro competentemente serio che svolgi a favore della letteratura italiana.

  48. Non conoscevo quest’autrice “poeta” e sono rimasta ingabbiata in quel turbinare di parole, la cui scaturigine e la connessione sono note, forse, soltanto a lei, ma il suono, a volte rimbombante , a volte quasi dimesso, arriva a chi legge, creando scompiglio nella sua mente e in quelle poche certezze che gli sembra di aver acquisito. Una tela di ragno che mi fa ricordare le parole di un poeta che non c’è più. E’ in siciliano quindi ne darò la traduzione:” ccà penna nte ita/a manu ferma /subbra u fogghiu/è rragnu/ca nun pigghia/muschi.” Il poeta è Salvo Basso, la traduzione, eccola:” con la penna/ fra le dita/la mano ferma/sul foglio/ è ragno/che non cattura/mosche”.

  49. “Nucleo fondante” di questa poesia, l’acqua? Un’idea interessante.
    Io pero’ terrei d’occhio anche “le gambe”. Ma magari mi sbaglio.

  50. Acqua o gambe, caro Pietro, siamo di fronte a uno dei pochi autentici grandi poeti degli ultimi decenni.

    Qui, per chi scrive soprattutto, c’è l’abc di cosa sia poesia: di cosa la distingua dalla miriade di esercizi(etti), anche ben fatti, che leggiamo ogni giorno.

    fm

  51. E aggiungo: la Annino dovrebbe essere portata ad esempio a tutti quei ciarlatani (il termine è mio) di cui parlava Elio Grasso in un commento al post con i testi di Lorenzo Pittaluga.

    fm

  52. L’ultimo libro che si legge e’ spesso per forza quello che echeggia in testa ma certe cose vanno dette: amo questi testi di Magnificat. Hanno una gioia dentro, una profondita’ tutta di superficie, come se fossero recuperati da un fondo e resi visibili, o offerti in dono con infinita attenzione (perche’ si sa offrire un dono di valore eccessivo puo’ offendere o imbarazzare se non e’ porto con attenzione) dimenticando il se’ e proprio solo esprimendo la cosa offerta in un modo esatto e appropriato, come una frase che si sia saputa dire a chi non l’avrebbe saputa capire altrimenti. Con compassione, salvando il salvabile? per gli altri, per noi. Questo libro e’ un libro di grande generosita’!

  53. Grazie Francesco, per i tuoi interventi sempre così decisi, lucidi, e che ogni volta, lo sai, mi empiono di gioia (lo dico usando questa parola semplice per riassumere, in maniera disarmata, tutta una complessità di altri sentimenti che muovi)
    Grazie a Pietro che io è un conoscitore molto acuto della poesia anche italiana, lui scienziato che vive in Inghilterra e si occupa di tutt’altro. Lo ringrazio per la pazienza colta e “generosa” nel leggere i miei testi. Per una competenza quindi ben straordinaria essendo tanto giovane.

    Cristina.

  54. Leggo e rileggo Magnificat e la gioia che ne cavo e’ forse superfluo dirla, gli altri lettori la sanno bene anche loro. E’ una gioia vicina alla gratitudine. Poi: uso una matita (di colore diverso da quella che ho usato per segnare i refusi ahime’ del libro) e inizio a demolire i testi, perche’ un po’ mi fanno rabbia, visto che mi sembrano perfetti ma non capisco come siano fatti. Qui magari mi attiro le ire di tutti, ma vado avanti. Dopo giorni che annoto e unisco, inizio a vederne la struttura, e provo a scrvervela qui: in breve direi che la ragione per cui scardinano tutto (salvo suppongo la punteggiatura) e’ che hanno cardini solidissimi e diversi, che hanno uno scheletro, un’ossatura che non e’ nemmeno che sia nascosta, ma che io all’inizio non vedevo perche’ ero un po’ stupefatto e paralizzato dalla forza che hanno dentro.

    Questo lo riscontro in molte delle poesie anche se non tutte, e non potrebbe essere altrimenti, dato che non sono frutto di una formula. Ma un discorso da lettore mi sia consentito, mi sia permesso di annotare lo specifico, sia pure davanti alla grandezza, perche’ altrimenti posso anche spendermi in lodi sperticate o apprezzamenti, ma vorrei qui fare un’altra cosa: spiegare uno dei motivi per cui credo che questi testi siano sommi. Ne analizzo uno di quelli sopra, ma cose simili come dico le riscontro anche in altri. E forse potremmo organizzare un seminario, o un workshop come si dice in Inglese, dove leggiamo assieme e smontiamo i testi, se non fosse altro la gioia di ritrovarli intatti alla fine dell’esercizio – almeno per me – e’ anche piu’ forte.

    Graffiti: discorso sul poeta, e l’ossatura allora com’e’ giusto viaggia tra il polo del silenzio (“muto nel guscio”, “in silenzio allarga al centro l’acqua”, “rema muto”, “e poi basta”, “zero”) e il polo della parola (“c’attacca con furia lettere”, “odore di ceralacca liquida, di parola”, “spande come pollame”, “sparge molecole al vento”, “i nomi nuovi della mente”, “Gran Proverbio”). Fin qui bene, e gia’ rido soddisfatto al discorso del poeta e delle sue parole, fatto molto chiaramente, ma come mai all’inizio non lo capivo? Per via che mi sconquassa il cervello come e’ scritto. Uno a zero per il poeta sul lettore.

    Noto poi che l’acqua contiene le balene, che il polmone del muro colle lettere origina (o riceve?) “tosse magari”, e che il poeta scrive sul muro, “non cova”, espettora, si mette “in piazza”, “s’attacca al muro”. E come mai? E’ perche’ il poeta mangia “la meta’ dell’universo”, come si mangia una minestra (effettivamente il poeta non ha scelta! deve! ha “un’arteria in piu'”, e scrivendo il mondo lo “rimette a posto fuori di se'”, un po’ come vomitarlo insomma sistemandolo. E torniamo all’acqua, alla rete da pesca, che porta a riva il mondo, “il Mondo”.

    Poesia cosi’ richiede uno sforzo immane, digestivo? Se lo ha fatto il poeta non lo deve fare il lettore? E infine: queste poesie sono spesso connesse le une alle altre. Sono coese. Come la passioni del poeta, “gregarie comunque nella volata”. Che spettacolo gente! Non una, che gia’ basterebbe a farmi contento: molte! tutte da leggere e rileggere! Mi si sprecano i punti esclamativi.

    Mi appunto la coccarda dell’Annino Fan Club al petto e torno a sfigurare il libro col lapis del devoto. Saluti a tutti. Pietro

  55. Grazie, Pietro! la tua analisi del testo è così appassionata e insieme così pertinente, perfetta sotto il profilo strutturale che, sinceramente solo l’autore potrebbe farla. E non è detto. Parlando dal punto di vista critico, sono io, allora, che mi iscriverei com nolto entusiasmo al fan Club di Pitro Roversi.

    Cristina.

  56. Chiedo scusa sia a cristina sia agli altri suoi numerosi interpreti, ma vorrei astrarmi con una parentesi di carattere generale, sulla possibilità di accedere alle arti o alle scienze.
    Più mi addentro in certi siti e più mi convinco di aver a che fare con una palestra dove si esercitano degli atleti della mente, critici più o meno agguerriti, alcuni dei quali affinano le armi e affondano la lama in una miriade di considerazioni in cui il dilettante riesce a stento a entrare, anzi direi che in determinate analisi non riesce proprio a entrarci e rischia di venire tenuto ai margini. Il che non sarebbe però accaduto a uno come lorenzo, magari emarginato in vita per certi suoi percorsi contrassegnati dalla malattia, ma nient’affatto emarginato dalla sorella morte corporale e dai suoi rari estimatori e altrettanti rari amici. Come azzardare dunque un parallelo fra due vite e due personalità così diverse e quasi opposte come lorenzo e cristina(una pioggia di successi amorosi e artistici nella seconda a fronte dell’ostracismo riservato al primo, richiamato a un minimo di attenzione solo grazie alla tenacia di ercolani )? Io lo azzarderei anzitutto ponendomi in un’ottica dove il tecnicismo dell’analisi letteraria non debba assumere un ruolo di primo piano, questo perché significherebbe espormi a più che plausibili riserve, anzi diciamo pure espormi a un una diffidenza istintiva verso chi non è frequentatore di simili palestre. Non lo erano neanche gli intelligenti operai, interessati all’arte o alla cultura umanistica, con cui Gramsci scambiava pareri di critica teatrale dove lui, assoluto trionfatore nella disamina, non cede la parola nei suoi testi classici ai suoi meno fortunati ma non meno dotati compagni di lotta e di critica letteraria. I suoi amici operai, da lui ritenuti pieni di acume e di interessi culturali, non riuscivano a sfondare, salvo rare eccezioni, nella valutazione dei testi e questo purtroppo accade ancora oggi e menomale che almeno alcuni dei discendenti di una classe in via di estinzione si sforzano di accedere ai livelli più elevati del sapere e in parte ci riescono. Il figlio di un operaio può surclassare nella critica dei testi o nel campo scientifico il figlio di un padrone, magari avvantaggiato in mille modi ma incapace di giungere ai traguardi di uno che viene dai bassifondi, ma avviene di rado. In altre parole, se fosse un gramsci redivivo a sostenere la tesi di un parallelo fra lorenzo e cristina sulla base di una riscoperta della metafora in poesia o di un uso peculiare di essa, pur nelle rispettive sfumature, più incline all’intimistico nel primo e più incline al surreale nella seconda, tutti quanti si inchinerebbero grazie al poderoso influsso intellettuale esercitato da costui, mentre se a avanzare un’ipotesi del genere fosse uno degli operai, anch’esso redivivo, con cui l’intellettuale marxista condivideva le sue finissime osservazioni, le sue parole cadrebbero nel vuoto. Non serve dire che costoro avevano le sue stesse possibilità di emergere nella cultura: come avrebbero mai potuto, pur con le sue stesse capacità intellettive, se abbruttiti da un lavoro di fabbrica tale da sottrarre loro buona parte del tempo necessario a approfondire i loro temi preferiti?

  57. Caro Stefanelli innanzitutto grazie del commento e delle osservazioni che sono pertinenti e forse sono io il responsabile visto che il post precedente era quello col mio tentativo di analizzare un testo di Cristina.

    Io condivido appieno il senso di ingiustizia che si prova quando si consideri l’accesso all’arte, all’istruzione e alla cultura, e credo anche io che in molti si dimentichino che arte istruzione e cultura sono privilegi e in quanto tali 1) vanno esercitate e maneggiate con cura e onesta’ e ricordandosi del contesto umano e 2) vanno condivise e incoraggiate e apprezzate in maniera tale da combattere l’ingiustizia sociale.

    Poi: il poeta e’ poeta, Pittaluga o Annino quel che conta sono innanzitutto i loro testi. E in tal senso il lettore (cioe’ io, lei, gli altri) con quei testi fanno i conti. Allora io rivendico il mio diritto all’analisi di un testo che per carita’ funziona e mi godo anche senza analisi ma debbo dire mi godo e capisco meglio dopo averlo smontato e rimontato come si smonta un giocattolo o un orologio.

    E farlo in rete, pubblicamente, e’ un gesto democratico, specie se uno fa anche lo sforzo di parlare un linguaggio non-tecnico.

    E poi: la forza della poesia e’ anche che quando uno e’ poeta non importa molto se e’ privilegiato o emarginato, alla fine scriverebbe comunque. Pittaluga e’ un ottimo esempio. Allora dare attenzione alla poesia o scriverne e’ sicuramente parte di una scelta di vita dove il profitto non e’ al centro e l’ascolto a persone di estrazione sociale diversa dalla propria porta gli individui ad uscire dal proprio privilegio o dalla propria emarginazione e a incontrarsi da eguale.

    Vista la fatica immensa che scrivere i suoi testi costa al poeta, a me pare che analizzarli sia un gesto innanzitutto di umilta’, e poi un testo senza lettori che cosa vale?

    Anche se di sicuro al fronte in questa guerra ci sono persone come certi genitori, certi insegnanti e tutti quelli che nella vita ci incoraggiano ad esperimerci, a prendere parte, a contribuire non solo a guadagnarci il pane ma anche al bisogno di capire, di sentirsi vivi, io che non sono ne’ genitore ne’ insegnante posso pero’ dire la mia qui o altrove.

    E mi scuso se ho intimidito o se sono stato compiaciuto. La prossima volta cerchero’ di esprimermi con piu’ riguardo!

    Cari saluti
    Pietro

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