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Come colui che teme e chiama

Nanni Cagnone

Finora, cos’ho detto?
Trascurando le ingiurie
del pensare, riguardo
le mie impronte:
si direbbe smarrito
lo scopo dell’andare,
o non c’era ambizione
d’una mèta.

Comprensione
per chi sinceramente
si perse a suo cammino,
come un Ḥasīd
finito in una chiesa
romanica – ammirevole
lo stile, ma questa non è
la terra dei miei pensieri,
il luogo in cui quel che amo
gentilmente mi stringe.

Ora sono fra i miei,
degno d’esilio.

*

La parola di Cagnone elude le maniere e gli stili, rifiuta la saggezza accondiscendente di chi si finge maestro di conventicola, abolendo un mito cardine della società letteraria: l’idea stessa che la letteratura vada raggiunta come una tecnica specifica, come fosse un esercizio atletico della mente, o una professione attestata. Questo poeta reclama solo il diritto di erranza, la gioia di un’oscurità non programmatica, non sviscerabile con sicumera per confondere ancor più il senso delle parole. La poesia allora come azione nelle parole e sulle parole, sondando l’ignoto: «prodiga scurità, / ignoto a ignoto / restituisci».

Nanni CagnoneCome colui che teme e chiama,
Macerata, Giometti & Antonello, 2023

***

Il “Parmenides” di Nanni Cagnone

Nanni Cagnone
Parmenides Remastered
Macerata, Giometti & Antonello, 2022

Il poema Sulla natura, del filosofo greco Parmenide d’Elea (v Secolo a.C.), giunto fino a noi in 19 frammenti, non solo è un testo di riferimento per l’intera cultura greca, ma coinvolge i fondamenti di tutta la filosofia occidentale, tanto che nel ’900 ha dato spunto a innumerevoli considerazioni, in particolare da parte di quei filosofi che si sono confrontati con i temi primari dell’essere, la verità, l’apparenza, l’uno, il tutto, il molteplice ecc. Nanni Cagnone, a quanto dice, percepisce questo testo come «un ostacolo, un fondamentale assillo» con cui è inevitabile fare i conti ma da cui prendere, quando occorre, le distanze. Quella che Cagnone ci propone qui, è una traduzione in senso molto ampio, che riassume i vari sensi che ha avuto questo termine nella tradizione ma al contempo li amplia in una direzione probabilmente inedita. Si ha dunque il corpo a corpo con il testo originale, che poi si fa commentario stringente e spesso irriverente, per poi trasformarsi in verso autonomo. La gerarchia tipografica tra testo e commento si mescola, i frammenti vengono montati in un ordine estraneo alla consequenzialità filologica, ma suggestivo in chiarezza, e tutto si fa materia del pensiero. Conscio della distanza anche di visione che lo separa da questo filosofo delle origini, una volta compiuta quella che definisce nulla più che «la comprovata esperienza d’un lettore», Cagnone si congeda da Parmenide come da un duello in cui si è compiuto qualcosa di decisivo riguardo a ciò che noi chiamiamo pensiero, linguaggio e verità. 

*

[Leggi il saggio critico di Antonio Devicienti,
“Un attraversamento di Parmenides remastered di Nanni Cagnone”,
in “Quaderni delle Officine”, LXXXVI, giugno 2019.]

La spina dorsale

Danni Antonello
La spina dorsale
Poesie (2009-2017)

Macerata, Giometti & Antonello, 2021

« …Danni è sempre stato un vero ladro dei grandi testi poetici, nel senso che li assimilava, li ruminava e li digeriva, con umiltà ma mai con spirito epigonale: mi piace pensarlo come una sorta di macina, di quelle antiche dei mulini ormai diroccati e scomparsi, capace di dare ancora quella meravigliosa crusca scura, ruvida e povera, ma consistente e per nulla addomesticata alle regole di “purezza” che il mercato ci vende come “naturali”. E perché la poesia, per Danni, è essenziale come il cibo, povera come il pane nero, pericolosa come un impiastro d’erbe sconosciute, che non sai mai se faccia bene o male o, meglio, sai benissimo, per esperienza diretta, sulla pelle, e quindi tattile, che le due cose non possono essere mai separate». (Dalla Prefazione di Andrea Ponso)

Esci, fatti foresta, sterpaglia e bosco di sotto,
battere ramo su fronda: fruscio – infine: foresta.
Sperditi, e spandi il polline raro sui resti
fecondi del pasto dei lupi, nema a temere:
non sarai guardato in gola,
da segreto a segreto potrai conservare
la grazia, profonda, di foglia, argilla, che nasce –
come bianca, non incisa, un’aperta foresta
che nasce.

Il naufragio del Deutschland

Casa Editrice Giometti & Antonello

«Ritmo, energia, intensità d’una lingua magnificamente ostacolata, e una sofferenza a cui non dovevano esser estranei una struggente religiosità, le tacitate propensioni sessuali e lo scontro fra l’umiltà che si pretende dal sacerdote e il necessario orgoglio del poeta.»… con queste parole Nanni Cagnone, curatore della presente edizione frutto di una rielaborazione durata decenni, descrive le caratteristiche salienti dell’universo poetico di Hopkins.
Gerard Manley Hopkins, nato a Stratford, Essex, nel 1844, e morto a Dublino nel 1889, convertitosi in gioventù al cattolicesimo e quindi sacerdote nell’ordine dei gesuiti, ebbe ben pochi riconoscimenti in vita, suscitando scandalo o quantomeno imbarazzo per il suo audace sperimentalismo (proverbiale il suo sprung rhythm). Le sue opere, uscite postume nel 1918, finirono per esercitare una riconosciuta influenza su autori come T. S. Eliot, Dylan Thomas e W. H. Auden.
Il naufragio del Deutschland è un’ode di 35 stanze ispirata alla sorte del piroscafo Deutschland, incagliato in un banco di sabbia a poche miglia di distanza dalle coste britanniche e soccorso tardivamente, e in particolare alla morte di cinque francescane tedesche esiliate dalla Germania in seguito alle leggi anticattoliche prussiane. Per il vigore ritmico, espressivo e compositivo, questo poema è ritenuto l’opera più importante di Hopkins, ma è anche una sfida disperante e ineludibile per il traduttore, che in quanto mediatore di un naufragio rischia di continuo di finire per confondersi con esso.